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Sento il rumore della sua marmitta. So che è lui. Altre volte gli sarei andata incontro, magari anche correndo verso di lui, ma mi sentivo pesante. Non riuscivo a muovermi bene. Le mie gambe si muovevano solo grazie a tanta forza di volontà.
Lui parcheggia, poi mi viene incontro.
"Tutto apposto?" mi chiede tenendomi le braccia in modo ben saldo con le sue mani. Alzo lentamente lo sguardo e vedo la sua espressione preoccupata. Ha gli occhi spalancati, le sopracciglia corrucciate che gli creano delle piccole rughe sulla fronte e la bocca semiaperta. Si preoccupa per me. Perché?
In qualche modo, guardandolo, ritorno in me. Ho pensato che non ho intenzione di farlo preoccupare. Non voglio assolutamente, voglio che stia bene. Non deve preoccuparsi per me. Faccio di tutto per tornare normale.
"Certo, credo che mi stavo per addormentare... sai, oggi non ho nemmeno bevuto un caffè!" gli dico scherzando. Penso di esser stata credibile perché lui tira su un sospiro di sollievo, poi lascia cadere le braccia.
Lui si gira, per andare verso la moto, ma vedo che rigira il busto verso di me e mi tende un braccio. Subito non capivo perché, poi ho realizzato. Anche io allungo il mio braccio e lo incrocio al suo. Andiamo così a braccetto verso la sua moto, dove mi porge il casco e partiamo.
Mentre eravamo sulla moto, lui mi chiede se ho tanta fame. Rispondo negativamente. Neanche lui ha fame.
"Che ne dici se invece di mangiare, facciamo un giro in moto, dove andiamo, andiamo?"
Faccio un accenno di consenso, poi lui accelera la velocità e mi prende alla sprovvista perché non me lo aspettavo. Stavo per perdere l'equilibrio, quindi mi aggrappo al suo torace con entrambe le braccia e lo stringo forte. Un po' perché ho paura di volare via, un po' perché sentivo il bisogno di contatto fisico.

Arriviamo in un bosco. Da dove ci siamo fermati con la sua moto, partiva un sentiero che abbiamo deciso di intraprendere. Né io né lui siamo mai stati in questo luogo, quindi non sappiamo dove ci porterà questo sentiero coperto da migliaia di alberi.
Deve essere abbandonato, perché è molto difficile da percorrere e sta crescendo dell'erbetta in mezzo al sentiero di terra: è da tanto che non ci passa un piede umano.
Alla fine delle intemperie, arriviamo finalmente alla destinazione. È un laghetto molto ristretto circondato da alberi e salici piangenti che creano un'atmosfera unica. Una piccola cascata segna il punto in cui il torrente cede acqua al lago. È ricco di ninfee e fiori di loto. L'atmosfera è spettacolare e mozzafiato. Entrambi ci guardiamo attorno stupefatti dalla bellezza di quel posto.
Ci sediamo su un tronco ad ascoltare il rumore che l'acqua crea entrando a contatto con le rocce nella piccola cascatina. Stiamo lì, seduti vicino, in silenzio, ma non quel silenzio imbarazzante. Un silenzio tranquillo. Io continuo a pensare a quello che mi è successo poco fa. Mi scende anche una lacrima, ma la asciugo subito cosicché lui non veda che sto piangendo.
Dopo un po' decidiamo di farci delle foto insieme. Lui continua a fare delle facce buffe, neanche una seria: mi fa ridere troppo di cuore e quindi non riesco a scattare questa foto.
Quando le nostre risate si sono calmate, faccio un respiro profondo. Forse è la volta buona che questa foto riusciamo a farla. Ed è così: lui mette la sua mano sulla mia spalla, avvicina il suo viso al mio, molto vicino e sorride. Ha un sorriso bellissimo. Scatto la foto. Ne faccio due per sicurezza, poi le riguardo. Siamo entrambi venuti bene e decido di salvarle. Quando alzo gli occhi dallo schermo, vedo che lui è già sul sentiero per tornare indietro e lo raggiungo.
Lui è davanti a me. È enorme. Voglio dire, di altezza: è altissimo e ha le spalle larghe. I suoi capelli neri corvini gli scendono delicatamente sulle spalle e sulla schiena, brillano di luce propria. Scommetto che sono trattati meglio dei miei.
Quando usciamo dal sentiero, mi accorgo che il sole sta per tramontare. Baji si gira verso di me. "Ti piace il tramonto?" mi chiede.
"Si, molto"
"Andiamo a vederlo"
Così mi dà il casco e salgo in moto. Non so mai dove mi voglia portare. Non me lo dice mai. Quando glielo chiedo risponde sempre "in un posto". Beh è comunque bello aspettare e vedere.
Siamo arrivati. Ormai non siamo più nel bosco di prima, ma un luogo totalmente sconosciuto. Non credo sia Tokyo, ma non è nemmeno molto lontano, credo. È un piccolo parco pieno di alberi di ciliegio che ancora devono sbocciare. Lì vicino c'è un laghetto minuscolo dove delle rane nuotano in tranquillità e accanto ad esso, due panchine vuote.
"Questo posto non lo conosce quasi nessuno" mi dice.
"Come fai a conoscere tutti questi posti?" gli chiedo.
"Beh, giro con la moto..." mi dice.
"Quando hai tempo di girare con la moto se c'è scuola?" gli chiedo fingendo di essere arrabbiata.
"La saltavo." mi dice. Diretto, il ragazzo.
"E ne vai così fiero?"
"No, ma almeno adesso possiamo vedere questa vista insieme" mi dice con un tono serio,  con lo sguardo rivolto verso il tramonto. Il mio cuore perde un battito.
Non ci avevo fatto molto caso, ma è veramente spettacolare. Quei colori caldi che si mischiano in mille tonalità attorno a quel corpo lucente, che è il sole, mi danno una sensazione di tranquillità impagabile. Mi sento meglio, guardando questo tramonto.
"Grazie" gli dico. Dal nulla.
"Di cosa?" mi chiede.
"Di avermi portata qua. Mi ha fatta stare bene. Grazie"
"Non c'è di che"
Siamo entrambi seduti sulla panchina e la mia testa piano piano scivola sulla sua spalla. Avevo paura che potesse dargli fastidio, ma non mi dice niente, quindi rimango in questa posizione. Gli sono veramente grata per quello che ha fatto per me oggi, ne avevo bisogno. Mi ha migliorato l'umore e mi ha fatta stare meglio. Mi sento in debito verso di lui che, anche se non lo sa, mi ha aiutata tantissimo.

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