16. Brave

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Il paesaggio era lugubre: carcasse di automobili ormai arrugginite giacevano sulle strade abbandonate da anni e il percorso che stavo percorrendo sembrava uscito da un film apocalittico. Col mio plotone ci eravamo divisi: io stavo perlustrando il quartiere americano in cerca di indizi per trovare una delle numerose basi in cui tenevano segregati gli esseri umani. Superai una Mercedes 190 grigio metallizzata, ancora in buono stato. La tentazione di sedermi al posto di guida era troppo forte, ma non appena notai che il suo interno era stato colonizzato da un alveare di api decisi di proseguire. Il sole era rosso e il tramonto era imminente: i grattacieli riverberavano quel colore che metteva ancora più ansia nel mio cuore. Superato un edificio che un tempo era adibito a uffici, decisi di riposarmi in una panineria. Osservai l'orologio: ero in perlustrazione già da diverse ore e il mio stomaco reclamava cibo. Scartai un'altra barretta al cioccolato e fissai il pupazzo che fu la mascotte del locale: un clown che era stato incendiato e che adesso aveva in faccia un ghigno maledetto.

- Il punto di incontro è fissato a due isolati da qui, dovrei impiegare per raggiungerlo un quarto d'ora circa, - sussurrai e avevo la sensazione che qualcuno mi stesse osservando. Per sicurezza indossai e attivai gli occhiali ai raggi infrarossi i quali permettevano di vedere in ambienti bui o poco luminosi. Gli alieni potevano essere ovunque, ci aveva avvisato il nostro comandante, ed erano molto scaltri. In quel momento il mio coraggio tentennò, e mi chiesi se avevo fatto bene a separarmi dagli altri. Imbracciato il fucile, ripresi il cammino. Mentre superavo un altro edificio udii un fruscio proveniente dall'incrocio: subito mi nascosi dietro a un'edicola semi diroccata e per sbaglio calpestai un quotidiano sgualcito: era datato 12 novembre 1995 e riportava la seguente notizia: Le voci erano concrete: stiamo subendo un'invasione aliena. Questa mattina le loro astronavi sono atterrate in tutte le capitali della Terra, dopo aver distrutto i nostri satelliti. Preghiamo tutti quanti di raggiungere al più presto possibile i rifugi anti atomici presenti nei diversi quartieri della metropoli. Non temete: le forze armate sono schierate per proteggerci da questi pericolosi extraterrestri.

- Bastardi! - imprecai mentre osservavo gli ultimi raggi del sole che determinavano la fine di quella giornata. - Ci hanno tolto tutto, i nostri affetti più cari, le nostre vite, il senso di tutto. Ci hanno distrutto in ogni cosa, e adesso sono loro prigionieri. Ma io vi libererò, e se dovessi incrociare uno di quei maledetti musi verdi, scatenerò tutta la mia rabbia!

- Hai dimenticato quello che ti avevo detto? - disse una voce a me familiare. No! Non può essere! Pensai, Non può essere lui!

- La violenza porta altra violenza, e diventa un circolo vizioso dal quale è difficile uscire fuori, - ribadì quella voce e nel momento in cui i miei occhi incrociarono i suoi, mi ritenni pazzo; era proprio Lu, il mio guerriero immortale! Ma non era stato un sogno? Poi ricordai quel che ci aveva raccomandato il tenente Hylo: i Parassiti potrebbero lanciarci contro i nostri stessi sogni, che sembrano reali ai nostri occhi. Puntai il fucile al mio sogno: era sparito nel nulla! I miei sensi erano all'erta: sentivo scariche di adrenalina in tutto il corpo e il mio cuore batteva a mille; dove si nascondevano gli Invasori? Iniziai a sudare e mi rifugiai nuovamente nella panineria, stavolta chiudendo la porta a vetri e nascondendomi sotto al tavolo. Forse mi avevano circondato e mi avrebbero addormentato per sempre.

- Calma e sangue freddo, Jack! Rifletti: devi trovare un modo per sfuggirgli! - sussurrai tentando di calmarmi, ma la paura si era impadronita di me e della mia mente al punto che vidi muoversi il clown dal ghigno agghiacciante: le sue braccia si allungarono al mio collo ed egli spalancò la bocca ripiena di denti aguzzi simili a quelli che ha uno squalo. Chiusi gli occhi e quando li riaprii era sparito. Al suo posto, però, trovai un ragazzino al centro della strada che indossava degli abiti così lerci e stracciati che sembravano ormai far parte del suo corpo. Mi salutò e feci appena in tempo a capire se fossi sveglio o no, quando una pioggia di vetri mi venne addosso. Mi lanciai fuori dal negozio appena in tempo: dietro di me erano apparsi tre uomini dagli occhi rossi. Istintivamente inseguii il ragazzino che si stava arrampicando su una scala antincendio e sembrava volermi dire di stargli dietro. Gli allenamenti in accademia diedero i loro frutti: salii con agilità fino al quinto piano e mi introdussi in quell'appartamento abbandonato, mentre gli inseguitori parevano essersi arresi e non intenzionati ad arrampicarsi. La stanza era stata un tempo un soggiorno: era tutto a soqquadro e strappato, pieno di scarafaggi morti e feci di piccioni. Del ragazzo nessuna traccia. Mentre esploravo le altre stanze udii un frastuono giù in strada: stava arrivando un carro armato? Gli inseguitori erano pure scomparsi, in compenso era sceso uno spettrale silenzio. Sigillai le finestre e la porta con le assi di legno che tolsi dalla libreria e, stanco, mi riposai sul divano: sentii sotto al sedere un oggetto solido pungermi e, infilando il braccio, scovai un libro: era La guerra dei mondi di Herbert George Wells, ironia della sorte! Lo sfogliai e inizia a leggere: Nessuno sul finire del XIX secolo avrebbe creduto che questo mondo fosse sotto minuziosa e attenta osservazione da parte di intelligenze superiori a quelle dell'uomo e tuttavia ugualmente mortali; che ci fosse qualcuno che studiava e analizzava gli esseri umani occupati nelle loro varie faccende con quasi la stessa applicazione con cui un uomo al microscopio esaminerebbe le effimere creature che brulicano e si moltiplicano...

- In una goccia d'acqua! - completò l'uomo che mi vidi spuntare accanto, nonostante avessi sigillato l'appartamento. Ripresomi dallo spavento, egli continuò: - Questa era casa mia, tanto tempo fa. Piacere, sono Rick Andersen.

- Jack, Jack Carson - risposi stringendogli la mano.

- Non temere, sei tra amici! - aggiunse, mentre si accendeva la pipa. Egli iniziò ad esalare le prime boccate di fumo, dal piacevole aroma di castagno, quando vidi uscire dal forno in cucina il ragazzino con gli stracci di prima, che mi fu presentato come suo figlio Jean.

- Devi ringraziare mio figlio se sei ancora in vita, - continuò il signor Andersen, con sguardo docile. - È stato lui a distrarre i Cacciatori, rompendo la vetrina del negozio e permettendoti di seguirlo.

Rimasi impietrito dalla rivelazione: quel marmocchio era stato così coraggioso?

- Eh sì, ha del fegato il ragazzo! Caro Jack, come ci si sente ad indossare i panni della giovane recluta? Alquanto scomodi, nevvero?

- Ma lei come fa a...

- ...saperlo? Beh, vivo da trent'anni in questo quartiere, ne ho viste di cose che non potresti immaginare! - disse, mentre accarezzava il libro di Wells. Egli era un professore di Lettere ed era riuscito a sfuggire agli invasori assieme alla sua famiglia.

- Vedi, Jack, anche tu sei caduto nella loro morsa e ancora non te ne sei reso conto: ma per fortuna ci hai incontrato e ti spiegheremo tutto quanto. Adesso è bene tornare al nostro rifugio, questo appartamento non è più tanto sicuro come un tempo.

Scendemmo nel forno che celava un passaggio segreto il quale conduceva a una serie di cunicoli fino a giungere a una galleria della metropolitana: era lì, scoprii, che vivevano i superstiti. Il professore Andersen non era semplicemente un professore di Lettere ma, come scoprii ben presto era anche il sindaco di quello sparuto gruppo di esseri umani sopravvissuti all'Apocalisse. Ci sistemammo nel suo ufficio, se così si poteva chiamare, una vecchia carrozza della metropolitana restaurata da mani esperte.

- Quelli che ti hanno attaccato in strada erano, come detto, i Cacciatori, ovvero coloro che vengono sguinzagliati da Loro per cercare gli umani superstiti. E tu sei stato ad un passo dal venire catturato, ti avevano già quasi narcotizzato gettandoti una tossina che fa venire gli incubi.

- Ora capisco, prima avevo incontrato un mio amico proveniente dal mondo dei sogni, poi quel clown che voleva strangolarmi, - riflettei, sconvolto. Il professor Andersen mi sorrise e tirò lieto un'altra boccata dalla sua pipa. - Da trent'anni siamo sotto la loro tirannia, difatti oggi è il 4 settembre del 2025: ricordo ancora, come se fosse ieri, quando diedero la notizia dell'Invasione: ero a lezione all'università.

Gli narrai, con minuzia di particolari, la mia storia e di come ero stato liberato dal sonno criogenico e della mia breve permanenza all'Accademia Militare dei Risorti. Egli mi seguiva attentamente, pendeva quasi dalle mie labbra potrei dire.

- Voi li avete soprannominati Parassiti, noi Ladri di Sogni. I pochi superstiti del genere umano si sono rifugiati sottoterra, come i sorci delle fogne. Certe volte penso che la fine del mondo è ormai concreta e che ci cattureranno tutti! - sospirò, abbandonandosi a un pianto silenzioso. Mi commossi e lo abbracciai. Compresi che il peso delle responsabilità per quello sparuto resto del genere umano si faceva di giorno in giorno sempre più pesante da gestire. Suo figlio Jean ci chiamò e andammo a cenare: avevano apparecchiato una lunga tavolata con poche ma invitanti cibarie. - Abbiamo un orticello e da quello riusciamo a coltivare della verdura, - affermò Andersen accarezzando i riccioli del suo figliolo. Fu una cena frugale ma piacevolissima, mi diede modo di conoscere quella piccola speranza di umanità che resisteva da così tanti anni e che non aveva ancora perduto la speranza. Poi mi diedero una tenda dove mi addormentai quasi subito. 

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