Find Yourself ~ 4

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Quella sera non potevo evitare di parlare con Kiera.

Lei era a casa, in cucina, già di ritorno dal lavoro. Aveva indosso una maglia gialla, me lo ricordo ancora. Non mi aveva aspettato per cenare, infatti nel piatto davanti a lei giacevano alcuni avanzi di pollo.

Avrei scommesso che aveva pianto. Sentii il bisogno di stringerla tra le mie braccia, sentire la sua pelle soffice sulla mia e baciare i suoi occhi rossi.

Invece appesi la giacca, mi lavai le mani e presi del pollo dal cartoccio.
La sedia scricchiolò quando la spostai per sedermi.

Per qualche minuto il silenzio fu rotto solo dal mio masticare e dalle posate che graffiavano il piatto e intagliavano il pollo ormai freddo. La luce sopra la tavola era gialla come la maglia di Kiera e il cielo blu fuori dalla finestra si stava velocemente tingendo di nero.

Il pollo era delizioso e le mie membra stanche volevano disperatamente un po' di riposo.

Il mio tormento, messo in pausa davanti alla cena, si riaccese quando lei poggiò le braccia sulla tovaglietta americana e la testa sulle braccia, per poi scoppiare a piangere.

"Kiera" fui solo capace di dire.

Lei non smetteva di singhiozzare. La sua schiena sussultava come se dentro di lei ci fosse qualcosa che supplicava di uscire.

Le afferrai una ciocca di capelli biondi tinti e me la rigirai tra le dita. Ero capace solo di toccare i capelli della mia ragazza, singhiozzante davanti ai miei occhi.

Mi sentivo un mostro e avrei voluto confortarla, ma non potevo più fingere che andasse tutto bene, che il mio cuore fosse suo. Forse non avevo un cuore. Questa era l'unica spiegazione del fatto che non battesse più per lei. Ma aveva mai battuto per lei?

Una volta pensavo di amarla, ma se quella fosse stata solo una lunga infatuazione? Baci sotto la luna, carezze, abbracci sotto le coperte… tutti ingredienti perfetti per cadere nella trappola di qualcosa che non capivo.

Le avevo detto che l'amavo e avevo visto i suoi occhi color ambra illuminarsi alla luce della candela e le lacrime bagnarle le guance mentre mi diceva che mi amava anche lei.

In quel momento, come in molti altri, credetti di aver raggiunto la vera felicità.

Eppure, anni dopo, mi svegliai una mattina non pensando subito a lei e la stessa cosa avvenne le mattine seguenti. Un giorno mi diede fastidio il suo mangiare rumoroso e quello dopo la sua risata.

Una volta volevo parlarle seriamente di un problema che mi affliggeva, ma lei prese la cosa in modo scherzoso, prendendomi in giro come faceva spesso quando eravamo più giovani.

Le parlai della mia passione per la fotografia e del mio desiderio di riprendere a coltivarla. Lei disse che non ero cambiato e che era ora di mettere da parte le fantasticherie ed entrare nel mondo degli adulti.

Rideva e la sua risata mi spezzava lentamente il cuore.

Penso che fu in quel momento che rinunciai per sempre alla fotografia e decisi di dedicarmi esclusivamente al mio lavoro al bar.

A Kiera infatti fare foto non piaceva e non le piaceva nemmeno quando le facevo io. Quando le dicevo che volevo uscire a scattarne qualcuna, lei mi diceva di fare altro, perché quella era solo una perdita di tempo. Io obbedivo, debole.

Fatto sta che quella sera lei piangeva e io non riuscivo a consolarla. Era come se un blocco mi ostruisse il petto.

Non volevo consolarla, non volevo più fingere. Perché consolarla significava sussurrarle che l'amavo e questo io non potevo più giurarglielo.

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