Find Yourself ~ 1

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Seduto su un muretto, come quando ero un adolescente, avevo il parco di fronte e la scuola alle spalle. Non riuscivo a guardarla, per questo mi ero girato. Preferivo fissare le foglie secche e l'erba verde brillante che i mattoni del luogo dove ero stato giovane.

Eppure era come se mi sentissi osservato, giudicato da quell'edificio. Percepivo una sorta di solletico sulle spalle, un brivido giù per la schiena e il sudore che iniziava a colare.

Lei era in ritardo, ovviamente. La cosa strana, però, era che mi avesse dato appuntamento davanti alla nostra vecchia scuola, nel luogo dove era nato tutto, la nostra amicizia e la nostra relazione.

Il cuore mi batteva forte. La conoscevo e tutto ciò che faceva non era casuale. Lei era furba e terribilmente calcolatrice, ma non in senso negativo.

Ero sicuro che avesse in mente qualcosa.

Guardai l'ora sul mio orologio. Rischiavo di fare tardi al lavoro. Aspettai ancora, immobile, evitando di volgere lo sguardo, fin quando vidi la sua figura con la coda dell'occhio.

"Ah, finalmente!" esclamai, allargando le braccia, esasperato.

Lei rise e si coprì la bocca con una mano, cosa che faceva sempre quando era nervosa.

Le baciai la fronte e la presi per mano, più per abitudine che per altro.

I suoi occhi color ambra brillavano alla luce del sole morente e in quel momento le volli fare una foto.

Purtroppo appena tirai fuori il cellulare, lei mi guardò storto e mi disse di metterlo via. Avevo sperato che almeno una volta potesse permettermi di scattarle una foto, ma avevo sperato invano.

"Perché non posso farti una foto?" le chiesi in un sussurro. Il cuore mi batteva all'impazzata.

"Al lavoro mi hanno letteralmente fatta impazzire!" disse, ridacchiando e cambiando discorso.

"Letteralmente?" chiesi, fingendo di preoccuparmi.

Lei sbuffò sorridendo e mi avvolse il braccio nel suo foulard, un gesto molto tenero e strano che probabilmente non capirò mai.

Sembrava così felice e spensierata. Magari io pure, lo sembravo intendo, ma dentro non mi sentivo così.

Lei era bella, bellissima, un angelo, e tanto buona. Mi continuavo a ripetere che era troppo per me, forse era quello. Forse.

La trascinai nella direzione del mio lavoro perché era tardissimo, ma lei fece resistenza.

"Mi chiedevo se potessimo fermarci a parlare" sussurrò timidamente.

Il mio cuore perse un battito. Ecco la frase che temevo di più e lei l'aveva appena pronunciata.

"Che vuoi dire?" chiesi, guardandola e cercando di non far tremare la voce.

"Sederci e parlare un attimo" rispose, con lo sguardo fisso a terra.

Dal nulla sentii nascere in me una rabbia incontrollabile nei suoi confronti, così accecante che mi spaventò.

Le sollevai il mento e lei mi fissò terrorizzata.

"Cosa ti succede?" mi chiese con la voce tremante e gli occhi lucidi.

Lasciai andare il suo mento e mi misi le mani nei capelli. Possibile che dovesse sempre mettersi a piangere come una bambina?

Un po' mi vergognavo di ciò che pensavo.

"Non mi succede niente" risposi, lasciando cadere le mani e guardando gli alberi attorno a noi.

"Non si direbbe".

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