Capitolo 20

978 21 16
                                    

Jane

Sento il freddo gelido salire dalle mie mani fino nelle ossa, appena le appoggio sul ferro arrugginito della sbarra che funge da cinta per la terrazza. L'unico ostacolo che mi impedisce di cadere nel vuoto sotto di me, un vuoto decisamente molto più accogliente di quello che ho dentro.
Basterebbe cosi poco a lasciarmi inghiottire da quel vuoto.
Un passo e sarebbe tutto finito.
I ricordi di un passato che non lasciano la presa sul mio presente.
L'immagine di mia madre intubata su quel letto di ospedale, incoscente e ignara di quello che le succede intorno. Inconsapevole che sua figlia si è innamorata dell'ultima persona al mondo alla quale avrebbe mai dovuto permettere di rubargli il cuore.
Mi sporgo ancora di più sul muro di cinta, con lo sguardo, sfocato dalle lacrime, puntato verso la strada e il traffico lontano.
Inizia a diventare tutto così familiare.
L'aria satura di smog, la brezza leggera, il panorama, persino il chiasso sembra fare meno rumore riespetto a quando sono arrivata.
Ma ciò nonostante, non potrei mai vive qui.
Potrei abituarmici, potrei iniziare ad amalgamare me stessa con il posto, a figermi felice come ho sempre fatto. Ma non sarà mai casa.
Ormai niente lo è più.
Non da quando. . . Non da quando lui l'ha distrutta.
Perché lui era l'unica casa a cui sentivo di appartenere.
E adesso. . . Che cosa mi resta?

Guardo le auto lontane rincorrersi. I passanti accellerare il passo. E le luci illuminare le strade.
Assurdo come questa città sembri più viva di notte che di giorno.

Eppure mi basta alzare gli occhi al cielo e tutto scompare.
Ogni remota possibilità o idea di restare qui.
Ogni briciola di speranza di dimenticarlo viene risucchiata via nell'esatto istante in cui il mio sguardo incontra le stelle.

E improvvisamente i miei pensieri prendono una piega diversa.
Una piega pericolosamente diversa.
Inizio a scorgerla, la luce che certe stelle emanano. Come se bastasse cosi poco per raggiungerla. Come se tutto potesse risultare più semplice di quello che è.

Rivedo gli occhi, il volto e la presenza di Will al concerto, pochi istanti fa. O forse ore?
Non lo so, ho perso la cognizione del tempo da quando sono salita quassù.
Sento le sue braccia che mi cingono i fianchi, che mi sorreggono. E, ancora una volta, mi impediscono di cadere, di toccare il fondo.
Come potrei non amarlo? Come potrei smettere di farlo?
Semplice.
Non posso.

E sento le lacrime rigarmi il volto senza sosta. Sento i singhiozzi scoppiare tra le mie labbra, e la mia forza di volontà cedere. Ho bisogno di questo.
Ho bisogno di piangere.
Di sfogare ogni sentimento trattenuto o celato negli anni.
No, non solo negli anni. Ma negli ultimi mesi, da quando l'ho conosciuto.

Sento l'aria gelida della notte pungermi il viso ormai quasi completamente bagnato e la tentazione di asciugarmi le lacrime, consapevole che sarebbe del tutto inutile visto che non possono smettere di scendere.
Continuo a dare sfogo ai singhiozzi strozzati che esplodono in un pianto affannato.
Riesco a vedere il suo sguardo nel momento esatto in cui ha incrociato il mio. Il colore degli occhi che sfuma in un verde più intenso appena i miei occhi vi ci posano sopra.
Sento la sensazione delle sue braccia forti che mi stringono e del suo petto sodo contro la mia schiena.
Ero così felice pochi istanti prima che arrivasse.
Ero così tranquilla, per la prima volta dopo giorni.
Ma forse. . . A pensarci bene non è vero.
Credevo di essere felice anche prima di conoscerlo. Credevo di avere tutto ciò che potevo desiderare. Credevo di non volere l'amore nella mia vita, quell'amore di cui si legge nei libri, quello vero, profondo e travolgente.
Credevo di essere felice.

Ma poi è arrivato lui.

Così, di punto in bianco, come un temporale in pieno agosto.
E ora so che la mia vita prima di lui era solo la calma prima della tempesta, che la vera storia, la vera vita, doveva ancora iniziare.

Hope 2, two souls and one star Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora