Capitolo 23

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Daisy

"Quindi Daisy, me lo dici cosa ci fai qui fuori tutta sola o no?" mi domanda Stephen guardandomi con quegli occhi che hanno lo stesso colore dell'oro colato.
"Nulla, stavo leggendo." dico facendo un cenno verso il libro che stringo tra le mani.
Un sorriso sghembo si apre lentamente sul suo volto. Dannazione se è bello.
"Questo lo vedo." dice. "Ma non capisco. All'interno c'è una festa, perche te ne stai qui fuori, al freddo e tutta sola a leggere invece che godertela come fanno tutti?"
"Perché non mi andava più di stare lì dentro. Era diventato. . ." inizio a dire, ma lui mi interrompe e finisce la frase al posto mio.
"Opprimente. Lo so." annuisce serio, cogliendomi di sorpresa.
"Come fai a saperlo? Vedi spesso eventi di questo tipo?" domando curiosa.
"Come ti ho appena detto, vivo qui, perciò eventi di questo tipo non sono affatto una rarità." risponde con un alzata di spalle e un sorriso sghembo.
Mi ricorda qualcosa, o qualcuno. Magari qualche personaggio di uno dei miei romanzi o semplicemente un angelo caduto dal cielo.
"Come mai vivi qui? Voglio dire. . . chi sono i tuoi genitori?" chiedo. So di sembrare un po ficcanaso, d'altronde non so nemmeno chi sia questa persona, ma la curiosità è il mio più grande difetto e non riesco a trattenermi.
"Oh, i miei genitori non sono mai qui, a dire il vero non li vedo da un pò ormai." dice con nonchalce, ma non mi sfugge il modo in cui la sua mascella si serra e i suoi lineamenti si induriscono di botto. Nonostante quell'accenno di sorriso che gli illumina ancora lo sguardo, lo vedo che la cosa lo turba.
"Quand'è stata l'ultima volta che li hai visi?" continuo io, convinta di non addentrarmi in alcun tipo di strana o inopportuna conversazione, ma come apre bocca mi rendo conto dell'esatto contrario.
"Dal giorno in cui hanno deciso di punto in bianco di prendere il primo volo disponibile e andarsene chissà dove in giro per il mondo. Non tornano mai a casa. A volte mi inviano dei regali, cartoline per ogni luogo che visitano e soldi, tanti soldi. Fanno si che anche a distanza non mi manchi mai nulla. Il problema è che non si rendono minimamente conto che l'unica cosa di cui avrei bisogno di più al mondo è che tornassero qui, almeno qualche volta. Tipo per il mio compleanno, per Natale o non so. . . Ma non lo fanno mai. A malapena chiamano per farmi gli auguri." conclude ridacchiando amaramente tra se e sé.
Lo guardo, costringendo me stessa a non farlo troppo intensamente, ma resto li ad osservare ogni sua mossa, ogni suo millimetro di volto, il tono di voce che si incrina e il respiro che si affanna, quasi sarei in grado di sentire il suo cuore accelerare il ritmo. D'altronde quando sei una scrittrice sai far caso ad ogni tipo di dettaglio, nulla sfugge mai al tuo sguardo attento. Eppure, in questo momento sto maledicendo me stessa per non riuscire a leggere questo ragazzo. Vedo l'effetto che il parlare dei suoi ha su di lui, vedo che ci sta male e capisco ogni suo fastidio e sofferenza a riguardo, eppure allo stesso tempo sento che c'è di più, sento che sta omettendo un qualcosa di importante nel suo racconto, ma cosa?
"E non hai mai pensato di dirtglielo?" domando senza distogliere lo sguardo dal suo volto affranto. "Di tornare, intendo." aggiungo.
"Pensi che non l'abbia mai fatto?" chiede con un altra risata amara, quasi isterica. "Tu non mi conosci, ma non sai quante notti in lacrime ho passato sperando che tornassero a casa e non l'hanno fatto." conclude. E capisco che la conversazione è finita, così annuisco in silenzio, non sapendo bene cosa aggiungere. Ma con mia grande sorpresa è lui ha rompere il silenzio.
"Qual è la tua storia invece?" domanda girandosi verso di me con un sorriso a trentadue denti.
"La mia storia?" ripeto e mi stupisco da sola della poca sicurezza che traspare dalla mia voce. Cavolo, è possibile che mi faccia già questo effetto?
"Si, Daisy Fay Buchanan, la tua storia." ripete allargando ulteriormente il sorriso.
Per un attimo resto a bocca aperta nel sentire quel nome, mi ha veramente chiamato come la Daisy del romanzo di Fitzgerald, "Il Grande Gatsby"?
E in meno di due secondi il mio volto si apre in un immenso sorriso e inizio a raccontare a questo ragazzo la storia della mia vita. Di come mia madre mi abbia cresciuta da sola come meglio poteva, nonostante i suoi modi un po troppo apprensivi, compreso il suo attaccamento alla società. Gli parlo di mio padre, che non ho mai conosciuto e del fatto che mia madre non me ne abbia mai voluto parlare.
E in fine gli parlo finalmente di me, della mia passione per la scrittura e dei miei sogni ambiziosi di scrivere storie appassionanti e venderle in tutto il mondo. La cosa che mi stupisce di più è il fatto che non si mette a ridere, bensì mi ascolta serio e interessato per tutto il tempo.
Che possa questo ragazzo essere reale e non frutto della mia fantasia, come tante delle storie che immagino?
La conversazione sembra durare per ore, scherziamo, ridiamo e parliamo di così tante cose che perdo la cognizione del tempo. Finché una voce che conosco fin troppo bene tuona nel giardino catapultandomi nuovamente nelle realtà.
"Daisy!" urla mia madre dal portone del palazzo facendomi sobbalzare per lo spavento. "Cosa diavolo fai qui fuori con quello lì?! Entra subito!" sbraita, per poi girarsi e rientrare nel palazzo.
Mi alzo in piedi di botto, tornando a stringere al petto il mio libro.
"Stephen, io. . ." balbetto non sapendo bene cosa dire.
"È tua madre?" chiede con un mezzo sorriso, lo stesso mezzo sorriso che mi ha fatto venire le farfalle nello stomaco per tutto il tempo.
"Si." sospiro. "E devo fare come dice, altrimenti. . ." continuo, ma lui mi interrompe ancora.
"Altrimenti cosa? Cosa mai potrebbe fare se non fai esattamente come dici?" chiede curioso, con una strana luce negli occhi. Cos'ha in mente?
"Io ho un idea migliore." aggiunge sorridendo.
"Cioè?" domando sinceramente curiosa.
"Vuoi venire in un posto?" chiede alzandosi in piedi e porgendomi la mano. "D'altronde ti ha chiesto di rientrare nel palazzo, e questo posto è all'interno del palazzo, quindi non facciamo niente di diverso da quanto ha chiesto." continua con un alzata di spalle, facendomi ridacchiare.
E contro tutto, contro ogni briciolo di buon senso, ma soprattutto contro mia madre, mi ritrovo ad annuire e a correre verso una scalinata a chiocciola all'interno del palazzo.
Può qualcuno essere così sereno e felice con un completo estraneo?

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Hey lettoriii!!❤️
come state?
Chiedo scusa per la sparizione degli ultimi tempi, me spero di farmi perdonare al meglio!

Hope 2, two souls and one star Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora