Capitolo 25

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Il lunedì mattina me ne ero andata da casa di Harry e Tal praticamente all'alba. Non avrei avuto il coraggio di vedere nessuno dei due. Non sarei riuscita a guardare mia sorella negli occhi per il senso di colpa che ormai costantemente mi attanagliava le viscere e non avevo idea di come mi sarei dovuta comportare con Hardy. Quindi fuggire alle sei di mattina mi era sembrata la scelta migliore.

Quando ero tornata a casa il rumore aveva svegliato Katie che, dopo avermi fissata per qualche secondo, aveva scosso la testa con un espressione delusa sul viso ed era tornata nella sua camera.
Lei non capiva. Nessuno poteva capire. Era facile giudicarmi quando non erano loro a dover amare in segreto una persona che non non sarebbe mai potuta essere mia. Non sapevano quanto ti logorasse dentro la consapevolezza di avere tanto amore da dare ma non avere un posto dove metterlo.

Ero poi andata all'università nonostante riuscissi a malapena a tenere gli occhi aperti, ma di rimanere a casa a rimuginare sul casino che era diventata la mia vita non se ne parlava.

La giornata era trascorsa lentamente. Durante la lezione della professoressa Thompson mi ero addirittura addormentata per qualche minuto ma, fortunatamente, nessuno tranne Holden, seduto accanto a me, se ne accorse.
Il mio amico aveva infatti subito capito, così come Katie quella mattina, il motivo del mio malumore e non mi aveva detto niente. I miei amici sapevano che quando ero di cattivo umore era inutile tentare di parlarmi perché avrei solo risposto male e detto cose che neppure pensavo solo per il nervosismo.

Alle dodici e mezza ero finalmente riuscita ad uscire dall'università ed immaginavo già come sarebbe stato stendermi finalmente nel mio letto e dormire.

Quando uscii dal cancello e svoltai a sinistra per tornare a casa fui, però, costretta a rivedere i miei piani.

«Harry» non riuscii a trattenermi dal sussurrare sorpresa, quasi a me stessa.

Era appoggiato al muretto con le braccia e le caviglie incrociate. Indossava i soliti pantaloni neri che metteva per andare a lavoro ed un cappotto grigio che, nonostante sembrasse piuttosto caldo, non evitò che il naso gli diventasse rosso come ogni volta che faceva freddo.

«Hey Belle» disse mettendosi dritto e mettendosi le mani in tasca.

Io mi dondolai sui piedi non sapendo che fare. Non avevo idea del motivo per cui si trovasse lì ma sapevo perfettamente che stare i da soli era ormai diventato molto pericoloso.

«Ho solo venti minuti prima di tornare a lavoro e ho davvero bisogno di parlarti. Puoi?» mi chiese guardandomi attentamente per captare ogni espressione del mio viso mentre parlare.

Mai, da quando ci eravamo conosciuti, avevamo dosato le parole ed utilizzato una tale cautela nel relazionarci all'altro come in quel periodo e, non potevo negarlo, faceva male. Volevo solo che mi stringesse tra le sue braccia e mi desse un bacio sulla fronte. Se ci pensavo abbastanza intensamente potevo quasi sentire la sua voce che mi chiamava bambolina.

Io annuii ignorando la stanchezza che a malapena mi permetteva di reggermi in piedi. Perché tanto non gli avrei mai detto di no.

«Stai gelando Belle» disse facendo scorrere lo sguardo su tutto il mio corpo.

Io solo allora mi resi conto che quanto le mie mani fossero fredde, tanto che tremavano leggermente.
Effettivamente quel giorno le temperature  erano calate improvvisamente e mi ero resa conto che non mancava poi così tanto all'arrivo di dicembre. Mai avevo temuto tanto l'arrivo del Natale come quell'anno. L'idea di avere tutta la mia famiglia riunita, che solitamente mi rendeva impaziente all'arrivo di quella festa, quella volta mi causava una sensazione di nausea incontrollabile.

«Va tutto bene» gli dissi prima di sfregare le mani tra loro e poi metterle in tasca.

«Ho la macchina qui-» fece un cenno con la testa alle dove vidi parcheggiata la sua macchina «-andiamo lì a parlare, almeno staremo al caldo.»

The things we don't sayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora