Il cerchio si riapre

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Erano accadute moltissime cose in quegli ultimi mesi. Mio padre si era risposato ed era andato a vivere a Cuba con la sua nuova moglie, Alex Miles non era diventato campione del mondo in Moto2 al suo anno di debutto, Mattia aveva fissato la data del suo matrimonio per l'estate successiva con Cesare, istruttore di nuoto romagnolo, Helena aveva lanciato una linea di cosmetici con la collaborazione di un famoso brand e Juan Ernandez non aveva vinto il campionato, ma aveva dovuto accontentarsi di un terzo posto, reduce da un paio di cadute e qualche ritiro per guasti, ma la cosa, per la prima volta in tutta la sua carriera, era stata meno catastrofica che se fosse accaduta nelle stagioni precedenti. Adesso c'era qualcosa che lo distraeva nel post gara, o meglio qualcuno...

Per quanto riguardava me invece, erano stati i dieci mesi più stravolgenti, ma anche appaganti della mia vita. Mio malgrado (amavo dirlo perché Juan storceva il naso ogni volta) mi ero trasferita in Spagna definitivamente due mesi dopo la nascita di Victoria, quando era stata ormai dimessa dall'ospedale e confermato il suo stato di salute ottimale.

Juan mi aveva proposto di andare a vivere insieme, quando la bambina sarebbe stata definitivamente fuori pericolo ed io avevo accettato, perché non volevo più perdere neanche un attimo del mio tempo dietro alle mie insicurezze, dovevo vivere quella gioia che il destino mi aveva donato, senza pormi troppe domande sul domani.

Avevo lasciato il mio impiego per dedicarmi completamente a mia figlia, conservando un ottimo rapporto con Miles e tutta la squadra.

Adesso che Victoria aveva quasi compiuto un anno, era giunto il momento di riprendere a vivere la mia passione per le corse, questa volta al fianco di Juan in MotoGP.

La nonna si era innamorata istantaneamente di Victoria e comprendendo il mio bisogno di essere più che solo una neomamma, si era offerta di badare a lei, mentre io avrei lavorato di nuovo ai box al fianco di suo figlio. Non era stato difficile per quella donna comprendere quanto la passione per la pista fosse qualcosa di imprescindibile per quelli come me e Juan.

Era stata dura all'inizio decidere di staccarmi dalla mia bambina, ma l'asfalto, i suoni e gli odori dell'autodromo mi mancavano da morire, tanto che mi fecero definitivamente cedere a quella lusinghiera proposta di riprendere a lavorare. Avevo imparato lo spagnolo finalmente, era stato facile, avrei potuto farlo prima, ma la mia testardaggine me lo aveva impedito.

Quando feci ingresso nell'autodromo da compagna, madre della figlia di Ernandez e uno dei suoi ingegneri, per la prima volta in vita mia, non mi curai di quanto si vociferasse che il mio impiego fosse solo frutto della relazione tra me e uno dei piloti più forti in pista. Sia io, che Juan, che il suo team, eravamo coscienti che nulla mi era stato regalato e che meritassi quel posto.

Eravamo a Doha per l'apertura di campionato e dovevamo fare bene, anche perché Juan aveva intenzione di riacciuffare quel titolo mancato per due anni consecutivi.

Fu bello ritornare finalmente nel luogo che aveva visto il mio primo incontro con il padre di mia figlia e questa volta farlo al suo fianco, alla luce del sole, senza dovermi cruciare di nascondere la cosa. So che questo forse lo avrei dovuto fare fin dall'inizio, ma mi sono sempre detta che nella vita non è mai troppo tardi per cambiare le cose.

Quell'inizio stagione sarebbe stato diverso, sia a livello professionale che personale.

Juan si era preparato fisicamente fin quasi allo sfinimento nei mesi di stop del campionato, spesso avevamo fatto lunghi giri in bicicletta, macinando chilometri su chilometri e rincasando praticamente a pezzi, ma sostenerlo anche in quella parte del suo lavoro era stato semplice. Grazie anche a questo ero riuscita a rinforzare la mia muscolatura, tanto che ricorrevo sempre più di rado alla stampella, cosa che mi rasserenava e non poco. Quel mio limite fisico continuava ad essere la causa maggiore delle mie insicurezze, il tallone d'Achille, ma avevo imparato ad essere meno testarda e ad accettare anche quella parte di me, che tanto avevo tentato di tenere nascosta per anni.

Juan spesso mi prendeva in giro, quando ancora tentavo di nascondere le mie cicatrici, mi ricordava che anche lui ne aveva e che su quello eravamo più simili di quanto credessi. Ormai ero certa che mi amasse così com'ero, certa che effettivamente quelli che io vedevo come difetti, lui non era neanche in grado di trovarli e poi, se vogliamo essere onesti, ne avevo di peggiori caratterialmente parlando.

Non era tutto idilliaco, se lo state pensando. Ero ancora quella testarda e ostinata Dafne di sempre, ma adesso avevo solo imparato a condividere seriamente con qualcuno ciò che mi preoccupava. Comprendevo finalmente il significato della parola "Mamma", io che la mia la ricordavo come una vecchia pellicola sbiadita e capivo anche come doveva essere stata dura per mio padre doversi rimboccare le maniche e provvedere da solo a sua figlia, soprattutto se la persona in questione ero io, ostinata e testarda come un mulo.

Victoria invece sembrava l'esatto opposto di ciò che io ero stata.

Non ricordo una mia foto con un sorriso prima di lei, invece la mia bambina, sorrideva sempre, mostrando fiera i suoi quattro bianchissimi dentini, incorniciati dalla bocca identica a quella del suo papà... forse anche questo mi aveva fatto innamorare perdutamente di lei, come a suo tempo di Juan. E non solo questo la rendeva tanto simile a lui.

Era olivastra di carnagione, come se passasse intere giornate a crogiolarsi sotto i raggi del sole, i suoi capelli erano di un castano intenso e gli occhi due enormi perle nere di Tahiti, tanto scuri quanto luminosi e brillanti. Era esattamente la versione femminile di Juan, da me aveva ereditato solo una bella testa dura!

Quello di Doha sarebbe stato il mio primo week-end senza di lei. Nonostante l'ansia da distacco, ero tranquilla sapendola nelle mani della madre di Juan e appena potevo videochiamavo casa, solo per vedere il suo sorriso.

Quando arrivammo al circuito qualche giornalista azzardò la frase che sottolineava il mio arrivo al box di Ernandez e il nostro legame affettivo, ma nulla di più. Questo è fare davvero notizie sportive: concentrarsi esclusivamente sull'evento sportivo, piuttosto che sulla vita privata degli atleti.

Nella prima parte del weekend, tra libere e qualifiche, poté saggiare, anche se in maniera soft, la tensione di un box di classe regina. Le differenze tra le categorie minori e quella erano abissali, partendo dalla dimensione dei box e terminando con il numero di meccanici, ingegneri, portavoce, eccetera, eccetera...

Avevo avuto modo di conoscere la squadra prima dell'inizio del campionato, ma non avevo immaginato che la maggior parte delle persone incontrate in sede, lavorasse anche il loco durante i gran premi. Nonostante la sensazione spaesata e alle volte confusa, riuscì a compiere il mio lavoro al meglio anche in quell'occasione, giungendo alla domenica ancora carica come se quella fosse ancora la prima giornata di lavoro.

Juan si era qualificato terzo, una buona piazza, questo era certo e con il suo talento, se non avesse fatto una delle sue stupidaggini piratesche, probabilmente, se non la vittoria, il podio era più che abbordabile.

Centrò una delle sue impeccabili partenze a fionda, ma la foga e una staccatona al limite lo condussero largo alla prima curva e da lì dovette cimentarsi in una rimonta dalla nona posizione. Lui però era Juan Ernandez, quello che, seppure aveva perso come un cretino due anni prima e per svariati problemi di veicolo l'anno precedente, restava il miglior pilota, se non di tutti i tempi, almeno in pista.

Infatti, quella fu una delle sue rimonte arrembanti con i gomiti che strisciavano a terra e le curve cucite ai cordoli, con le sue entrate di prepotenza, chirurgiche e taglienti tanto da lasciare spaesato il povero pilota appena infilato. Un susseguirsi di adrenalina ed emozione pura segnarono quelle poco più di venti tornate.

Era l'ultimo giro di quella gara di apertura ed era la prima volta, da quando avevo incontrato Juan Ernandez, che mentre tagliava il traguardo da vincitore, esultavo, saltando di gioia e urlando euforica. Alla fine la sua "Race to love" Juan l'aveva stravinta... e devo dire, che lo avevo fatto anch'io.


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