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Era giunto il fatidico giorno.

Jimin sarebbe andato a casa di Yoongi per la terza volta dal proprio ritorno, solo che, stavolta, avrebbe visto Haesoo, loro figlio.

I due si erano messi d'accordo per il primo vero incontro, e se il maggiore non smaniava all'idea, per il biondino non si poteva certo dire la stessa cosa.

Si sentiva davvero nervoso, aveva una strana sensazione nel petto, paragonabile a quella che si prova andando sulle montagne russe, quando il cuore si stringe nel petto talmente forte da creare un buco.

Non riusciva a stare fermo, tremava seduto sul sedile della sua macchina; non pensava di essersi mai sentito così tanto ansioso in vita sua, nemmeno prima del parto.

Era stato per tutta la mattinata al telefono con Taehyung, il quale era da solo a casa, poiché Eunji si trovava all'asilo, e Jungkook a lavoro, mentre nel pomeriggio sarebbe stato occupato con degli amici di vecchia data.
L'omega dai capelli castani aveva cercato di tranquillizzare e rasserenare il migliore amico, ma i risultati non erano stati poi molto notevoli, anzi.

Taehyung era stato chiaro: non farsi prendere dall'ansia. Eppure Jimin sentiva le mani leggermente sudate, oppure delle piccole zone del suo corpo prudere, in maniera estesamente e fastidiosa.

Quello era un sintomo di ansia che negli anni lo aveva sempre accompagnato: prima di un'interrogazione, a scuola, sentiva sempre la porzione di pelle affianco alla scapola dolere, era sistematico. Se la maglia la sfiorava, un leggero bruciore si espandeva; di controlli medici ne aveva fatti per questa cosa, ma tutti i dottori erano giunti alla stessa conclusione, ossia che fosse solamente una reazione psicologica.

Sentiva la testa pesante quel giorno, aveva aspettato tanto quel momento, ma non era mai stato così vicino a toccarlo come in quel preciso istante, fermo in macchina sotto la pioggia: era tutto così strano. Si sentiva, da una parte, isolato dal mondo esterno in quel lasso di tempo, da solo, con quel rumore rilassante di sottofondo. Dall'altra non riusciva a pensare ad altro che non fosse l'ansia che quel momento gli stava procurando.

Fu tuttavia un piccolo picchiettio al finestrino della macchina a risvegliare il biondo dal suo stato di trans, profondo come pochi. Alzò istintivamente la testa, e la prima cosa che vide fu proprio Yoongi, fermo a guardarlo con i suoi occhi scuri e perforanti; teneva un ombrello nero in mano, riparandosi dalle gocce bagnate e fredde che cadevano senza sosta dal cielo, altrettanto freddo e scuro.

«Che ci fai qui?» domandò istintivamente Jimin, ricomponendosi ma senza essersi accorto che il maggiore non potesse sentirlo stando fuori dalla macchina, anche a causa del rumore assordante della pioggia.

Infatti il rapper gli fece segno di non aver capito nulla, almeno finché l'omega non scese dal veicolo, venendo trascinato sotto l'ombrello dal compagno, che non abbandonò la sua faccia composta e severa nemmeno un momento, neanche durante il breve tragitto nel vialetto che portava all'entrata della grande casa.

«Che ci facevi lì fuori?» ribadì il modello, sempre più vicino alla porta della casa di Yoongi e Haesoo.

«Beh, dovevi arrivare circa venti minuti fa, quindi mi stavo preoccupando, poi ho visto la tua macchina e- nulla, tutto qua»

Arrossire un minimo gli fu impossibile: Yoongi aveva ammesso di essersi preoccupato per lui.
Non era molto, non era nemmeno così importante come cosa da dire, anche perché non aveva specificato di che cosa si fosse preoccupato.

Del fatto che si potesse essere fatto male?

O magari che un incidente avesse rallentato il traffico?

O che fosse scappato di nuovo?

Quell'ultimo pensiero lo fece istantaneamente rattristire, ma non lo diede a vedere: non era lì per Yoongi, ma per loro figlio, lo doveva tenere bene a mente.
Si era ripromesso molte cose Jimin, e una di queste era di lasciare il compagno definitamente, anche nella vita quotidiana. Dopo otto anni e mezzo passati assieme, Yoongi era la sua abitudine, si sentiva ancora stranito quando la mattina si svegliava senza di lui nel letto, nonostante i mesi passati a Parigi.

Quando entrava a casa, solo la quiete più assoluta dominava, mai nessuno che suonava il pianoforte, mai nessuno che lo accogliesse con un sorriso o un bacio. Si sarebbe abituato anche a questo, ma gli serviva tempo per farlo.

Così i due entrarono nell'abitazione del maggiore, e subito quell'odore dolce che sapeva di casa li travolse come un uragano, assieme a Holly, il quale, scodinzolando, accolse i due giovani proprio davanti alla porta, ricevendo qualche carezza da Yoongi e un sorriso da Jimin, troppo intimorito dal maggiore per permettersi una carezza a sua volta.

Il biondo rimase fermo a guarda l'altro, intento a rimettere apposto alcune cose sparse per casa, per qualche minuto, almeno finché Yoongi non si fermò a sua volta, pronto per salire le scale, verso la camera del bimbo dormiente.

Lo fecero assieme, gradino per gradino Jimin sentiva un piccolo blocco di ansia poggiarsi sulle proprie spalle, pesante e opprimente, come lo sguardo dell'alfa in quel momento.
Yoongi rimaneva scettico sull'aver permesso a Jimin di rientrare nelle loro vite così velocemente, forse si era lasciato convincere da Hoseok con troppa facilità, forse doveva ponderare meglio. Tuttavia, lo sguardo luccicante del biondo gli aveva infuso la speranza che quella potesse essere la scelta giusta, non avrebbe retto il caso contrario.

«Ha dormito poco stanotte, potrebbe essere un po' nervoso» attestò così il maggiore, aprendo pian piano la porta della camera di Haesoo, che era nella culla indisturbato dalla pioggia che batteva sul tetto della villa Min.

Jimin annuì, sentendo le mani sempre più sudate per il nervosismo, che tuttavia si dissipò nel momento in cui Yoongi gli diede in braccio suo figlio, in quel preciso istante si pentì di tutte le sue scelte passate, tranne una: Haesoo.
Era la creatura più bella che avesse mai visto, si chiese come fosse stato possibile che l'avesse creato lui stesso, era un mistero come una cosa tanto perfetta potesse essere uscita dal suo corpo.

«Ciao patato...» sussurrò Jimin con le lacrime agli occhi.

Lo cullò, lo tenne in braccio per ore intere quel giorno, poteva sentire un vivido calore nel petto che mai aveva sentito, poteva essere accanto alla luce dei suoi occhi: si pentiva così tanto di essersene andato.

E Yoongi rimase lì tutto il tempo, con un rancore talmente grande nel cervello, ma un dolore nel cuore che non pensava sarebbe mai davvero passato: ma doveva farcela, per il loro bambino.

Ce l'avrebbero fatta, giurarono a se stessi.

𝘚𝘦𝘦𝘴𝘢𝘸  || 𝘠𝘰𝘰𝘯𝘮𝘪𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora