Il Campione del Mondo

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Avevo trascorso gli ultimi due mesi nel limbo, affrontando la realtà come se stessi sognando e non vedendo l'ora di chiudere gli occhi per tuffarmi nel mondo onirico e rivedere il suo volto. Avevo sempre affrontato le sconfitte caricandomi, dicendo che erano state solo un inciampo dal quale rialzarsi più forti, più combattivi e cazzuti di prima, ma questo scivolone sembrava non aver sortito lo stesso effetto su di me. Era come se mi avessero strappato un pezzo di cuore dal petto e provassi costantemente la sensazione di vuoto, nonostante i traguardi, nonostante per la terza volta consecutiva, ero campione del mondo nella classe regina del motociclismo.

Juan Cristobal Ernandez era il nome che correva sulle bocche di chiunque amasse il motorsport, l'uomo che ogni rider avrebbe voluto essere, ma io avrei preferito prendere il posto di uno qualunque di loro, piuttosto che continuare ad essere me stesso. Sorridevo sempre, mi mostravo concentrato, rilassato e sicuro delle mie potenzialità. D'altronde quelle erano forse l'unica certezza che mi era rimasta, ero un bravo pilota, ma umanamente, come uomo mi sentivo un incapace.

Avevo trascorso più della metà della mia vita, se non praticamente tutta da quando ricordassi, a correre pericoli assurdi, a oltre 300-km/h su una moto, a fare salti circensi sulle motocross durante gli allenamenti, a macinare chilometri su di esse e in bici attraverso sentieri che non avrebbero lasciato correre un errore di valutazione e non avevo mai avuto paura come ce l'avevo in quel momento, al solo pensiero che, dopo tutto quel tempo, lei continuasse ad ignorarmi, a far finta che tra di noi non ci fosse mai stato nulla.

È vero, all'inizio non avevo calcolato quanto avrebbe potuto prendermi, era stata una scommessa con me stesso, adoravo le cose difficili e lei era complicata e come!

Poi era scattato qualcosa, come se il suo rifiuto a ciò che io ero per il resto del mondo, mi facesse considerare che avrei dovuto dimostrarle cosa realmente fossi, infine me ne ero innamorato perché aveva rivelato anche a me la parte migliore che possedessi.

I lunghi giorni senza di lei, quando ero da solo, in silenzio, li avevo trascorsi rimuginando, riportando alla mente gli istanti che avevamo vissuto, cercando di non dimenticare come suonasse il mio nome con la sua voce, anche perché lo aveva pronunciato sì e no tre volte e avrei potuto anche dimenticarlo, ma questo non lo volevo. Anche lei aveva detto di amarmi, solo una volta ed era sembrata sincera, ma se mi amava, perché continuava a tenermi lontano? Perché non riusciva a capire che quello che avevo fatto era solo un modo di averla accanto sempre? Non c'entravo niente con gli accordi di Miguel e il suo team, come avrei potuto cercare di allontanarla da me, quando era diventata una delle ragioni che mi spingevano a vincere? A vincere per lei? Per sentirla dire che non ero stato eccezionale e che magari ero anche stato scorretto, tutto solo per non darmi la soddisfazione di ammettere che era fiera di me? Lo era, ne ero certo.

Ero diventato l'incubo peggiore del suo ex coinquilino, continuavo a fermarlo nel paddock ogni volta che mi si presentava l'occasione, solo per avere sue notizie, per assicurarmi che stesse bene e magari per capire se anche lei ancora fosse in qualche modo legata a me.

Mattia però era sempre stato molto vago, un migliore amico straordinario per certi versi, capace di rispettare la privacy di Dafne fino infondo, ma una fonte alquanto carente di notizie per me. Sembrava quasi che quei due avessero smesso di frequentarsi o si fossero in qualche modo allontanati, il che non era certo difficile da pensare visto che, non condividevano più lo stesso appartamento e lui viaggiava spesso con il team.

Comunque avevo seguito il suo consiglio, allentando la morsa che avevo stretto intorno a Dafne nel tentativo di farla cedere e poterci parlare, ma non funzionava. Non solo lei non aveva probabilmente sentito l'esigenza di cercarmi, io mi sentivo uno straccio!

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