Capitolo 19

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Mi faceva male ogni parte del corpo. La mano per il taglio ancora presente. Il ginocchio per la ferita che mi ero fatta cadendo. La testa perché avevo passato la notte a piangere. La schiena perché ero stata rannicchiata su un fianco per ore. E poi c'era quell'insopportabile dolore al petto che non voleva abbandonarmi.
Sarà stato il senso di colpa? Sarà stato l'amore non ricambiato? Sarà stata la mia vita, che aveva improvvisamente incominciato a starmi stretta?

Ero riuscita ad addormentarmi solo verso le cinque di mattina per poi svegliarmi alle sette, dopo aver sognato Harry. Non era stato un sogno particolarmente articolato, o perlomeno non ricordavo che lo fosse stato. Ricordavo solo il suo viso sorridente ed i suoi occhi verdi luminosi. Era una tortura. Il mio cervello mi voleva torturare anche mentre dormivo.

Erano quindi le dodici ed io ero ancora nella stessa posizione sul letto.
Katie non mi aveva abbandonata un attimo. Mi aveva accarezzato i capelli per tutta la notte ed asciugato le lacrime. Aveva, quindi, deciso che non potevo rimanere così. Aveva alloda chiamato Nancy, svegliandola, ed imponendole di raggiungerci.
Nancy era arrivata ma io non mi ero mossa.

«Belle devi alzarti da quel letto, mangia qualcosa» mi disse dolcemente Katie.

Erano entrambe sedute sul letto al mio fianco e mi guardavano come se fossi una bomba pronta a scoppiare da un momento all'altro.

«Non ho fame» borbottai, affondando ancora di più la faccia nel cuscino. Avrei voluto sprofondarci sul serio, in quel cuscino, e non riemergere più.

Non piangevo più, ma solo perché non avevo più lacrime, non perché mi sentissi meglio. Anzi più passava il tempo, più rimuginavo su quello che avevo fatto, più mi sentivo uno schifo. E più passava il tempo, più ripercorrevo i ricordi si tutti quegli anni con Harry e più mi rendevo conto che era davvero così. Che lo amavo.

«Isabelle, o alzi il culo dal letto e ti nutri o ti ficco il cibo in gola» intervenne Nancy, decisamente meno dolcemente di Katie.

«Fallo, magari mi ci strozzo.»

«Eh no mia cara, se devi morire fallo con classe, di certo non vestita come una barbona e con una polpetta in gola» mi prese per il polso, tirandomi con forza per costringermi a mettermi seduta. Mi girò la testa per un attimo per il movimento brusco.

Io guardai Katie, sperando che almeno lei mo assecondasse e mi facesse rimanere a letto a marcire nel mio senso di colpa.
Lei però scosse la testa, distruggendo tutte le mie speranze.

«Mi dispiace, ma sono d'accordo con lei. Con i suoi modi un po' meno, ma il succo della questione è questo. Non risolverai niente rimanendo a letto a crogiolarti nel tuo dolore. Alzati e affronta quello che è successo» mi mise una mano sulla spalla e mi accarezzò piano.

Io sospirai, sapendo che aveva ragione. Non avrei di certo potuto nascondermi nella mia camera da letto per sempre, anche se lo avrei tanto voluto.

«D'accordo, mi alzo» dissi stendendo le gambe a terra, nel momento in cui sentii il rumore del campanello.

«Sono arrivati i rinforzi!» esclamò Nancy alzandosi per andare ad aprire.
Io mi girai confusa verso Katie che si limitò a sorridermi.

«Dov'è la piccola e depressa Anderson?» sentii la voce di Cameron ed un secondo dopo entrò in camera seguito da Holden, che teneva in mano una busta gigante di patatine che presumevo essere alla paprika, le mie preferite.

«Tutti noi abbiamo il compito di rimetterti in sesto e costringerti a smetterla di piangerti addosso. E a questo serviranno le patatine» Holden mosse la busta di patatine, riuscendo addormito a strapparmi un piccolo sorriso amaro. Non merito di essere rimessa in sesto. Meritavo di essere spinta sempre più giù ed essere lasciata da sola a marcire. Perché tanto marcia dentro lo ero già.

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