La scommessa

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Il rientro a casa era il momento migliore dopo la gara. Lasciare le valigie davanti alla porta e sprofondare con un tuffo nel divano, anche se il mio non era un vero e proprio divano, ma un due posti scarso. Mattia mi raggiunse qualche ora più tardi, in tempo per ordinare una pizza per cena, carico di roba, come un somaro argentino. I suoi genitori, come annunciato, avevano ammucchiato la sua roba in garage, cancellando ogni traccia della presenza del figlio in quella casa. Ovviamente, Mattia non aveva preso con se tutto quello che loro avevano deciso di far sparire, solo il minimo indispensabile, consistente in quello che poteva essere almeno il triplo del mio guardaroba.

Facemmo un po' di spazio, nel tentativo di tenere tutto in ordine, ma il mio piccolissimo appartamento non era progettato per contenere ciò che poteva possedere un amante della moda e dello shopping come il mio amico.

Gettammo, ben presto, la spugna, lasciando parecchi scatoloni negli angoli e dopo cena ci concedemmo finalmente il meritato riposo.

Trascorremmo il giorno successivo a prodigarci, nel tentativo di reperire un armadio che potesse trovare ubicazione nella mia mini-casa, e ci riuscimmo, utilizzando il piccolo stanzino accanto alla camera da letto per sistemarci il nuovo guardaroba del mio coinquilino, che aveva anche invaso due delle sei ante del mio.

Il rientro in sede non fu entusiasmante per Mattia, quanto il suo trasferimento da me. Franco e i vertici avevano indetto una riunione, nella quale avrebbero discusso del campionato, ma sapevamo già che il tema designato non poteva essere altro che l'errore della gara precedente. Il mio nuovo coinquilino si era guadagnato un provvedimento disciplinare che consisteva nella sua esclusione dal gran premio successivo in Francia, con sospensione di una settimana. Sarebbe rientrato nel team per il Mugello, due settimane dopo Le Mans. Ciò voleva significare che per quella tappa non avrei potuto contare sulla sua compagnia.

Mattia, comunque, sembrò abbastanza sollevato da quella decisione. Si era aspettato il licenziamento, ma la squadra non poteva permettersi di perdere le sue doti tecniche. Anche se temporaneamente relegato in sede, non avrebbe perso il posto in pista.

Fu una settimana abbastanza lunga, terribile dover ripartire, lasciando Mattia in aeroporto. Non stavo male con gli altri meccanici ed il resto del team, ma lui era il mio unico vero amico, la sua assenza mi rattristava parecchio.

Quando mettemmo piede il primo giorno sul circuito di Le Mans, il cielo plumbeo non preannunciava nulla di buono e le previsioni del tempo assicuravano che quella sarebbe stata una settimana di intensa pioggia.

Alex era abituato a correre in condizioni di bagnato, le gare nei campionati minori disputati nella sua cara Inghilterra, erano quasi sempre caratterizzati dal clima piovoso della nazione, ma questa era un'altra categoria, era il suo anno di debutto e dopo ciò che era accaduto a Jerez il piccoletto sembrava sfiduciato e molto arrabbiato. Nessuno dei due sentimenti è compatibili con le gare.

Terminammo di allestire il box il mercoledì sera, pronti alle sessioni del giorno successivo, montammo la moto e ci ritirammo nella zona paddock a disposizione per ospitarci per la notte. Anche per questa tappa il team aveva preferito alloggiare in autodromo, invece che spedirci in albergo.

Quando, il venerdì, Alex montò in sella, batteva una leggera, ma intensa pioggerellina. Per i primi giri tutto filò liscio, avevamo l'ottavo tempo, ma alla terza uscita alla chicane Dunlop, forse a causa delle gomme non ancora in temperatura, durante il giro di lancio perse il posteriore, finendo fuori pista. Ci mettemmo un po' a rimettere a posto la moto e quando finalmente chiudemmo i battenti per quel giorno, eravamo liberi fino a quello successivo.

Ero appena uscita dalla casetta mobile dello staff dopo una riunione, pronta a fare il giro turistico di Le Mans, quando trovai, seduto per terra, in un angolino angusto all'esterno della zona della sua roulotte privata, Alex. Teneva strette le ginocchia al petto, la testa coperta dalla visiera del berretto. Mi avvicinai, chiedendogli come stava in inglese. Una delle fortune del nostro pilota era proprio provenire dal paese che aveva offerto al mondo intero una lingua universale. Alex non spiccicava una parola in altri idiomi, tanto meno in italiano, fatta eccezione per GRAZIE e CIAO.

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