Questioni di sponsor

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Due giorni di pausa, trascorsi insieme a Juan nei Paesi Bassi, furono quanto di più rilassante, idilliaco e meravigliosamente romantico potessi immaginare.

Quando, alle prime ore di mercoledì, abbandonai quella specie di paradisiaca parentesi di spensieratezza per imbarcarmi sul mio volo diretto a Milano, la rabbia per quello che stavo per fare, contro la mia volontà, era incommensurabile.

Tra le molteplici chiamate di quasi ogni membro dirigenziale del marketing della squadra, ero riuscita a sentire anche mio padre che, come mi ero aspettata, aveva avuto quasi un ictus nello scoprire che il meccanico di cui tutti parlavano, era proprio sua figlia. Ogni tanto mi partiva dal nulla una risata divertita al solo immaginare la sua faccia, mentre la domenica a pranzo in TV era passata la scena di me che baciavo Ernandez, il pilota che meno si sarebbe aspettato potesse piacermi. Lo vedevo, mentre ciucciava le sue tagliatelle della domenica e quasi si strozzata, dovendo ricorrere ad una generosa sorsata di vinello.

Arrivata a Milano un autista mi aspettava agli sbarchi con un cartello di cartone che recava la scritta "Dafne, meccanico"

Con un profondo sospiro di rassegnazione, lo seguii fino ad un'anonima auto scura, pronta a propinare a chiunque ascoltasse il discorso che Nucci mi aveva inviato per mail, raccomandandomi di studiarlo attentamente.

Avevo fatto le prove con Juan. Lui era esperto in questo, sapeva come comportarsi e nonostante mi sentissi un'idiota mentre fingevamo, lui mi insegnò alcuni trucchi per deviare le domande, facendo finta di dare una risposta. Ero una frana!

Giungemmo a Milano, dove mi lasciai trasportare dalla curiosità. Era bello osservare una delle città che non avevo mai visitato prima, mi faceva sentire un po' una semplice turista e non una creatina che stava per andare in radio senza aver mai chiesto di farlo.

Milano era soffocante, molto più della mia amata Roma. In entrambe regnava caos, frenesia, traffico, ma gli alti palazzi della città lombarda, lanciati verso il cielo, proiettavano lunghe ombre facendo sembrare tutto più grigio, nonostante la spiccata varietà di colori nelle vetrine e la multi etnia dei passanti.

Giunti nei pressi dell'ennesimo palazzone moderno, interamente rivestito di vetro e tinto di grigio cemento, l'auto prese una discesa quasi invisibile, che portava in un parcheggio sotterraneo. Una volta parcheggiati, il mio accompagnatore mi guidò fino al piano designato.

La receptionist apparve dietro le porte dell'ascensore, accogliendomi con fervore, premura e un sorriso troppo marcato per sembrare genuino.

Erano le 9. 00 e la mia intervista radiofonica era fissata un'ora più tardi. Dopo essere stata vezzeggiata, venni istruita un po', per non incappare negli errori tipici dei principianti (li avrei comunque commessi, non avevo dubbi). Dovetti passare anche per il trucco e parrucco, perché il tutto prevedeva anche una registrazione video di ciò che stavamo per trasmettere in diretta radio. Appena seppi di questa cosa credo di aver utilizzato tutte le lingue di mia conoscenza e di averne inventata una di sana pianta imprecando contro Nucci e quella sua stramaledettissima idea del cavolo.

Alle 10.00 in punto fui accompagnata alla mia postazione, davanti ad una scrivania di una piccola saletta insonorizzata. Qui fui dotata di un bel paio di cuffie e presi ad osservare l'enorme microfono che penzolava tra me e la speaker, Katrina. Quest'ultima mi strinse la mano, avvisandomi che, appena terminato lo spot che stava andando in onda, avremmo cominciato.

-Benvenuti, miei cari amici del mercoledì social! Vi avevamo promesso una bomba per questa settimana e, come sempre, vi abbiamo accontentato! - iniziò a parlare scioltamente la biondissima speaker, come se avesse di fronte una gremita platea, con una disinvoltura spiazzante, a causa della quale mi sentì ancora più fuori luogo.

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