Il fagiolino

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Al rientro a casa mi concessi un giorno di meritato riposo dalle ultime settimane che mi avevano distrutta fisicamente come non mai. L'unica cosa che feci fu contattare un ginecologo del luogo, del quale avevo letto sul web, tenendo conto del fatto che non avrebbe dovuto essere un obiettore di coscienza, nel caso avessi deciso di interrompere la gravidanza.

Ci avevo pensato tutto il tempo, nonostante avessi tentato di distrarmi, ma non ero ancora riuscita a decidermi. Certo, il mio ultimo incontro con Juan una questione l'aveva chiarita: non gli avrei detto nulla, qualsiasi fosse stata la mia scelta. Tra noi era tutto concluso, quindi mettere in discussione la mia vita era un affare che riguardava solo me.

Ero riuscita a farmi fissare un appuntamento per il giorno seguente con il medico, tanto che decisi di prendere un permesso per vivere quella giornata con il massimo della tranquillità, senza orari a cui sottostare.

Appena sveglia quella mattina, la nausea mi torturò come non era mai successo fino a quel momento. Andavo e venivo dai bagni del mio appartamento, scegliendo quale usare in base alla minor distanza nel raggiungerlo. Ero decisamente agitata, tanto che entrai ed uscii da casa almeno sei o sette volte, dimenticando le chiavi dell'auto, il cellulare, il portafogli...

Fuori venni inondata da un sole accecante. Era una giornata meravigliosa, quasi irreale. Il cielo era limpido, di un azzurro intenso e nitido, né una nuvola filiforme, né un alito di vento. Nonostante fosse ottobre, quella si presentava come una meravigliosa giornata di primaverile.

Saltai in auto e selezionai la mia destinazione sul navigatore. Prima di premere l'acceleratore, sospirai profondamente: era arrivato il momento.

Il dottor Manzi era un ginecologo abbastanza rinomato in zona, molte lo suggerivano in quanto legato alla struttura ospedaliera locale.

Giunsi a destinazione dopo una trentina di minuti e percorsi i metri che dividevano la mia auto dal super moderno palazzo dove il medico esercitava, preparando mentalmente il discorso che avrebbe chiarito la mia situazione, ma trovandomi incapace anche di formulare la frase introduttiva. "È una gravidanza non programmata" solo questo riuscivo a pensare di dire.

Premetti il bottone del videocitofono, restando lì in attesa. Odiavo quegli aggeggi, mi mettevano in imbarazzo, non sapevo mai in che posizione attendere risposta, dove guardare. Non discuto l'utilità per chi risponde, ce lo avevo anche io, ma per chi attende potevo paragonarli ad uno strumento di tortura psicologica.

-Sì?- rispose una gentilissima voce femminile, quasi spaventandomi.

-Sono di Bernardo, ho un appuntamento tra venti minuti, ma sono in anticipo.-

-Nessun problema. Quinto piano.-

Il click che fece spalancare il portone mi prese di sorpresa, forse ero davvero troppo tesa. Feci ingresso in un ampio e pulitissimo atrio, adornato di rigogliose piante ben curate (O magari erano finte tanto erano verdi).

Pigiai il comando dell'ascensore, che si dischiuse qualche istante dopo con un grazioso motivetto di sottofondo. Entrai, sentendomi soffocata dalla radica che rivestiva le pareti di quell'aggeggio. Repressi un conato di vomito e pigiai il bottone del piano, chiudendo gli occhi per ovviare a quella sensazione che mi attanagliava lo stomaco. Era ansia, pensai. Il cuore mi martellava nel petto e sentivo le fiamme avvampare sul viso.

Avvisandomi con lo stesso grazioso suono, l'ascensore si arrestò con una piccola scossa che mi fece sobbalzare. Riaprì gli occhi e mi feci avanti verso il ballatoio, anche esso adorno di rigogliose piante.

Alla mia sinistra, sull'uscio di una porta semi aperta, mi attendeva una graziosa giovane donna, dal fisico mozzafiato, il tacco a spillo che slanciava quella figura avvolta in un elegante tailleur che sembrava esserle stato cucito addosso. Mi sorrise, accogliendomi e scortandomi fino alla sala d'attesa.

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