Capitolo 11 | Il laboratorio segreto

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Oxford era in subbuglio. Aveva condotto Thomas, Sydney, Edward e Jupiter nel suo laboratorio sotterraneo, una stanza angusta, buia, illuminata solo da una finestrella posta sul lato ovest e ritagliata nel muro di pietra viva. Quando aveva annunciato di voler spiegare il suo piano per scoprire la verità sul Philip James Hospital, sul perfido direttore Ford e sugli esperimenti sugli esseri umani che venivano condotti nella struttura, tutti avevano creduto che avrebbero discusso in soggiorno, accomodati su comode poltroncine in pelle, con i piedi tesi ed incrociati sul tappeto persiano che donava stile all'abitazione e coccolati dall'aria condizionata a palla diffusa nella casa dal professore. Ma non era stato così.

Il professore li aveva condotti dinanzi ad una porticina minuscola, che andava bene per la sua altezza (che non superava il metro e cinquanta, ad occhio e croce), ma che per altri era stata motivo di doversi abbassare sulle ginocchia per entrare. Una volta entrati, il piccolo gruppetto si era ritrovato in un cunicolo lungo e buio, illuminato solo parzialmente da lampade ad olio affisse ai muri. In un solo secondo sembrava di essere passati dai giorni nostri al medioevo, con un'umidità secca che penetrava nelle ossa nonostante le temperature estive all'esterno. Raggiunto il laboratorio Oxford si apprestò ad illuminare la stanza: la luce calda collegata all'impianto elettrico invase la stanza donando ai nostri una visione di insieme sul lavoro del professore. Cinque grossi tavoloni rettangolari erano disposti in maniera disordinata nella stanza. Questi recavano un pc antidiluviano che sembrava uscito direttamente da un film degli anni novanta, con tanto di schermo illuminato solo ad intermittenza, fogli, fogli, fogli, fogli, fogli e ancora fogli di diverso tipo, tutti scritti a mano con grafia incomprensibile, rotoli di carta disseminati ovunque con su scritte strane formule che solo Oxford riusciva a decifrare, tre set di provette di vetro che a dire il vero brillavano come fossero nuove, una moltitudine di penne dalle dimensioni diverse, degli sgabelli di legno vecchi e quasi marci, cartoni di pizza vecchi quanto il mondo disposti sul pavimento in prossimità di un piccolo cestino dei rifiuti stracolmo di cartacce appallottolate, con contorno di mosche, zanzare e moscerini ronzanti ovunque. Thomas si voltò a fissare il muro alle sue spalle e vide addirittura una striscia di formiche camminare a mo' di marcia verso un piccolo ragnetto che aveva tessuto un'affascinante ragnatela fumosa, biancastra e lattiginosa. Il professor Oxford passava lì dentro gran parte del suo tempo, ma non sembrava per niente interessato al mantenere la stanza pulita, né sembrava voler accettare il fatto che quel posto non fosse minimamente ospitale. Quando chiuse la porta alle proprie spalle spalancò le braccia mostrandosi ai quattro in tutto il suo entusiasmo: il sorriso brillante con i dentoni, gli occhialoni spessi con lo sguardo vispo ma rimpiccolito dalle disarmanti lenti ingiallite dal tempo, il corpo sgraziato e minuto raccolto in un camice bianco che aveva indossato qualche secondo prima, le cespugliose e voluminose sopracciglia e i capelli bianchi come la ragnatela del suo amico ragno affisso al muro. Oxford sembrava fiero di quel posto.

«Che ne dite?» domandò.

Nessuno rispose. Tutti si guardavano attorno.

«Molto...molto affascinante» disse Sydney cercando di non far trasparire il fatto di pensarla in modo completamente diverso.

«Lo adorate, vero?».

«Meraviglia» disse ironicamente Thomas, beccandosi un colpetto da Sydney.

«Fa un po' schifo» disse Jupiter sincera, per poi correggersi. «Ma è cool, è figo».

Edward tagliò corto. «Come entriamo lì?».

«Nel laboratorio?».

«No, nella valle incantata...certo, nel laboratorio!».

Oxford gli rifilò un'occhiataccia delle sue e l'ex poliziotto, nonostante la mole imponente e l'aspetto non proprio rassicurante sembrò quasi in imbarazzo, come u bimbo colto con le mani nella marmellata.

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