Capitolo 10

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Jane

Inquieta e malinconica.
Ecco come mi sento.
Come se mi trovassi perennemente sull'orlo di un burrone con la consapevolezza che da un momento all'altro una semplice e leggera folata di vento potrebbe farmi scuvolare giù.
Ma al tempo stesso, mi sento anche tremendamente apatica. Quasi come se l'idea che quella folata di vento possa spingermi giù, non mi toccasse affatto. Quasi come se non mi importasse di cadere.
D'altronde, non sono già sprofondata nel punto più basso?
Eppure, a tutto ciò ci si mette anche il mio istinto di autoconservazione.
E il mio cervello continua a ripetere che non posso affatto andare avanti così. Semplicemente perché questo non significa veramente andare avanti.
È a questo che pensavo qualche minuto fa sotto la doccia, mentre il raggio caldo dell'acqua mi scrosciava addosso, portandosi via gran parte della tensione accumulata negli ultimi giorni. Se c'è una cosa che invidio e che adoro dell'appartamento di Kathy e Josh, è proprio la doccia. Che messa a confronto con quella di casa mia sembra enorme e super accogliente, anche se paragonata a quella della casa di Will non si direbbe neanche la metà.
Ma non è alla doccia di Will che devo pensare adesso, e tantomeno a lui.
Lascio che il mio sguardo si perda tra i palazzi in lontananza, tra le strade trafficate già di prima mattina di New York. Non ho saputo resistere. Sono tornata su questa terrazza appena se ne presentata l'occasione.
Ieri sera, dopo essere rientrati a casa dal barbecue a casa degli amici di Kathy, non ho saputo far altro se non crollare letteralmente sul letto. Non ho avuto neanche la forza di alzarmi per mettere il pigiama o andare a lavarmi, sono semplicemente caduta in un sonno profondo che mi ha avvolto completamente nell'istante esatto in cui ho toccato la testa sul cuscino. Eppure questa mattina, appena mi sono svegliata, i ricordi della sera precedente sono riaffiorati vorticosamente e l'immagine di un ragazzo sorridente dagli occhi chiari e i capelli dorati mi ha quasi fatta sorridere. Non so cosa avesse quel ragazzo da colpirmi così tanto, neanche lo conosco davvero, so solo che mi sono trovata stranamente in sintonia con lui, con un completo estraneo. Ma non un estraneo qualsiasi, uno che mi guardava per davvero e provava a capirmi, quasi come se fosse vitale per lui riuscire a farlo. E quando mi è corso dietro solo per lasciarmi il suo numero . . . Quel gesto mi ha scaldato il cuore, per la pria volta dopo giorni.
Un gesto romantico.
Un gesto che uno come Will non sarebbe in grado neanche di pensare. . .
Ed eccomi punto a capo.
A paragonare un ragazzo dolce e gentile che sembrava sinceramente interessato a me, con uno stronzo e arrogante come William Price.
Perché ho dovuto innamorarmi proprio di lui? Perché?
Perché non di un ragazzo dolce, carino e gentile come Mattew?
Se stessi con Matt sarebbe tutto diverso.
Non avrebbe niente a che fare con quello che ho vissuto stando con Will. Niente bugie, niente passato che torna a tormentarci, niente inganni e niente giochi d'azzardo.
Ma pultroppo non accadrà mai.
Per quanto possa sperare, non guarderò mai nessun'altro davvero, non mi innamorerò mai di nessun altro . . . Non dopo che ho amato lui con tutta me stessa.
Con un sospiro, scivolo giù dal basso muretto e atterro sul terriccio di polvere e cemento sgretolato che ricopre il tetto. Mi avvio alle scale intenta a scendere il primo gradino, ma poi ci ripenso e raggiungo l'ascensore, proprio accanto a me. Entro e prima che possa cambiare idea lo faccio partire e aspetto che si fermi, in silenzio, accompagnata solo dallo stridio metallico del marchingegno arrugginito, ma ancora in forze.
Con un suono ancora più acuto di questo, che da quasi l'idea di un'agonia atroce, le porte si spalancano e io faccio per uscire, ma appena i miei occhi guardano all'estero dell'ascensore per poco non sobbalzo dalla sorpresa e mi blocco all'istante, incapace di realizzare cosa ho davanti.
E il cuore mi balza in gola per ciò che ho davanti. O meglio, chi ho davanti.
Seduto sugli scalini davanti alla porta dell'appartamento di mia sorella, con una scatola tra le mani, i capelli castano ramato e gli occhi color ambra scura, che riflettono la luce d'orata alla perfezione, c'è Daniel. Il quale, appena mi vede arrivare, si alza in piedi con un sorriso enorme, nonostante l'incertezza che leggo nei suoi occhi, e mi viene incontro titubante, ma felice di vedermi.
"Dan. . ." sussurro, incredula. E senza bisogno di pensarci oltre, esco dall'ascensore e corro verso di lui, fiondandomi letteralmente tra le sue braccia.
E non so nemmeno per quale assurdo motivo.
Dovrei odiarlo.
Dovrei avercela a morte con lui.
Dovrei staccarmi immediatamente da questo abbraccio e prenderlo a pugni, urlandogli le peggio cose e ordinargli di andarsene e tornare a Los Angeles, lontano da me.
Perché se sono qui, lontana da casa, se ho rotto con Will, se sono caduta vittima di uno stupido gioco vietato ai minori. . . la colpa è anche sua.
Anche lui faceva parte del gruppo di persone che erano coinvole.
Lo erano tutti.
Eppure, Daniel, in confronto a tutti gli altri, aveva sempre avuto l'intenzione di dirmi tutta la verità. Lui era l'unico che aveva anche solo sentito l'istinto di dirmelo.
E so che non dovrei perdonarlo così i fretta, forse non sono neanche sicura di averlo ancora fatto. Ma di una cosa sono certa, la sensazione che mi invade appena le sue braccia mi stringono a sé è talmente bella e confortante che per un attimo dimentico tutto il resto.

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