Epilogo

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6 anni dopo

«Se non arriva qui entro cinque minuti non le darò neanche un centesimo» cercai di mantenere un tono di voce calmo, nonostante calma proprio non mi sentissi. E di certo il noncurante "perché?" che sentii pronunciare dall'uomo dall'altra parte del telefono non mi aiutò nell'impresa.

Mi strinsi la parte alta del naso tra le dita talmente forte da farmi venire una fitta alla testa e presi un respiro profondo. Avessi stretto un altro po' mi sarei probabilmente rotta il setto nasale e l'avrei quasi certamente fatto se non fossi stata distratta da un movimento davanti ai miei occhi.

Vidi Harry dall'altra parte della stanza che si abbottonava la camicia mimarmi con il labiale un "Non dare i numeri".

Sarebbe stato facile non farlo se non fossi stata circondata da idioti che combinavano un disastro dopo l'altro. In quel momento giurai che mai più mi sarei occupata di organizzare un matrimonio perché se l'avessi fatto un'altra volta qualcuno avrebbe dovuto pensare ad organizzare il mio funerale. Avevo talmente tanta tensione accumulata a causa dei disastri che avevo cercato di evitare per tutto il giorno che mi sorpresi non mi fosse ancora venuto un infarto, al quale ero andata molto vicina quando, solo quale ora prima, una delle damigelle si era strappata l'orlo del vestito. Avevo dovuto cercare di fermarmi dal metterle le mani al collo e mi ero dovuta improvvisare sarta e ripararlo. Ma di certo non potevo far crescere dei fiori per avere un bouquet, quindi quel maledetto fioraio doveva sbrigarsi a fare il suo lavoro se non voleva avere la mia vita sulla coscienza.

«Perché...» dissi praticamente sussurrando, ma mi interruppi perché avevo capito di essere arrivata al limite di sopportazione per quel giorno. Non ero più minimamente in grado di mantenere un tono anche solo lontanamente civile e pacato e Harry, che si morse le labbra per cercare di non ridere -facendomi solo innervosire di più- lo aveva capito benissimo.

«Perché il suo lavoro è uno, porca puttana! Consegnare gli stramaledetti fiori in tempo. E non riesce a fare nemmeno quello. Crede che un matrimonio aspetti lei? Glielo lo dico io. No! Sto aspettando da quattro ore. Quattro ore! E sa tra quanto inizia la cerimonia? Una maledettissima ora! Quindi o arriva immediatamente qui con i fiori oppure verrò da lei e farò personalmente un bouquet con le sue ossa. A lei la scelta. Sappia solo che entrambe le opzioni allevierebbero di gran lunga la mia tensione. Quindi muova il culo prima che le faccia chiudere il negozio.»

Una volta chiusa la chiamata non riuscii a non sbattere il cellulare -come non si ruppe è un mistero- sul mobile al mio fianco non riuscendo a controllare il nervosismo che aveva preso possesso di ogni singolo nervo del mio corpo. Mi poggiai con la schiena contro il muro e chiusi gli occhi.
Respirai profondamente e lentamente cercando di evitare un'imminente crollo nervoso. Il battito accelerato e le mani quasi tremanti non promettevano bene.

«Bel modo di non dare i numeri» sentii Harry ridacchiare.

Io mi portai le mani sul viso e mugolai sfinita. Avevo passato tutta la mattinata a rincorrere fiorai che si dimenticavano di consegnare i fiori, camerieri che apparecchiavano i tavoli sbagliati, cuochi che sbagliavano il menù e damigelle che dimenticavano le scarpe e sentivo che se ci fosse stato anche solo un altro problema mi avrebbero dovuta ricoverare in un ospedale psichiatrico.

«Sto per avere una crisi isterica» mi lamentai con voce ovattata a causa delle mani premute sul viso.

«Lo vedo».

Il suo tono era divertito ed avrei davvero voluto divertirmi anche io. Ma a quanto pare i matrimoni sono divertenti solo se li si guarda dall'esterno. Se ti ci ritrovi dentro a quei meccanismi infernali ne rimani schiacciato.

Lo sentii afferrarmi per la vita ed attirarmi al suo corpo e fui allora costretta ad allontanare le mani e poggiarle sulle sue spalle per poterlo guardare. Bellissimo e sorridente. I capelli portati all'indietro, ma qualche ciuffetto gli ricadeva sulla fronte come al solito. Si era tagliato la barba proprio quella mattina mentre io, accanto a lui, mi arricciavo i capelli. Con il viso pulito ed il sorriso da bambino che non avrebbe mai perso sembrava ancora il ventunenne che avevo conosciuto più di dieci anni prima eppure di anni ne erano passati, il mondo intorno a noi era cambiato, noi eravamo cambiati, ma ancora arrossivo quando mi faceva un complimento, ancora mi veniva il batticuore quando mi baciava ed ancora sentivo le mani prudere dal bisogno di toccarlo quando gli stavo lontana per troppo tempo. Io ero ancora quella quindicenne che pensava lui non avrebbe mai e poi mai guardato e lui era ancora quel ragazzo che passava un po' troppo tempo con la sorellina fastidiosa della sua ragazza. Era sempre stato l'unica costante della mia vita, l'unico punto fermo che mi impediva di impazzire completamente quando tutto intorno a me cadeva a pezzi.

The things we don't sayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora