Libertà e prigione

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Ci volle l'intera nottata e parte del giorno seguente per riuscire a placare l'ondata di lacrime che non aveva accennato ad interrompersi da quel momento in sala visite. Mattia era rimasto con me tutta la notte, nonostante avessero tentato di cacciarlo innumerevoli volte. Si era spacciato per il mio compagno con gli infermieri e alle quattro del mattino era crollato, quasi svenuto, sulla sedia accanto al mio letto, con la testa sui miei piedi e la bocca semiaperta, ormai cotto. Io avevo continuato a singhiozzare silenziosamente, osservandolo, per essere sicura di non disturbarlo.

"Non è detto che riprenda una normale deambulazione" questa era la frase che rimbombava nella mia testa, che continuava come in loop.

Com'era possibile? Solo qualche mese prima avevo sfidato chiunque per essere quella che volevo, mi ero messa alla prova davanti a persone che non avrebbero scommesso un soldo sulle mie capacità, mi ero innamorata ed ero stata amata dall'uomo più dolce, premuroso ed affascinante che avessi mai incontrato, avevo girato il mondo, visto posti che in pochi riescono a visitare tutti in un tempo tanto ristretto, mentre adesso ero bloccata in un letto d'ospedale, con il mio amico addormentato seduto su di una sedia e la prospettiva di non camminare più senza l'ausilio di una stampella... o forse due...

Tutta la forza e la tenacia che mi avevano accompagnata da sempre, sembravano essere svanite nel nulla, lasciando spazio alla povera, insicura, brutta e storpia Dafne, quella che aveva frequentato la scuola in sedia a rotelle, quella che tutti scansavano perché rabbiosa, insicura, fuori dalle righe.

Non potevo essere tornata al punto di partenza, non volevo che, nuovamente, qualcuno dovesse trascorrere in questo modo e in quel luogo intere notti per assistermi e... volevo Juan. Lo volevo lì, volevo vedere ancora, anche solo per una volta, il suo sorriso, sentire il suo profumo, prenderlo in giro, ascoltare il suo mix di italiano e spagnolo.

Lo avrei voluto lì perché avevo bisogno di dirgli che lo amavo più di quanto avessi mai amato qualcun altro, poi avrebbe potuto mandarmi al diavolo, perché una che poteva uscire zoppa da una sala operatoria, se non morta, non era certo ciò che avrebbe desiderato.

Feci qualcosa che non avrei mai dovuto fare. Afferrai il cellulare, per la prima volta dopo due mesi, e cercai il suo Account Instagram, che avevo smesso ormai di seguire. Mancava solo una gara al termine del campionato e sorrisi nel vedere che aveva vinto le ultime due, e nonostante l'ultima da disputare, era già matematicamente campione del mondo per la sesta volta dal Gran Premio precedente, ma il fatto che non accennasse minimamente alla mia mancanza, mi trafisse il petto come un dardo infuocato. Avrebbe avuto molteplici modi di farmi capire che mi stava pensando, ma non li aveva usati, o forse non gli interessava affatto farlo. Scoppiai nuovamente a piangere, questa volta per lui, non per me, tanto forte che Mattia si svegliò spaventato.

-Che c'è?- domandò preoccupato, mettendosi in piedi e avvicinandosi al mio viso.

-Era come dicevo io! Lo sapevo!-

-Dafne, per favore, devi restare positiva! Andrà tutto bene!- tentò di rincuorarmi.

-Ma io non parlo della gamba! Ernandez, quello stronzo! Non glie ne frega niente di me, non gli è mai importato nulla! Mentre io... Io mi sono innamorata di lui! Cazzo! Sono un'idiota!- Singhiozzai, in un'esplosione di confessioni che avevo sempre negato, persino a me stessa.

Non parlavo di Juan con Mattia praticamente dal giorno in cui era rientrato a casa mia per poi trasferirsi e, per una volta in vita sua, il mio amico non aveva fatto domande, mi aveva lasciato il tempo per metabolizzare.

-Dafne,- esordì prendendo fiato -Io questa cosa avevo promesso di non dirla, però, visto lo stato pietoso in cui ti trovi adesso, non posso più nasconderla. -

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