Il sesto senso

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Era stata dura riprendersi dall'infortunio alla gamba, ma lo era stato ancora di più riprendermi dalla perdita del titolo. Una delle domande che mi era stata più spesso posta era: "Deve essere stata dura perdere il titolo già nelle tue mani, a poche tornate dalla conclusione del Gp?" ed io avevo risposto come il caro vecchio Diaz mi aveva insegnato a fare, dicendo ciò che la gente voleva sentirsi dire, non la verità, perché non importa se hai perso all'ultima curva o alla prima, all'ultima gara o alla terza, quando perdi è sempre difficile digerirlo, che sia stato un tuo orrore o quello di un altro pilota che ti ha travolto involontariamente. Nella seconda di queste opzioni puoi dare la colpa a qualcun altro, ma quello che provi non cambia... fa male allo stesso modo.

Comunque dovevo ingoiare il rospo, rimettermi in forma e pensare ad essere pronto per l'anno che mi attendeva. Dovevo dimostrare di essere sempre e comunque il migliore, anche se mi ero distrutto una gamba, anche se mentalmente ero ancora impelagato in un rapporto sentimentale oramai definitivamente concluso, ma tanto prepotentemente presente nel profondo. Anche quest'ultima questione era stata incredibilmente ostica da superare.

Nonostante fossi cosciente che il mio rapporto con Dafne fosse stato tossico sin dall'inizio, mi ero ostinato a credere che le cose potessero migliorare, un po' come quando sali per la prima volta su una nuova moto per i test e all'inizio ti sembra bizzosa e indisciplinata, ti scaraventa sull'asfalto, ma ci risali perché tu sei il migliore e la domerai. Ecco Dafne era una moto che non voleva essere domata e io non riuscivo a trovare altre soluzioni se non quella di abbandonare quel box e guardare avanti, con tutti i rimpianti di non essere riuscito a finire una cosa bella.

Avevo dunque trascorso il periodo pre-campionato tra visite mediche, riabilitazione e una compagna ormai convivente che sopportavo a malapena, ma che in fin dei conti mi teneva compagnia ed era facile da gestire.

Quando il campionato riprese il via, Helena era ormai diventata un'influencer abbastanza conosciuta e il più delle volte mi seguiva poco per via dei suoi impegni. La cosa non mi infastidiva, anzi, era comodo avere una pausa di tanto in tanto.

Risalire in moto non era mai stato tanto problematico in tanti anni di carriera. Già nei test pre-stagionali avevo accusato un insolito affaticamento alla guida, figlio del mio infortunio e del conseguente ridotto lavoro a livello di resistenza fisica durante la pausa. È facile pensare che sia semplice guidare come facciamo noi, ma non tutti sanno quanti chili di peso dobbiamo tirare su ad ogni cambio di direzione e quanto influisca uno stato fisico al massimo delle prestazioni. Non solo la moto fa il pilota migliore, credetemi, aiuta, ma non è tutto.

I primi gran premi furono, a mio parere, una catastrofe totale, per il mio team invece, viste le mie condizioni fisiche, abbastanza soddisfacenti, ma poteva Juan Ernandez essere soddisfatto di rispettivamente un undicesimo, un sesto, un ottavo, una caduta e un secondo posto nei primi cinque Gp di stagione?

Fortunatamente i podi di quella stagione erano stati talmente mescolati da non mettere nessun pilota in condizione di netto vantaggio, nonostante il mio diretto rivale, quello che mi aveva strappato il titolo nella stagione precedente, fosse primo in classifica. Aveva solo ventidue punti di vantaggio e un inizio stagione deludente quasi come il mio, bastava una sua caduta ed un mio primo posto per raggiungerlo, una possibilità realistica nel mondo della MotoGp.

Ero quindi atterrato in Spagna per il mio Gran premio di casa con un unico obiettivo: vincere, non mi bastava accontentarmi. Inoltre ero a casa, sotto gli occhi del mio pubblico, non potevo deluderli, no!

Come avrei potuto minimamente prevedere che quel fine settimana avrebbe significato stravolgere completamente la stabilità che ero riuscito a costruirmi negli ultimi mesi?

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