Quando imboccai l'uscita per Roma, lasciandomi alle spalle l'autostrada, quella che era stata un'esperienza catartica, che aveva riportato allo stato originale la mia anima da rider, si trasformò in un attacco d'ansia smisurato. Il solo pensiero di presentarmi all'officina di mio padre a bordo, ma soprattutto alla guida, di una due ruote, era quanto di più complicato potessi giustificare. Come avrebbe reagito?
Non mi aveva mai esplicitamente vietato di guidare una moto, ma implicitamente fatto capire che non avrebbe voluto che lo facessi. Certo, non ero più una ragazzina, tutto quello che facevo lo decidevo da sola già da tempo immemorabile, ma il solo materializzarsi nei miei ricordi dell'espressione di estrema delusione e di paura per le mie condizioni che si era dipinta sul volto di mio padre al risveglio dal coma, mi aveva sempre messo un certo timore nel mettere in dubbio la sua volontà riguardo a quella tematica.
Iniziai a ridurre la velocità, per giungere a destinazione quanto più tardi possibile. Quando indugiai più del necessario all'ennesimo semaforo verde, Juan capì che c'era qualcosa che non andava e, senza fare domande, né pretendere una spiegazione, mi propose di prendere il mio posto alla guida e di fare da navigatore per raggiungere la nostra meta. Accettai, ringraziando il cielo di averlo fornito di tanta recettività.
Ci volle quasi un'ora e mezzo per districarci attraverso il traffico romano e raggiungere l'officina, ma una volta arrivati, facemmo ingresso accostandoci al lato della prima entrata, quella che dava direttamente sull'ufficio.
L'officina era un capannone grande parecchie centinaia di metri quadri, nel quale erano stipate una dozzina di auto in attesa di manutenzione e una decina di motociclette.
L'odore di quel posto mi riconduceva sempre alla mia infanzia, quando dopo la scuola entravo ed iniziavo sentir parlare di carburatori, pezzi che non erano ancora arrivati, clienti brontoloni... Quello era stato il mio parco giochi.
Juan non tolse immediatamente il casco, sotto mio esplicito suggerimento. Salutai gli operai e ci dirigemmo in ufficio, dove Fernando stava parlando al telefono con un cliente. Si sciolse in un sorriso quasi commosso quando mi scorse, che si trasformò in un'espressione da perfetto idiota, quando Ernandez si tolse il casco, mostrandosi. Sentivo il suo interlocutore sgolarsi dall'altro capo della cornetta, nonostante il frastuono proveniente dai collaboratori che lavoravano fuori da quell'ufficio, ma mio padre sembrò ipnotizzato, tanto che ci mise qualche istante prima di riprendere la sua conversazione, facendoci cenno di metterci a sedere. Era talmente impaziente di conoscere un vero pilota, un campione di MotoGP, che troncò velocemente la telefonata e dopo aver posato il cellulare, osservò per parecchi secondi Juan, quasi senza degnarmi di uno sguardo. Mi lasciai sfuggire un colpetto di tosse per mettere fine a quella situazione imbarazzante.
-Papà, ti presento Juan Ernandez. - dissi, cercando di attirare la sua attenzione.
Fernando scosse la testa, come a svegliarsi da quel sogno ad occhi aperti e balbetto -Piacere...- allungando la mano callosa e tremante.
Juan non sembrava affatto imbarazzato da quel genere di reazione, probabilmente era abituato ad essere guardato a quella maniera e sortire quell'effetto. Ovviamente partirono le solite domande di rito: come stai? Quando sei arrivata? Quanto ti tratterrai? E come prevedevo, uno sguardo di profonda preoccupazione si dipinse sul volto di mio padre, quando venne a conoscenza del mezzo di trasporto che avevamo utilizzato per raggiungere Roma da Barcellona, sguardo che divenne quasi puro terrore, appena seppe che nell'ultima parte di tragitto ero stata io il guidatore.
Anche forse più preparato di me, Juan affrontò l'ansia di mio padre, iniziando a descrivermi come una guidatrice prudente e capace. Questa era una delle altre doti che Ernandez possedeva: sapeva destreggiarsi bene con le parole, anche se non utilizzava un italiano perfetto, a causa, forse, di tutti gli anni trascorsi a rilasciare interviste, tentando (E sottolineo tentando, perché con me non aveva raggiunto lo scopo) di tirare il pubblico dalla sua parte.
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the Race to Love
ChickLitDafne è stata sempre una ragazza atipica. Cresciuta da sola con suo padre nella loro officina meccanica, ha sempre amato i motori, gareggiando, da bambina, nelle competizioni minori. appena adolescente però, si ritrova a dover fare i conti con un fa...