Capitolo 24 - L'Accademia degli Alchimisti

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«Dobbiamo aggiustare quanto prima questo congegno,» diceva Cil, guidandoci di corsa per un'antica strada dismessa, «altrimenti i nostri sforzi per ottenerlo saranno stati vani, e il destino di questo mondo, che ogni giorno s'approssima all'abisso, si farà ancora più cupo!»

Vidi sulla destra un grande specchio d'acqua, quindi una distesa di felci e, sopra una collina, una meravigliosa rocca con tetti appuntiti.

«Stupendo!» esclamai, «È quell'edificio laggiù la famosa Accademia degli Alchimisti?»

«Ma ti pare!» rispose Cil beffardo, «Che senso avrebbe metter su una scuola dentro uno scomodo castello? Non è il momento di ammirare il paesaggio. Tenete il passo invece, che ci siamo quasi: l'Accademia è appena fuori le mura di Sipiona.»

Poco dopo comparve infatti, sulle pendici d'un rilievo, una cittadina slavata e diroccata; all'esterno della sua cinta, giaceva una sorta di monastero fatiscente con due campanili sbilenchi: qui ci condusse Cil, costringendoci a sfidare la salita di buona lena. Giunti allo spiazzo antistante l'ingresso, le mie gambe dolevano molto e il fiato era corto; qualche istante mi riposai, appoggiandomi a dei grandi massi, tutti coperti d'iscrizioni e di muschio.

«Abbi rispetto per le Sacre Pietre,» mi rimproverò l'Alchimista, «non son lì per reggere i deboli!»

Quindi egli tirò una corda consunta che pendeva di fianco ai robusti battenti d'entrata e fece tintinnare una campanella di dentro. Subito s'aprì sull'anta stessa uno spioncino quadro, e un vecchio paffuto e sdentato vi si affacciò assonnatamente:

«Chi giunge alla magnifica Accademia d'Alchimia, genitrice di tutte le conoscenze e nutrice delle più fini menti?»

«Cil l'Alchimista, che qui fu scolaro anni or sono, e mai ha dimenticato il seno che saziò il suo desiderio di sapere» rispose fieramente il nostro.

Allora l'usciere disserrò il portone e l'aprì con flemma: l'ingresso si spalancava su un gran chiostro con al centro un prato, che da molto tempo attendeva operazioni di giardinaggio, dove alcuni gruppetti di giovani fumavano le loro pipe e chiacchieravano; al fondo stava la struttura principale, con le due storte torri campanarie che avevo avvistato da lontano, preceduta da un viale di alberi completamente secchi. Tra le colonne, due uomini dalle lunghe barbe, con tocca verde e toghe dalle maniche ampie, dibattevano animatamente.

«Che dovete fare qui, Messeri? Vi occorrono indicazioni?» chiese il pasciuto usciere, urtando per errore un secchio pieno d'acqua sporca e una scopa sfibrata.

«Io sono di casa qui, so già dove dirigermi. Tornate pure alle vostre mansioni» gli rispose Cil, esortandoci a seguirlo.

«Ah, pare di essere tornato uno studente» commentò, assaporando con un gran respiro l'aria del cortile, «con quale strana melanconia mi tornano in mente la mensa, il sole vivido nei corridoi, le camerate, la grande biblioteca...»

«Pensavo fossi allievo del Magistro Belordi» dissi, non conoscendo esattamente quali studi s'intraprendano per divenire Alchimista.

«Non solo, Beno. Un tempo essere apprendisti di un libero maestro era sufficiente per divenire a tutti gli effetti Alchimisti,» mi spiegò Cil, «oggi non più. Da quando i verustri hanno... be' hanno di fatto acquistato l'Arte degli Alchimisti, essi hanno spostato il palazzo centrale a Mocti Lumo, ove siamo stati, e riservato per sé le cariche più importanti. Inoltre, per evitare che qualcuno si fregi del titolo di Alchimista senza aver effettuato studi certi ed autorizzati, hanno stabilito che si debba trascorrere almeno un biennio in questa Accademia, e superare una prova finale. Ovviamente se non si è stati espulsi, ad esempio per aver studiato l'alchimia proibita o compiuto qualche azione riprovevole.»

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