Buio

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Per la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare per l'azienda, decisi di dare fondo alle ferie accumulate e lasciarmi alla deprimente vita da reclusa in casa per sua stessa volontà. Ero a pezzi, non tanto per il fine settimana o per le ore di viaggio in macchina per il rientro, ma per la fine di quella dannata storia, che fin dal principio avevo intuito poter essere la rovina della stabilità che, tanto tenacemente, ero riuscita a costruirmi. Mi serviva tempo per ritornare alla normalità, tempo per metabolizzare la rottura con quello che era stato, probabilmente, l'uomo che più avevo amato.

Juan aveva continuato insistentemente a contattarmi telefonicamente e attraverso tutti i social che glie lo avevano consentito, finché io non ero riuscita a bloccarlo praticamente ovunque. Non volevo ascoltarlo, qualsiasi fossero state le argomentazioni a sua discolpa. Basta, ero stufa del suo disinteressamento a qualunque aspetto della sua stessa vita, ero stufa della figura di Diaz che incombeva su di lui e che era riuscita a intrufolarsi anche nella mia carriera, ero stanca di dover combattere per qualcosa che mi ero guadagnata e mi era stato tolto solo perché ero stata talmente stupida da innamorarmi della persona sbagliata.

Devo ammettere che, più di una volta, avevo considerato plausibile il suo tentativo di inserirmi nel suo team, probabilmente lo avrei fatto anche io al suo posto, amandolo quanto facevo, ma lui non aveva tenuto conto di me, di quanto fossi testarda.

Mattia rientrò la mattina seguente, stanco morto, tanto da non accorgersi nemmeno dello stato pietoso in cui versavo. Solo quando si mise in piedi e si rese conto della mia insolita silenziosità, iniziò a fare domande.

Per quanto fossi da sempre stata restia a parlare di me, quella volta il mio amico non ci mise troppo a farmi vomitare tutto il veleno che avevo ingoiato nelle ore precedenti. Quasi non parlò, lasciando che il fiume in piena delle mie parole lo travolgesse. Quando ebbi finito, per la prima volta da quando lo conoscevo, Mattia rimase senza parole.

-Diaz ha trovato uno sponsor per il nostro team a patto che ti buttassero fuori?- Balbettò incredulo.

-Sì, lo avrà fatto nella speranza che Ernandez mi scaricasse, ma gli è andata male.-

-Non pensi che Ernandez fosse davvero all'oscuro di tutto?- Domandò, quasi timoroso della mia replica.

-Sono quasi certa che di questo, Juan non ne sapesse nulla, ma trovarmi un lavoro, non doveva farlo! Era disposto a pagare di tasca sua per avermi ai box, come se io fossi la sua marionetta!-

-Questa cosa a me sembra tanto romantica!- sospirò con aria sognante, per poi riprendere compostezza a causa del mio sguardo fulminante -Ma non doveva farlo! NO, no no! Assolutamente!- aggiunse.

Restammo in silenzio, seduti una di fronte all'altro al tavolo della cucina.

-Mi hai raccontato tutto come la telecronaca di una gara, ma non mi hai ancora detto come stai?- sottolineò, premuroso, prendendomi la mano posata sul tavolo.

Sorrisi, o almeno tentai di farlo in modo convincente. -Bene. Posso essere di nuovo quella che sono realmente.-

-Questo è chiaro, Dafne, ma... tu lo ami?-

Quella domanda a bruciapelo mi colpii come un pugno nello stomaco.

-Non ha importanza!- risposi evasiva.

-Invece sì, perché se lo ami davvero, dovresti valutare se non sia il caso di perdonarlo, invece di mandare tutto al diavolo. -

Lo osservai in silenzio, incerta se confessare che anche io avevo considerato le sue azioni come plausibili per una persona innamorata, ma presto ripresi le mie salde convinzioni.

-Mi ha mentito!- esclamai.

-Perché, avresti accettato quel lavoro se ti avesse detto la verità?- insinuò, arricciando il naso.

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