Love Yourself ~ 1

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Seduta sul mio vecchio banco di scuola, non c'era nessuno a guardarmi e a giudicarmi. C'eravamo solo io e i miei ricordi peggiori. 

Guardai le pareti fredde dell'aula e all'improvviso mi vennero i brividi. Volevo lasciare quel posto per sempre, eppure qualcosa mi tratteneva. 

Forse sapevo che mi sarebbe mancato, perché anche i ricordi più dolorosi sono capaci di far nascere una grande nostalgia.

Forse aspettavo semplicemente di sentire il più completo silenzio in corridoio per poter lasciar scorrere le lacrime. 

Avevo appena finito l'esame orale di maturità, quindi avevo finalmente concluso il mio percorso da liceale. 

Avevo creduto che sarebbero stati belli gli anni del liceo, anni di scoperta, anni di crescita.

Invece avevo coltivato l'odio, la rabbia e la tristezza e non ero riuscita a vivere quel periodo così come un tempo avevo sognato. 

Sentii dei passi di corsa proprio fuori dalla porta dell'aula e pochi secondi dopo mi ritrovai davanti la mia migliore amica, Fiona. I suoi capelli erano arruffati e le sue guance chiazzate di rosso. 

"Che vuoi?" le chiesi, tirando su con il naso. 

"Ti aspettavo giù e tu dov'eri? Ancora qui. Dimmi che ti succede, Esther! Com'è andato l'esame?".

Non sembrava troppo infastidita, bensì piuttosto preoccupata. 

"Non mi succede niente. E l'esame è andato bene, davvero".

Nonostante tenessi il capo chino, percepii che Fiona si stava lentamente avvicinando a me. Infine appoggiò la sua mano sulla mia spalla. 

"Non ti sembra strano?" le chiesi, non riferendomi alla maturità. 

"Che ti manchi già il posto che hai odiato di più in tutta la tua vita? Certo che mi sembra strano!" esclamò ridendo.

La sua risata illuminò la stanza in penombra. 

"Non mi manca...". 

"Però sai che ti mancherà". 

Fiona mi conosceva bene, forse troppo bene. A volte ciò mi spaventava e mi spingeva a ergere un muro di fronte a me. Un muro per proteggere me e per proteggere lei, un muro per non farle conoscere la vera me. 

Sospirai e mi presi la testa fra le mani, lisciandomi i capelli all'indietro. 

“Perché sono così? Cosa c'è di sbagliato in me?”.

"Puoi cambiare, lo sai. Te lo continuo a ripetere" continuò, mentre il suo sguardo vagava per l'aula. 

"Lo so bene!" sbottai. 

Quelle sue parole mi avevano irritata, anche se sapevo che i suoi intenti erano positivi. 

Forse ero soltanto arrabbiata per il fatto che fossi io a dover cambiare, io a dover sudare, al contrario di lei, che era già perfetta.

Oppure mi sentivo già schiacciata dalla prospettiva di mutamento. Temevo di non riuscirci o, peggio, di riuscirci troppo bene.

Cosa sarebbe successo se fossi cambiata fino a non riconoscermi più? Lo avrei accettato? 

"Hey, non serve incavolarsi!" fece, guardandomi dritta negli occhi. 

"Lascia stare, tanto non capisci" le dissi, distogliendo lo sguardo e osservando invece la lavagna. 

"Non volevi andare al campetto?" mi chiese la mia amica dopo qualche attimo di silenzio.  

"Chissene del campetto". 

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