Black sugar, keep it up 'till the dawn
you're a trigger, killer, eye of the storm
but if there's no desire to get back out alive
you're a hero?
La cattedrale di Trost non era mai stata così affollata come quel giorno. Per proteggere le reliquie e gli affreschi non erano mai stati installati camini, o sistemi adatti al riscaldamento dell'ambiente. L'aria era gelida, forse più che all'esterno, e il sole penetrava a malapena dalle vetrate pallide. Nel silenzio della cappella, i singhiozzi risuonavano come rintocchi di campana. Era un luogo come un altro, uno dei molti che aveva trovato modo di ospitare all'interno tutte le persone sopravvissute che avevano oltrepassato il Wall Rose appena il giorno prima. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dall'evacuazione del Mall Maria, eppure sembrava già un'eternità. Feriti mormoravano nei deliri del dolore, uomini piangevano in silenzio, donne stringevano i figli pregando le divinità delle mura di proteggere almeno coloro che erano sopravvissuti. In molti avevano dovuto lasciare i propri affetti alle spalle, guardandoli morire sotto ai propri occhi. Era una tragedia senza precedenti.
Prima Shiganshina, e pochi attimi dopo il Wall Maria stesso erano stati abbattuti. Un gruppo esorbitante di giganti era entrato, molti più del previsto, come se fossero stati tutti lì fuori ad aspettare il momento propizio. In pochi erano riusciti a scappare. E quei pochi avevano perso così tanto che non raramente si ritrovavano a pensare che forse sarebbe stato meglio se non fossero stati loro a sopravvivere, se fossero stati mangiati, insieme ai loro cari. Ma per il momento, tutto ciò che gli era concesso era qualche gelida e umida chiesa ad ospitarli, qualche raro tozzo di pane per cibarsi che spesso dovevano litigare per riuscire ad accaparrarsi, non abbastanza da sfamare tutti quanti, e pochi sorsi d'acqua al giorno per recuperare ciò che era stato perso con le lacrime.
Non era passato nemmeno un giorno dall'attacco del gigante corazzato e del colossale, eppure sembrava di essere finiti nell'eternità di un inferno che avrebbe loro dannato per sempre. Inconsapevoli che i colpevoli di tutto quello, nelle loro vesti di ingenui bambini, erano proprio lì, in mezzo a loro, a giudicarli in silenzio.
Reiner era stato il primo a svegliarsi, di fianco a Bertholdt e Annie. Dei tre lui era quello che si era stancato meno, era stato facile recuperare le forze. Per Bertholdt era sempre estenuante, il gigante colossale consumava tanta di quell'energia che era incredibile che un bambino come lui riuscisse a tollerarlo così bene. Annie, tra tutti, era sicuramente quella con la resistenza maggiore, il suo gigante era adatto alle sue capacità, ma aveva corso per giorni per sostituire Marcel e il suo gigante mascella, persi all'esterno durante il loro viaggio dal mare alle mura. La ragazzina aveva portato il proprio corpo a un limite quasi definitivo, avrebbe avuto bisogno di riposare probabilmente per giorni. Reiner si guardò attorno, avvicinandosi ai suoi due amici, deciso a vegliare sul loro sonno. Era sicuramente una scena straziante, vedere tutte quelle persone in lacrime avrebbe scosso anche il più duro dei cuori, sapere di esserne la causa non aiutava il suo animo turbato, ma riusciva comunque a mantenere la lucidità e la calma. Aveva fatto una promessa, aveva ben chiaro quale fosse il suo obiettivo, e quelle persone non erano anime innocenti, meritavano ogni crudeltà. Niente l'avrebbe dissuaso dal continuare a procedere. Quelle vittime erano state necessarie, era ciò che si ripeteva per evitare di crollare definitivamente, ed era ciò in cui credeva fortemente. Quelle persone erano demoni, non comuni esseri umani, non avrebbe dovuto provare pietà per loro e avrebbe dovuto concentrare tutte le sue energie sulla missione affidatogli. Lo doveva a tutta la sua gente, a sua madre, ma, adesso, soprattutto a Marcel. E a Porko, a cui aveva praticamente rubato il gigante corazzato. Da quando Reiner l'aveva scoperto non aveva fatto altro che pensarci: lui non era stato la prima scelta. La cosa lo faceva incazzare, lo riempiva di rammarico, e non faceva che rafforzare il suo desiderio di portare a termine con successo quella missione. Avrebbe dimostrato di essere meritevole, che quella era stata la scelta giusta, avrebbe dimostrato di essere un perfetto Guerriero. Anche a costo di uccidere persone.
Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di qualcuno che gli corse spaventosamente vicino e lo fece sussultare. Una ragazzina inciampò nel suo giaciglio, calpestandogli i piedi, e nell'incidente per poco non le caddero di mano due tozzi di pane belli tostati che teneva gelosamente serrati al petto. Si ricompose rapidamente e si voltò a guardare Reiner, preoccupata.
«Scusa!» disse. Aveva i capelli castani, molto corti, ma non abbastanza da impedire alle sue ciocche ribelli di ricaderle davanti agli occhi azzurri, come impazziti. Era spettinata come pochi, vestita di un abito ormai ridotto a uno straccio, ma paffuta nelle guance e delicata nei lineamenti. Nonostante l'aspetto trasandato avrebbe portato a pensare a un maschio, il volto delicato era decisamente quello di una ragazza.
Reiner non ebbe tempo di rispondere, che questa si voltò di nuovo e tornò a correre, evitando di pestare le persone stese a terra. Un compito arduo, che spesso la portavano a saltellare di giaciglio in giaciglio, ma sembrava ben determinata a raggiungere il suo obiettivo quanto prima.
«Mikasa!» chiamò a un certo punto e un'altra ragazzina dai capelli neri e lunghi si voltò a guardarla. La ragazzina del pane ne sollevò uno, entusiasta, e saltò l'ennesimo giaciglio per arrivare di fianco all'amica, ma questa volta non si salvò dall'ostacolo. Il piede atterrò sulla gamba dell'uomo steso lì a fianco, calpestandolo, e questo la portò a perdere l'equilibrio. Cadde di faccia in avanti, ma ebbe la prontezza di sollevare le braccia per salvare il pane, anche se questo le causò un brutto taglio sul mento. L'uomo steso, che era stato calpestato, si sollevò furioso e iniziò a urlare insulti alla ragazzina ora a terra. Ma durò solo qualche istante. L'altra ragazzina, quella che si chiamava Mikasa, si voltò a fulminarlo con un inquietante sguardo glaciale. Era assurdo, eppure riuscì a zittirlo con poco. Metteva davvero i brividi.
La ragazzina a terra si alzò in ginocchio, ignorando la ferita sul mento che si era appena provocata.
«Bea, stai sanguinando» le disse Mikasa, ma lei strofinò sul mento, distrattamente, il braccio, come a volersi pulire rapidamente. Si accorse troppo tardi dell'errore, la ferita le bruciò intensamente nello sfregamento con la manica del suo abito, ma non fiatò. Si corrucciò per un istante, poi tornò a sorridere.
«Ho trovato del pane!» esclamò, felice. Porse a Mikasa una delle due pagnotte e aspettò che questa l'afferrasse.
«Non è molto, ma possiamo farcelo bastare» afferrò con entrambe le mani la seconda pagnotta, che era rimasta a lei, e la divise a metà. Una la tenne per sé, l'altra la diede a Mikasa. «Così tu, Eren e Armin avrete una metà. Questa la porto a mia sorella».
«Ma così non ne resta niente per te» le fece notare Mikasa, guardando la ragazzina che già si rialzava in piedi.
«Non fa niente, non ho fame» e sorrise di un'allegria soprannaturale, visto il terribile luogo in cui si trovava. Salutò rapida con una mano, non diede tempo a Mikasa di rispondere, e corse via saltando di nuovo negli spazi vuoti tra un giaciglio e un altro.
«Rose» chiamò, arrivando di fianco a una bambina più piccola. Non doveva avere più di cinque anni, somigliava molto alla prima, era facile intuire la parentela, anche se questa aveva capelli più sul biondo, lunghi, legati in due treccine ai lati della testa. La ragazzina col pane si inginocchiò di fianco a lei e le porse la mezza pagnotta che aveva portato. «Ho portato del pane. Mangia» disse sorridente.
La bambina fece molte meno domande di Mikasa, afferrò volentieri la pagnotta e iniziò a mangiarla anche se con lentezza e fiacca. Era pallida in viso e sembrava madida di sudore. La sorella le mise una mano sulla fronte, mentre lei mangiava, e attese qualche secondo prima di sospirare e ammorbidire le spalle. «Ti sta salendo la febbre» constatò.
«È perché Kitty non è con me» mormorò la bambina.
«Kitty?» inarcò un sopracciglio, confusa, e la bambina annuì. «Lui mi protegge sempre da tutto, anche dalle malattie. È rimasto a casa, non l'abbiamo portato con noi. Così mi ammalerò».
«No, vedrai che non lo farai!» sorrise la sorella, ma era ovvio che stesse solo cercando di infonderle positività.
«Se Kitty fosse qui mi aiuterebbe a guarire» insisté la bambina.
La sorella la guardò qualche istante, lasciando che mangiasse in silenzio, poi all'improvviso si mise a sedere di fianco a lei e alzò per aria un piede. Si tolse la scarpa, per poi sfilare via il calzino che le arrivava fino al polpaccio. Con un piede ormai nudo, infilò di nuovo la scarpa e cominciò ad annodare il calzino dandogli strane forme rotondeggianti. Non ne venne fuori niente di bello, ma riuscì a dargli una vaga forma umanoide, con una testa bella gonfia e un paio di gambe.
«Ecco qua» disse, porgendola alla sorella. «Lei si chiama Marie! Sostituirà Kitty per un po', si prenderà lei cura di te».
