Un azzardo

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Credi di essere in grado di riconoscere il dolore più terribile della tua vita, nell'esatto momento in cui lo stai provando? Io ci riuscì.

Avevo mosso solo pochi passi, allontanandomi da quel Suv in direzione dell'autodromo, ma nonostante piovesse e mi stessi lentamente inzuppando gli abiti, ogni cellula del mio corpo sembrava andare a fuoco, urlava di dolore, tentava di spingere il mio corpo a ripercorrere a ritroso la strada che mi stavo lasciando alle spalle. Il cervello fece ciò che accade quando il tuo corpo non riesce a reggere una sofferenza tanto profonda: si spense. Camminavo, senza essere in grado di percepire lo spazio intorno a me, senza rendermi conto di chi ci fosse, oltre a quell'auto che si rimpiccioliva alle mie spalle.

Quando il sole sorse, illuminando l'asfalto e portandosi dietro l'umidità della pioggia caduta durante la notte, io ero ancora lì, poco distante dall'autodromo, seduta in un angolo nascosto, dove avevo trascorso la notte, incapace di percepire le ore che passavano, la pioggia che mi cadeva addosso. Probabilmente, chi mi aveva vista aveva pensato fossi una povera tossica sotto l'effetto di stupefacenti, impalata ad osservare il vuoto, con la stessa rassegnazione di un albero scosso dal vento, che stancamente si piega scricchiolando, succube e incapace di cercare riparo.

Mentre le ore trascorrevano ero rimasta lì, capace solo di pensare e per la prima volta nella mia vita mi ero chiesta se fosse valsa la pena di amare a quel modo il mondo dei motori.

Avevo ripercorso i ricordi, non esisteva momento in cui le competizioni e il sogno di esserci si fosse affievolito.

Ero la bambina con i capelli corti fino a quindici anni perché era più pratico metterli nel casco, ero quella con le ginocchia sbucciate, ero la ragazzina che arrivava a scuola con la moto rumorosa, ero quella sulla sedia a rotelle, ero l'ingegnere che aveva dovuto accettare di fare il meccanico per arrivare in pista, ero la donna con la stampella nello zaino che ogni tanto zoppicava... chi ero? Ero tutto questo eppure non ero niente.

Avevo accettato tutto pur di far parte di quella realtà, ma avevo mai considerato tutto quello a cui avevo dovuto rinunciare? Juan compreso.

E se non avessi mai amato tanto le moto? Chi sarei stata? Probabilmente una trentatreenne sposata con un uomo mediocre, madre di uno - due marmocchi, avrei posseduto un cane, una monovolume e una casa linda e asettica. Forse sarei stata una veterinaria, una commessa in un supermercato, un vigile urbano, la segretaria in uno studio di chissà quale laureato... Chi sarei diventata? Come sarebbe andata la mia vita? E soprattutto, se non avessi amato tanto il motorsport, avrei mai incontrato Juan? Avrei messo in discussione chi avesse la priorità nella mia vita tra lui e il mio lavoro? Magari non avrei mai avuto quelle maledette cicatrici, non avrei dovuto ricorrere a quella dannata stampella! Era possibile che tutta la colpa per il dolore che provavo era stata causata da ciò che avevo sempre amato? Ma anzitutto, era possibile che amassi Juan anche di più di tutto ciò? Avevo sbagliato tutto? Spesso mia nonna mi aveva ripetuto che se fosse stata viva mia madre sarei venuta su più femmina, invece che quella che ero. Non lo ero davvero? Aveva sempre avuto ragione lei?

Quando la gente iniziò ad affluire all'autodromo, abbandonai il mio nascondiglio e mi incamminai verso il nostro box. Mi sistemai rapidamente, ma quando incrociai la mia immagine allo specchio mi resi conto di quanto le mancate ore di sonno fossero visibili sul volto pallido e sugli occhi gonfi dalla marea di lacrime che avevo versato durante la mia commiserante introspezione notturna.

Alex arrivò poco dopo per l'ultima sessione di libere prima delle qualifiche, accorgendosi immediatamente che c'era qualcosa che non andava, ma mi imposi un sorriso, trangugiai una massiccia dose di caffè e mi misi all'opera.

Fu una delle giornate più complicate della mia vita. Ero stanca, assente e distratta. Sapevo che quello che era accaduto la sera precedente avrebbe sancito categoricamente la fine della mia relazione con Juan, ma sta volta non era come quando lo avevo mandato via da casa di mio padre. Allora sapevo che non lo avrei mai più rivisto, mentre ora dovevo convivere con la certezza che lo avrei incontrato, che si sarebbe messo l'anima in pace prima o poi e sarebbe andato avanti. Avrei sopportato di vederlo con una donna che non sarebbe stata al suo fianco solo per gioco?

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