Non fu poi così difficile ambientarmi, e le persone del posto erano così cordiali, affidabili. Il mio primo giorno di lavoro fu abbastanza tranquillo. Avevo il turno diurno, e dopo una breve presentazione da parte di Darren, mi ha lasciato da sola con i clienti. Pensavo di poter impazzire da un momento all'altro, e invece le cinque ore di lavoro passarono velocemente. La macchinetta del caffè mi era sembrata un incubo, difficile da comprendere per una dipendente alle prime armi. Anche in quel caso mi sono dovuta ricredere. A una settimana di distanza, quando arrivò quel fatidico lunedì, raggiunsi la Columbia camminando lungo i corridoi e sentendomi inadeguata. Almeno a primo impatto. Era una situazione nuova, completamente discordante con quello che ero stata fino a quel momento. In quell'ambiente però, le cose risultarono parecchio diverse dal lavoro. Le studentesse non erano sempre così gentili, e la maggior parte non spiaccicò parola durante le lezioni perché determinate a studiare senza stringere rapporti d'amicizia. Dopotutto, non fu un'idea così male. Ero stata scaricata dal mio migliore amico come un sacco della spazzatura, perciò avrei evitato volentieri di allargare la crepa che si era creata. Tra le varie materie da poter scegliere, decisi di ampliare la mia conoscenza di ricerca e psicologia sperimentale e mi interessai al master congiunto di giornalismo e relazioni internazionali.
Nel campus principale, c'era il Dodge Physical Fitness Center dove avrei potuto prendere parte a diversi sport quali la scherma, il basket e il nuoto. In quella maestosa e incredibile città, non mi sarebbe mancato il divertimento e con i categorici turni lavorativi, avrei potuto organizzarmi per fare qualcosa di diverso. Certo, senza amicizie avrei girovagato da sola ma le studentesse non erano le uniche a potermi offrire supporto e fedeltà. Mi ritrovai a chiacchierare con Alexandra le volte in cui veniva al bar, nonostante avesse il giorno libero. Darren si faceva vedere occasionalmente, e tutte le volte – come da copione – mi domandava se stessi bene e se qualcuno mi avesse dato fastidio. "Tutto normale qui. Non si sono ancora accorti che non sono di New York". Lui rise ad ogni mia battuta, persino quelle più pietose al che iniziai a farmi i miei abituali film mentali. Ora non c'era più Owen nella mia testa, anche perché non lo vedevo da due anni. "Come sta andando all'università?" mi domandò il mio capo, sedendosi al bancone come un normale cliente. Gli offrii una tazza di caffè, facendo spallucce. "Così male?".
"No, va bene però speravo fosse più semplice e non parlo dello studio". "Non ti trovi bene con gli altri studenti?". Annuii, innervosita. "Magari sono io che sbaglio qualcosa. Credevo di essere abbastanza simpatica e chiacchierona al punto giusto, ma da quando sono alla Columbia ricevo sguardi di dissenso". "Ti sottovaluti, Lily. Hai solo travisato i loro comportamenti. Non tutti i newyorkesi sono gentili" guardò l'orologio che aveva al polso. "Fai cassa e dopo abbassa la serranda". "Ma ci sono ancora dei clienti".
"Andranno via. Hai bisogno di vedere la città, ed io verrò con te". Percorremmo la 401 Bleecker Street, evitando di prendere taxi o metro. "Il miglior modo per sentirti un newyorkese, è vedere la città da vicino. Con i mezzi di trasporto ti perderesti la cosa più importante: il contatto con la gente" in quel momento un passante mi rasentò per correre via. "Wow, siete sempre così violenti?" domandai con ironia, strofinandomi il braccio dolorante. "No... non sempre" scherzò anche lui, e nel suo sorriso riconobbi qualcosa di familiare. Spontaneità, amicizia, gentilezza. "La prima tappa è il Magnolia Bakery!" commentò il mio titolare. "Aspetta, la stessa Magnolia Bakery di Sex And The City?" chiesi, curiosa ed emozionata. "Esattamente. Vedo che hai fatto i tuoi compiti". Superammo la porta bianca dell'ingresso, e i miei occhi subito si posarono sulla vetrina che conteneva cupcakes di diversi gusti e dimensioni e torte fredde. Una vera delizia. "Allora, adesso devi scegliere".
"Credo che non mi limiterò ad un solo cupcake!" Darren sogghignò. "Ti faccio compagnia. Scegli quello che più ti attira". Scelsi un Red Velvet e un muffin al cioccolato con glassa e praline. Darren sogghignò ancora. "Adoro le ragazze che non si fanno problemi sulla linea".
"E anche a me piacciono gli uomini a cui non importa se una ragazza ha qualche chilo in più" lui si mostrò scettico, guardandomi dalla testa ai piedi. "Sei perfetta così come sei". Il primo complimento dopo anni di silenzio. Forzai un sorriso, chiedendo a me stessa di non innamorarmi di un altro ragazzo impossibile da avvicinare. Al contrario di Owen però, Darren non si faceva problemi a guardarmi, e qualche volta a lavoro sentivo i suoi occhi addosso. All'inizio pensai che stesse solo osservando il modo in cui lavoravo, da perfetto datore di lavoro, e invece mi sbagliai. Ci sedemmo al tavolo, gustando i nostri cupcakes deliziosi e coloratissimi. Guardai uno dei suoi con l'acquolina alla bocca, poiché era decorato con crema chantilly e confettini al cioccolato bianco. "Lily, vuoi provare?".