Rose guardò per qualche istante il calzino vagamente somigliante a un peluche, masticò l'ultimo boccone di pane, poi allungò entrambe le mani e prese il dono della sorella. Lo guardò in silenzio per un po', respirando affannosamente per la malattia che si stava facendo strada dentro di lei.
«È una contadina» mormorò infine. «Lavora la terra e il bestiame, per questo puzza ed è sporca, ma è molto gentile. Vero?»
«Marie sarà la tua migliore amica se glielo permetterai» e Rose infine annuì. Se la strinse al petto e tornò a stendersi a terra, dentro le coperte, aiutata dalla sorella.
«Quando andremo a riprendere Kitty scommetto che diventeranno migliori amici» mormorò la bambina, sistemando la testa sulle ginocchia della sorella. Quest'ultima raccolse una seconda coperta da terra, quella che era stata sua probabilmente, e la sistemò sulle spalle di Rose per proteggerla meglio dal freddo. Sorrise, ma di un sorriso triste.
«Certo» mormorò, e per la prima volta non sembrò essere convincente nemmeno un po'. Accarezzò i capelli di sua sorella e la tenne con sé, mentre questa lentamente richiudeva gli occhi.
«Sorellona» mormorò, già quasi addormentata. «Mi canti qualcosa come faceva la mamma? Ho paura di fare un altro incubo».
«Io...» balbettò lei, avvilita. Ma scosse la testa e tornò a sorridere, forzatamente. Era ovvio che non fosse naturale tutto quel suo buon umore, cercava solo di essere forte per sua sorella, adesso era più che palese. «Ok. Ci provo».
Prese un'ampia boccata d'aria, socchiuse gli occhi, e infine cominciò a cantare una melodia. Era dolce, morbida nella voce, forse per evitare di disturbare troppo chi avesse intorno, ma era comunque efficace. Tiepida, come una ninna nanna, riusciva a far rilassare le spalle. A riscaldare il cuore.
«Reiner». Per poco Reiner non sobbalzò, scoprendosi solo in quel momento decisamente troppo assorto. Perché era rimasto tanto incuriosito dai movimenti di quella ragazzina? L'aveva osservata fino a quel momento, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Spostò gli occhi su Bertholdt, che adesso si stava rialzando al suo fianco. «Sei già sveglio».
Reiner annuì, ma tentennò. Non sapeva nemmeno lui cosa pensare, sentiva solo di sentirsi profondamente angosciato. Aveva sulle spalle troppe responsabilità, troppi dolori, troppe colpe. Eppure per un istante era riuscito a sentirsi leggero, ascoltando la ragazzina cantare la ninna nanna a sua sorella. Che quella melodia avesse davvero la capacità di scacciare gli incubi?
Spostò gli occhi di nuovo a lei, ma fu solo per un istante. Rose si era ormai addormentata e la sorella aveva smesso di cantare, ma non di accarezzarle i capelli e vegliare su di lei.
Sospirò, lasciando andare le spalle.
«Credo di aver paura degli incubi».
NDA.
Ciao a tutti! Sono Ray, per chi ancora non mi conosce (tutti xD) ed eccomi qui nel fandom di AOT (o SNK per chi preferisce). Farò solo delle note brevi, presentarmi mi sembrava d'obbligo, ma non mi dilungherò. Come avete letto nel disclaimer iniziale questa storia è piena di spoiler per chi non ha completato la lettura del manga (già nel prologo ce n'è uno enorme, essendo dal punto di vista di Reiner) perciò ribadisco che se non siete in pari non proseguite (e ci vedremo quando lo sarete xD). Anche se Reiner non è tra i personaggi preferiti di tutti (eretici, andate a confessarvi ora!) spero comunque non disdegnerete la lettura di questa ff e di riuscire a farvi emozionare ugualmente.
Il ritmo di pubblicazione prevedo sarà di 1 capitolo a settimana, tranne che per questi primi capitoli che arriveranno tutti insieme così da farvi entrare subito nel mood, ma le cose potrebbero cambiare strada facendo (potrebbe venirmi l'hype cattivo e arrivare anche a 2 o 3 capitoli per settimana, perciò stay tuned!). Non credo di avere molto altro da dire per il momento, vi lascio al proseguimento, facendo solo una piccola specifica: ogni tanto troverete testi di canzoni perché sì u.u io le adoro e ci saranno.
La strofa a inizio capitolo è tratta da Zero Eclipse, una delle colonne sonore di SNK, e la trovo perfetta per descrivere Reiner in questo momento. Per i pigri di mente come me vi lascio anche la traduzione, così non dovrete sforzarvi troppo xD
"Zucchero nero, continua così fino all'alba
Tu sei la causa scatenante, l'assassino, l'occhio del ciclone
Ma se non c'è desiderio di tornare indietro vivo,
sei un eroe?"
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I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no Kyojin
FanfictionIl boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile...