Fino all'ultima staccata

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Come al solito, tornare il Spagna era diventata la peggior tortura a cui potessi essere sottoposta e questa volta mi sentivo ancora peggio, come se ogni frase pronunciata nella lingua nazionale, suonasse sempre con lo stesso timbro, quello di Juan. Il mio stato non era ancora ipotizzabile, almeno visivamente, ma mi ero ripromessa, che conclusasi la stagione con quella gara, avrei informato il team della mia condizione, rinunciando, con altissima probabilità, a quella seconda opportunità che il destino mi aveva concesso.

Dunque, intrapresi quell'ultimo weekend di gara con la voglia di godermi totalmente ogni singolo istante, seppure il mio tormento emotivo si trovasse a poche manciate di metri da me.

Aiutai la squadra a scaricare l'attrezzatura e ad adibire il box, nonostante ciò non facesse più parte delle mie mansioni, ma sentivo che dovevo far parte di quel gruppo in più intensamente possibile, prima di abbandonarlo, nonostante i giorni seguenti ciò mi fosse costato l'uso della mia inseparabile stampella. Ogni volta che incrociavo Alex il suo entusiasmo per l'avventura che lo attendeva l'anno seguente in Moto2, mi faceva sentire ancora più in colpa nel proseguire a tenergli nascosto ciò che di lì a poco sarebbe accaduto. Sapevo che per lui ero diventata quasi un'amica, che la mia presenza al suo fianco era stata utile in una dozzina di occasioni, ma era ora che anche lui crescesse e intraprendesse il sentiero che certamente lo avrebbe condotto a diventare, prima o poi, uno dei più forti piloti al mondo nella categoria regina.

Il venerdì ce la prendemmo abbastanza comoda, pur portando a termine tutto il programma delle due prime sessioni di libere.

Eravamo sensibilmente più rilassati di chiunque altro nel paddock, tanto che la giornata trascorse quasi come una mini vacanza tra amici al luna park.

Il sabato invece, facemmo i conti con la tenacia e la competitività assurda del nostro pilota, che non voleva lasciare niente per nessuno. Dopo essersi steso nelle libere della mattina, si prese una bella terza posizione in qualifica, con tutti i presupposti per un podio alla domenica.

Dopo un rilassante riposo notturno, con il sottofondo degli scrosci di pioggia impetuosa che mi avevano da sempre calmata da che ricordassi, cominciammo la mattinata di domenica carichi, ma tranquilli, non avevamo niente da perdere e nulla per cui combattere, quindi potevamo stare sereni.

Mentre me andavo placidamente dal box alla zona ristoro, con il mio fido bastone, poco prima dell'inizio del Warm up della MotoGp, ebbi un tuffo al cuore, incrociando Ernandez che scendeva dalla sua casetta mobile, con la tuta ancora slacciata e completamente da solo. Per un unico, interminabile momento, nessuno dei due seppe come comportarsi. C'eravamo incrociati la sera precedente, mentre me ne tornavo in albergo con Alex, ma fino a quel momento non eravamo mai stati faccia a faccia senza che qualcun altro fosse presente. Abbassai lo sguardo e ripresi a camminare.

-Por qué ha parlato in español?- si affrettò a domandare dalla cima delle scale esterne del motorhome.

Mi immobilizzai, non afferrando immediatamente a cosa si riferisse. Mi voltai lentamente, alzando il capo per guardarlo.

-Mi sembrava carino da fare.- risposi, cercando stupidamente di rimanere di spalle, come se potesse accorgersi che ero incinta.

-Gracias.- rispose sinteticamente, riprendendo a scendere, senza aggiungere altro.

Proseguì verso la mia meta, con meno voglia di uno snack rispetto a quando ero partita dai box. La nausea riprese prepotentemente a tormentarmi, tanto che dovetti correre alla prima toilette disponibile per dare di stomaco. Quella volta ebbi seri dubbi di essermi sentita male a causa della gravidanza, o almeno non esclusivamente per quello.

Comunque mi ripresi velocemente, tanto da essere pronta poco dopo, ad assistere a quell'ultima gara del mondiale. Quella volta Alex non vinse, arrivò secondo, ma si divertì a guidare come voleva, senza il timore di commettere errori, così come ogni motociclista vorrebbe.

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