"Oh no, no. Ho già i miei". Lui mi porse il cupcake, allungando il braccio verso la mia bocca. "Avanti. Non fare complimenti" mangiai direttamente dalle sue mani, e con un fugace morso capii che quello era il muffin più buono che avessi mai mangiato. "Wow, è indescrivibile" commentai, pulendomi la bocca con il tovagliolo. "Già" rispose Darren, visibilmente imbarazzato. Al che gli domandai cosa ci fosse che non andava. "Nulla. Mangiamo" e lo facemmo, nel più completo silenzio. Non aveva l'anello al dito, ma in qualche modo capii che c'era qualcosa che non mi stava dicendo. A mezzanotte eravamo di ritorno a casa, e lui decise di accompagnarmi fino al mio appartamento a Brooklyn. Quando fummo sulla porta, gli chiesi se voleva vedere la casa.
"Meglio di no. Domani ho la sveglia alle sei. Ci vediamo nel pomeriggio" annuii soltanto, perplessa riguardo al suo cambiamento repentino d'umore. Si avviò verso l'ascensore, ma mi richiamò prima che potessi chiudere la porta. "Dimmi che lo senti anche tu" sibilò tra i denti, guardandomi con i suoi grandi occhi cristallini. "Che cosa?".
"Quando siamo insieme, avverti una piacevole sensazione? Come se potessi dirmi tutto e fidarti ciecamente di una persona appena conosciuta?". Feci di sì con la testa, avanzando di un passo verso lo zerbino. "Secondo te che cosa significa?". Lui fece un passo avanti verso di me. "Non lo so. Non mi è mai successo. Io non potrei avere relazioni con le mie dipendenti". Ascoltando quella frase, sentii un lieve cenno di nausea nello stomaco.
"Non preoccuparti. Io non mi farò coinvolgere in ness..." non riuscii a terminare la frase, poiché Darren si avventò sulle mie labbra, spingendomi contro lo stipite. Lo avevo addosso a me, stretto contro la gabbia toracica. Non ero mai stata baciata in quel modo, e lui mi era piaciuto dal primo istante. Quando si allontanò, mi inumidii le labbra. "Adesso vorresti entrare a vedere la casa?" domandai, scegliendo di essere dissoluta e sfacciata. "Lo vorrei, però deve rimanere una cosa solo nostra. Se lo sapesse Alexandra..." gli presi la mano, sorridendo. "Sarò muta come un pesce" lo attirai dentro l'appartamento, chiudendo la porta dietro di me con il piede. Mi spogliò freneticamente, liberandomi della t-shirt e del pantalone nero per gettarli in terra. Io esitai nel sfilargli la camicia. Ero ancora frastornata, e con un gigante punto interrogativo davanti agli occhi. Che cosa stavo facendo? Stava accadendo veramente? E perché, nel preciso momento in cui le labbra di Darren hanno sfiorato le mie, ho pensato a Chris?
Ebbi la sua immagine sfocata davanti agli occhi per quasi tutto il tempo, finché Darren non mi si stese accanto sul mio materasso. Allungò la mano per afferrare le lenzuola e coprirci. "È stato magnifico". "Direi perfetto" aggiunsi, ammiccando in sua direzione. "Pensavo che fossi sposato".
"E da cosa lo hai dedotto?" feci spallucce, voltandomi verso di lui. "No, non lo sono. Ero single da un po' prima che arrivassi tu. Ora posso essere franco con te. Ti ho fatto una radiografia il giorno che ci siamo conosciuti. Eri bellissima, e in principio mi sono domandato se avessi un ragazzo". Arrossii, emozionata da tutti quei complimenti. "No, non ho nessuno".
"Non ci credo. Una come te non ha nessuno di importante che la aspetta a Boston?" evitai di piangere in sua presenza, rammentando ricordi spiacevoli. "Nessuno. Non sono mai stata una che attira l'attenzione" a quel punto mi attirò a sé per i fianchi. "Hai attirato la mia. Dovrà bastarti finché sarai a New York". Dormimmo l'una tra le braccia dell'altro, e all'alba lo sentii sgattaiolare via. Mi baciò al lato della bocca, pensando che stessi ancora dormendo. In realtà mi ero svegliata molto prima, incapace di chiudere gli occhi. Avevo la mente ottenebrata, e quando il pomeriggio ricevetti una chiamata da Lisa le cose peggiorarono.
"Tesoro, ho parlato con tua madre. Ti sei davvero trasferita a New York?". Ormai il danno era fatto, perciò decisi di essere onesta. "Si, sto studiando alla Columbia". "Oh, che meraviglia. Ed hai già incontrato Chris?". "Non ancora" risposi. Non avevo intenzione di farlo. Mentre ero a lavoro, il cellulare squillò e riconobbi il numero del mio ormai ex migliore amico. Non gli risposi, ma pensai che sua madre gli avesse detto ogni cosa. Ero intenzionata a liberarmi di lui, del suo ricordo doloroso. Adesso avevo Darren e mi sarebbe bastato, almeno finché non mi sarei sentita abbastanza estenuata da lasciarmi annegare nei miei sentimenti a lungo sopiti.
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𝙎𝙢𝙚𝙡𝙡𝙨 𝙡𝙞𝙠𝙚 𝙩𝙚𝙚𝙣 𝙨𝙥𝙞𝙧𝙞𝙩 |
FanfictionSei al liceo, ed hai lo stesso migliore amico dai tempi dell'asilo. Lui si chiama Chris ed è tutto per te. Siete inseparabili e vi raccontate ogni cosa, senza escludere alcun dettaglio. Arriva il ballo di fine anno e non hai un accompagnatore. Lui v...