Il Sogno ~ Parte 1

60 10 12
                                    

Shaun

La campanella non voleva decidersi a suonare. Stavo fissando l'orologio appeso alla parete con tutta l'intensità che riuscivo a metterci, ma il tempo sembrava comunque essersi fermato.

Lanciai un'occhiata al mio migliore amico Gus, che come al solito era concentrato sulla lezione.

Non si voleva perdere nemmeno una parola di ciò che diceva l'insegnante.

Appena i nostri sguardi si incrociarono, però, lui tornò a fissare il foglio, su cui stava scrivendo ad una velocità sovrumana.

Sospirai. Poi girai un po' di più la testa e ammirai Zoe, seduta due file dietro di me, che guardava distrattamente fuori dalla finestra.

Teneva i capelli neri raccolti in una treccia lunghissima e quando sorrideva le spuntavano le fossette sulle guance. 

Ero sicuro che al mondo non fosse mai esistita ragazza più bella di lei.

La campanella finalmente suonò e tutti i miei compagni si alzarono dai propri banchi per prepararsi e uscire il prima possibile dall'aula.

Anche Zoe si alzò e raccolse i suoi fogli in una teca, che infilò poi nello zaino.

Io mi preparai in fretta. Poi però restai immobile accanto al mio banco, aspettando che anche Gus si decidesse a mettere via le sue cose.

Intanto tutti i nostri compagni si stavano dirigendo verso la porta, compresa Zoe.

Abbassai lo sguardo quando mi passò a meno di un metro: ero troppo timido per incrociare il suo sguardo. Però ebbi l'occasione di ammirare le sue meravigliose Converse rosa.

Quando finalmente tutti se ne furono andati, tirai un sospiro di sollievo e fissai Gus.

"Allora? Ci sei?".

Lui si mise velocemente lo zaino in spalla e mi fece il saluto militare. Si comportava sempre come uno scemo, cosa alquanto grave considerando che aveva già compiuto diciotto anni, ma era uno scemo adorabile, lo ammetto.

Ci avviammo verso il corridoio, per poi scendere le scale. Infine fummo in strada, nella via che dal nostro liceo conduceva in centro città.

Il nostro gruppetto di amici, tre per la precisione, non era molto distante da noi. Corremmo per raggiungerli. 

Io strascicavo i piedi sotto il peso della cartella, mentre Gus correva velocemente, quasi volesse dimostrare di essere un atleta nato.

"Gus, aspettami!" gli gridai, per farlo gongolare di superbia.

Il mio amico raggiunse l'occhialuto Finn e gli diede una sonora pacca sulla schiena.

Finn fece un salto per lo spavento. Gli altri scoppiarono a ridere e improvvisamente decisero di scambiarsi anche loro delle pacche sulla schiena.

Io intanto mi ero fermato in mezzo al viale ad osservare da lontano la scenetta allegra. Sorridevo malinconico.

Potevo raggiungerli. Potevo urlare i loro nomi e quelli si sarebbero girati.

Invece preferii mantenermi distante, ad osservare.

Avevo già nostalgia del presente, nostalgia di un giorno destinato a svanire, nostalgia di dolci sorrisi e felici risate.

Alla fine Gus si ricordò di me e con una luce viva negli occhi urlò il mio nome. 

"Shaun, perché non vieni? Che ci fai ancora là?".

"Forse non sa più come si fa a camminare" suggerì Theo.

Gli altri risero e Leo mi gridò: "Ti sei incollato a terra?". Con le mani formava un megafono davanti alla bocca.

YourselfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora