L'Ultima Volta

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Ebbene sì, quando finalmente rimisi piede nell'autodromo di Silverstone quasi mi inginocchiai a baciare l'asfalto, grata alle entità cosmiche che mi avevano concesso di superare, quasi incolume, quella pausa estiva Hitchcockiana. Avevo necessariamente bisogno di confrontarmi con quella sfera della mia vita che non prevedeva catastrofi cosmiche e sentimenti umani con cui fare i conti.

Ritrovai Alex rilassato e carico, sicuramente meno timoroso di ciò che poteva accadere nei Gp rimasti, anche in virtù del fatto che l'anno precedente su quei circuiti era andato abbastanza bene.

Tutto proseguì come da programma fino al venerdì, primo vero giorno di intenso lavoro. Terminammo le libere che eravamo ridotti un rottame, forse ancora troppo succubi di quelle tre settimane di relax (Se così potevo considerare le mie).

Dopo la consueta riunione, mi accinsi a lasciare l'autodromo a metà pomeriggio con il desiderio unico di fare una doccia e gettarmi nel letto, chiudendo qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno fino al giorno dopo. Non era possibile, ovviamente, andarmene illesa da quella giornata di merda!

Qualcuno mi colpì lo zaino facendomi cadere la stampella e voltandomi vidi Juan a bordo di uno degli scooter del suo team e dietro di se un altro uomo in bermuda della sua squadra.

-Perdoname Velma. Tutto ok?- disse, fermandosi un po' più avanti.

Lo aveva fatto a posta, ne ero certa! E poi mi aveva chiamato Velma? Davanti a quel tizio che non sapevo nemmeno chi fosse!

-Està bien, Ernandez.- risposi, risistemando la stampella.

-Hablas espanol ahora?- sorrise, girandomi intorno con il suo aggeggio.

-No.- risposi asciutta, rimettendo lo zaino.

-Ha passato una buona vacanza?-

-Sicuro! Divertente come la tua!- esclamai, riprendendo a camminare verso l'uscita.

-Ci vediamo in giro, Velma!- concluse, riprendendo per la sua direzione.

Ma come gli veniva in mente di prendermi in giro di fronte a gente che neanche conoscevo? Anche quell'urto allo zaino non era stato casuale. Che cosa cavolo aveva? Le chiappe sode delle cubiste lo avevano fatto rinsavire e ora che si era messo l'anima in pace voleva rendermi quanto io gli avevo dato?

Lasciai l'autodromo incavolata come forse non lo ero mai stata ed una volta in albergo dovetti combattere con l'idea di inviargli un vocale e cantargliene quattro, ma poi l'illuminazione! Era quello che voleva, probabilmente, quindi lo avrei ignorato.

Il giorno seguente, dopo una buona qualifica, chiusa in terza posizione, lasciai Alex nettamente di buon'umore e, ancora una volta incrociai Ernandez nel paddock, mentre faceva il cascamorto con una giornalista spagnola. Fanculo, pensai mentre li superavo senza guardarli e travolgendo la bella testolina della donna con la stampella che sporgeva dallo zaino. Dio, come amavo quell'aggeggio dalla sera in discoteca! Era il mio lasciapassare per picchiare qualcuno senza subire conseguenze.

Compiuta quella missione me ne andai nella zona ristoro, dove avevo appuntamento con Mattia per scambiare quattro chiacchiere. Non ci eravamo ancora visti da prima della pausa estiva e avevamo una marea di cose da raccontarci. Lui doveva farmi una cronaca dettagliata del suo primo viaggio di coppia e io della mia vacanza assurda.

Restammo a parlare e a deriderci reciprocamente per le cavolate che erano accadute ad entrambi durante quei giorni, che avrebbero dovuto essere nient'altro che di puro relax.

Ero tanto presa dalle chiacchiere che non mi resi conto si fosse fatto davvero tardi. Mattia se ne sarebbe andato con Franco, che si era trattenuto con gli ingegneri (il ragazzo che aveva sostituito Alex non valeva la metà del mio pilota), mentre io avrei dovuto chiamare un'auto per riportarmi in albergo.

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