Il Passato ~ Parte 1

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Evelyn

Andavo al cimitero almeno due volte a settimana. Ci sarei andata più spesso, ma mia figlia mi aveva pregata di spendere anche in altro modo il mio tempo. 

Lei non capiva, era ancora troppo giovane per farlo. Non capiva che per me andare a trovarlo non significava deprimermi, ma trovare un po' di pace. 

Soltanto quando ero davanti alla sua tomba, il luogo dove lui riposava, mi sentivo felice e mi sembrava che niente fosse cambiato.

In quei momenti riuscivo quasi a credere che l'uomo che mi sorrideva dalla piccola immagine sulla lapide non avesse mai smesso di sorridermi. 

Si chiamava Constantine. Io e lui siamo stati marito e moglie per ben cinquantasei anni. 

Da un lato mi meravigliavo di quanto tempo avessimo passato insieme, dall'altro mi sembrava che lui fosse venuto e partito troppo in fretta. 

Gli portavo dei fiori freschi e recitavo sempre le stesse preghiere. 

Sapevo che era giusto così e ormai mi ero rassegnata, ma non riuscivo a non sentire ancora la sua mancanza. 

Era passato già parecchio tempo dalla sua morte, non ricordavo neanche più quanto. A me sembravano pochi mesi, ma dovevano essere già trascorsi dieci anni. 

A volte gli parlavo. Quando mia figlia o mio figlio mi sentivano, mi guardavano in modo strano.

Sapevo che cosa passava loro per la testa. Credevano che fossi pazza. 

Per me era normale parlargli e raccontargli come stavo, come trascorrevo le mie giornate e che pensieri mi occupavano la mente. 

Era ciò che facevo quando lui era in vita, quindi perché non farlo quando lui non c'era più? 

Inoltre ero sicura che in un modo o nell'altro lui mi riuscisse a sentire. Doveva essere così. Lui c'era e io lo percepivo. Lo percepivo accanto a me in ogni istante. 

Purtroppo o per fortuna, questo i miei figli non lo capivano. L'avrebbero capito più avanti, se anche a loro fosse successo di sopravvivere al proprio coniuge. 

Gli adulti sono sempre convinti di avere ragione. Sono convinti di essere gli unici in grado di comprendere la realtà e credono che le generazioni che non la vedono come loro siano composte di gente pazza. 

Non si ricordano come si sentivano da bambini o da ragazzi e non immaginano neanche lontanamente come si sentiranno da vecchi. 

Esistono soltanto loro e il loro cieco modo di vedere la vita. 

Forse non dovrei criticarli e non dovrei generalizzare, però le giornate sono lunghe quando si è in pensione e riflettere è uno dei miei passatempi preferiti. 

Il fatto che porti a qualche amara conclusione è inevitabile. 

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Mescolai il caffè nella tazzina, finché fui sicura che lo zucchero si fosse sciolto del tutto. Quindi appoggiai il cucchiaino sul piattino e alzai lo sguardo. 

"Allora, non mangi niente?" chiesi a Esther, seduta di fronte a me. 

Eravamo nel soggiorno di casa mia. 

"Non ho molta fame" ammise lei. 

"E come mai?". 

Avevo preparato una torta al cioccolato, ma Esther non ne aveva assaggiato nemmeno un boccone.

Non mi sentivo offesa, ero soltanto preoccupata. Quella giovane donna era una delle persone più golose che conoscessi. 

Esther si guardò attorno nervosamente. Probabilmente stava cercando di trovare le parole giuste per spiegarmi che cosa le stesse accadendo. 

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