Capitolo 18 | Tortura psicologica

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Thomas fissava dinanzi a sé senza dire niente. Con una crescente sensazione di rabbia divampante e le mani legate, era logico si sentisse frustrato e solo il silenzio avrebbe potuto calmarlo. Ma Ford non era di quell'avviso. Il direttore avvertiva una strana sensazione: per il cinquanta percento il suo umore era nero, furioso, incattivito contro Thomas, Oxford e il resto della cricca. Se avesse avuto la possibilità di fare un buco in testa a quel ridicolo scrittore senza doverlo usare come contropartita per Jupiter – che lui giudicava più importante in quanto unico esemplare di resistenza alla proteina Boshin nel lungo periodo – lo avrebbe fatto senza ritegno. Non gli importava di sporcarsi le mani, né direttamente, né indirettamente e i suoi uomini avrebbero tranquillamente insabbiato il reato, distruggendo le prove, mentendo spudoratamente a chi avrebbe insinuato sospetti e lanciato accuse. Ma l'altro cinquanta percento che presiedeva i suoi sensi, quella piccola e impercettibile vocina attaccata alla razionalità cerebrale, quella voleva solo umiliare qualcuno. Non gli bastava vincere. Non gli bastava riavere la piccola Jupiter. Non voleva nemmeno pensare di doversi piegare ad un ridicolo scambio con l'uomo che negli anni addietro lo aveva sempre contraddetto con il quale era viva una rivalità focosa e resa acida dagli anni e dai silenzi scientifici provocati da opinioni tecniche discordanti. No, il direttore Ford voleva prendersi tutto. E per farlo era disposto anche a sfidare l'equilibrio mentale della sua vittima.

«Ti piace? Io la chiamo La Zona Boshin» sghignazzò Ford fissando le creature con aria soddisfatta.

Thomas avrebbe voluto colpirlo e assaporare la sensazione di vederlo sguazzare nel suo stesso sangue, ma purtroppo le mani legate e l'intorpidimento generale non aiutavano di certo. Inoltre, dopo il colpo ricevuto dal calcio del fucile di uno dei membri del servizio di sicurezza della clinica su ordine di Ford, in prossimità della nuca gli si era assestato un dolore intenso e lacerante.

«Cosa sono, esattamente?».

«Vede, signor Stoker...voglio darle del lei, proprio come si fa fra gentiluomini. Io non sono un animale come lei crede. Sono un uomo di cultura. Ho addirittura, tempo fa, letto il suo libro d'esordio. Una bella opera, per carità, ma credevo fosse stata scritta da un uomo, non da un ratto di fogna che cerca di disturbare il lavoro altrui».

«Lavoro?» domandò Thomas con la schiuma alla bocca per la rabbia. «Per lei questo è un lavoro? State sperimentando su pazienti che...».

«Che sarebbero inutili alla società».

«Nessuno è inutile alla società!» urlò Thomas a pieni polmoni. «Quelli come lei sono i veri scarti di questa cazzo di società di merda che permette a vermi di indossare dei completi eleganti e mostrarsi brave persone nonostante l'immondizia che alberga dentro di voi. Ma nemmeno lei è inutile. Quando avremo finito sarà un piacere vederla in galera».

«In galera? E quale sarebbe il capo d'accusa? Non hai capito che in questa città...IO comando? Sono IO che decido chi va e chi viene dalla clinica. IO che ho il potere. IO che so e che conosco. E di conseguenza IO che decido sui pazienti. Suo fratello Gerard non aveva problemi mentali, ma con lui ci siamo divertiti molto e ora è lì, a mia disposizione, da schiavo qual è. Quasi quasi potrei metterci anche lei, se non fa il bravo ostaggio e non sta in silenzio».

«Vuole somministrarmi la proteina? Lo faccia. Ma deve avere le palle di farlo senza esercito. Perché se dovesse» Thomas sorrise, un sorriso folle che gli dipinse sul volto una follia incoerente con quanto mostrato. «Perché se dovessi risultare un soggetto capace di sviluppare quella rabbia cieca della quale si serve a suo piacimento, non dovrà essere il suo esercito a fermare la belva, ma lei. Ma lei non ha il coraggio, vero? Siamo tutti bravi ad agire nella sicurezza delle nostre case, manovrando i fili come un burattinaio, ma la verità è che lei è solo un codardo. Uno sporco, piccolo codardo ricoperto di fango».

Ford sembrò accusare il colpo, ma cercò di non darlo a vedere e si limitò ad esporre un sorriso finto e spartano di cui Thomas, da buon osservatore, comprese la natura.

«Tuo fratello è ormai una belva affamata di qualsiasi cosa si possa muovere. Vedi, la proteina Boshin cancella la razionalità dalla mente del paziente, accentuando la parte del cervello relativa all'istinto, tuttavia questo porta ad una implementazione dell'adrenalina e della conseguente aggressività. In poche parole, quelle...piccole bestiole che vedi possono tranciarti il collo con un morso e divorarti senza sforzo e l'unica cosa che mi trattiene dal farti diventare la loro cena è semplicemente la volontà di riprendermi la piccola sgualdrinella che tuo fratello ha invano tentato di salvare. Oh!» esclamò Ford accentuando il tono e fornendo una pessima interpretazione di Gerard. «Guardatemi, sono Gerard Stoker e voglio essere un supereroe! Oh, la salvo io la puttanella di una clinica psichiatrica, la accolgo io in casa! Perché sono tanto bravo e tanto buono, mentre il direttore Ford lui sì che è un cattivone!».

Thomas continuò a fissare Ford con disprezzo.

«I cattivi vincono sempre, nella vita. Ricordatelo mentre ti ucciderò, ti servirà da lezione. E dopo i dovuti esami, quando non servirà più a nulla, ucciderò anche Jupiter e riderò, riderò da solo mentre godrò. Non tutte le vite umane hanno lo stesso valore, signor scrittore. Dovrebbe saperlo».

«Lei è solo un pazzo».

«Lei dice? Un pazzo con un esercito armato fino al collo e con un altro piccolo esercito ricavato dalla Zona Boshin. C'è un modo per farli uscire e indirizzarli nelle strade, creare il panico. Ma non lo faccio proprio perché non sono pazzo. Conquisterò la città e mi prenderò tutto, ma quando lo dirò io».

Thomas diede un'occhiata alla Zona Boshin. Il vetro spesso e lucido che li divideva da quella porzione di mondo composta da fanghiglia, lerciume e luci al neon era spaventosa. Riconobbe Gerard. Da qualche parte si dice che qualcosa che ci appartiene, anche in una folla, ci balza subito agli occhi. Un innamorato a Times Square potrebbe cercare con lo sguardo la sua amata e trovarla al primo incrocio. La sua trasformazione era stata spaventosa: le orecchie gli si erano tese verso l'alto come quelle di un lupo, il cranio si era schiacciato su se stesso con occhi sottili come quelli di un serpente e una bocca larga dalla quale spuntavano due enormi canini simili a quelli di un leone. Il corpo era ingobbito, ma il tono muscolare era almeno il triplo, con una struttura fisica dei pettorali simile a quella di un enorme gorilla arrabbiato. E poi il corpo, ricoperto di peli come quello di un primato. Thomas lo riconobbe dal tatuaggio che gli spuntava sulla caviglia destra. Gerard lo aveva fatto anni prima in occasione della laurea e raffigurava un piccolo topo che sollevava al cielo una coppa d'argento. Gerard aveva sempre fatto il tifo per i Californian Skippers, una squadra di basket la cui mascotte era proprio un topolino e per amore della squadra aveva tatuato quella immagine sulla caviglia. A molti era apparsa un'idea spartana, ma la verità è che a Thomas era piaciuta: faceva conservare a suo fratello un barlume di passato, quando il tempo era bello e non c'erano così tante scartoffie da compilare o così tanti muri da abbattere per avere una normale comunicazione. 

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