Capitolo 14

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Io ero una cretina. Era quella la conclusione a cui ero arrivata dopo non essere, di nuovo, riuscita rifiutare un'uscita con Charles.
Lo ero davvero. Ero una cretina, una stupida, una tonta e qualsiasi altro insulto alla mia intelligenza.
Perché di intelligenza non si poteva parlare se per una mia stupida paura di far star male le persone continuavo ad uscire con un ragazzo di cui non mi importava assolutamente nulla con la certezza che, più avessi portato avanti la cosa, più lui avrebbe sofferto quando mi sarei decisa a tirare fuori le palle e dirgli la verità.

Ma io a fingere ero diventata estremamente brava in quegli anni. Quindi, dopo una serata passata a comportarmi come una civettuola -parte che negli anni avevo imparato a fare mia- a bere vino e a parlare parlare con Charles quando tutto ciò che volevo fare era scappare via, mi ritrovavo a passeggiare per le strade di Manhattan con lui al mio fianco. Leggermente brilla, ma ancora troppo lucida per riuscire ad apprezzare realmente la sua compagnia. E la parte peggiore è che non era nemmeno colpa sua. In un altro momento della mia vita e se non fossi stata così emotivamente disturbata mi sarebbe, molto probabilmente, piaciuto.

«Ti sto annoiando eh?» mi diede una leggera spinta sulla spalla guardandomi con un sorriso. Ecco. Era perfetto. Mi sorrideva nonostante per tutta la sera avessi palesemente finto ogni risata e non avessi ascoltato neanche la metà di ciò che aveva detto.

«No» mi affrettai a rispondere e mi passai una mano tra i capelli «certo che no. È solo che sono un po' stanca, tutto qui.»

«Non sei costretta a mentire, Belle. Non mi arrabbio mica se mi dici la verità.»

Io sbuffai e mi fermai sul marciapiede. Avevo troppo bisogno di far uscire i pensieri dalla mia testa ed il vino mi aveva tolto quel poco di forza di volontà che avevo e quindi, nonostante me ne sarei quasi sicuramente pentita il giorno dopo, gli presi la mano e lo trascinai su una panchina poco distante.

Rabbrividii appena mi sedetti e le mie gambe nude toccavano il metallo. Mi strinsi nella mia giacca e cercai di capire perché stavo per raccontare ad un ragazzo che conoscevo appena ciò che mi passava per la testa. E forse era proprio quello il motivo. Di certo non potevo parlarne con mia sorella e parlarne con i miei amici lo faceva sembrare troppo reale.

«Vuoi davvero la verità? E ti avverto, potresti pentirtene perché quando bevo parlo troppo e non so fermarmi.»

«Fidati, ho davvero voglia di sentirti parlare onestamente.»

Non mi stava accusando, continuava a sorridere e quello mi faceva sentire ancora di più uno schifo per come lo avevo trattato. Credevo di essere riuscita ad ingannarlo, a fargli credere -con davvero poco sforzo- di essere interessata a lui ma, evidentemente, non ero un'attrice così brava.

«Allora, io comincio ma molto probabilmente dopo questo non vorrai mai più vedermi ed io non ti biasimerei affatto.»

«Sono qui dopo che per tre volte sei scappata via da me, credo di poter resistere.»

Io ridacchiai e mi voltai verso di lui sentendo il bisogno di far uscire dalla mia testa tutti i pensieri che da settimane mi torturavano.

«Io non ho idea di cosa voglia dire innamorarsi» fu così che esordii. Tra tutte le cose che potevo dire quella era stata la prima ad uscire dalla mia bocca e non avevo neppure idea di starla pensando.

Lui alzò le sopracciglia sorpreso.

«Non ti sei mai in innamorata?»

Io scossi la testa ed abbassai lo sguardo perché dirlo ad alta voce lo faceva sembrare ancora più strano.

«Ed è solo questo che tu turba da quando mi hai conosciuto? Guarda che me sono accorto che sei sempre con la testa da un'altra parte. Ci deve essere qualcos'altro e scommetto che questo qualcosa è quello che ti ha spinta a venire a letto con me quella sera, vero?»

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