Capitolo 19 | I ricordi del professor Oxford

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15 luglio. Ore 23

Nel corso della propria vita Edward, vent'anni nelle forze armate e un passato nell'esercito, aveva davvero vissuto molteplici situazioni stressanti, situazioni che spesso ne avevano minato l'equilibrio fisico e psicologico e che lo avevano trasformato in un uomo grintoso, ruvido, dotato di eccezionale capacità di resistere alle pressioni. Ma non si era mai sentito così stanco come in quel momento. Le precedenti ventiquattr'ore erano state psicologicamente logoranti e tutto ciò che avrebbe voluto consisteva in una sana e rigenerante doccia e un posto tranquillo in cui stendersi e recuperare le energie. Ma, e questo lo sapeva bene, la sua vita e quella di tutti coloro che conosceva e che lo stavano aiutando in quella che era più di una semplice missione d'azione, era appesa ad un filo. Ognuno, nella squadra che avrebbe dovuto assaltare la clinica gestita dal perfido direttore Ford, possedeva un compito importante. Oxford, che gestiva il gruppo e che sembrava ad un passo dall'esaurimento nervoso, era il più agitato. Nelle ore precedenti, da buon leader della squadra e da vecchio saggio, aveva semplicemente passato il proprio tempo a vivere sull'orlo di una crisi, cercando di sforzarsi, agitando qui e lì le braccia come un capocantiere affannato nel cercare di far comprendere agli operai come voleva fossero eseguite le operazioni di costruzione dell'edificio da innalzare. Oxford, da buon scienziato, credeva fermamente non solo nella forza indicibile della razionalità scientifica, ma anche in quella della super morale. La sensazione, parlando con lui dell'argomento, era che non ne facesse una questione personale, quanto un'equa ripartizione fra il risarcimento che credeva di dovere a Jupiter per avergli salvato la vita anni prima e fra il semplice sentimento di estrema e catalizzante giustizia. La sua vita si era affaccendata fra i no della comunità scientifica a semplici test importanti che avrebbero potuto cambiare per sempre il concetto di medicina nell'essere umano e i sì della stessa per banalità che per tutta la vita aveva solo considerato marginali per la realizzazione professionale di uno scienziato, ma che in realtà erano state lodate non per quello che rappresentassero, ma solo per l'autore delle tali, spesso vero e proprio cognome pesante nel difficile e oscuro mondo della medicina e del riconoscimento accademico.

Cinquant'anni prima, fattoria Oxford nel Michigan

Figlio di contadini del Michigan, Oxford aveva passato tutta l'infanzia a coltivare vegetali nei campi, credendo che non ci fosse vita oltre il sole dilaniante che colpiva le viscere a fine giornata, dopo ore passate a schiena curva, a contatto con la terra. Suo padre Grayson era un brav'uomo, ma solo fuori da casa. Grayson, in gioventù, aveva sposato a soli vent'anni la piccola Diana, di anni sedici. I due avevano attuato quella che oggi, romanticamente, i media definiscono fuga d'amore, ma che all'epoca aveva i connotati di un matrimonio lampo e forsennato, la voglia di due giovani di costruire qualcosa di stabile o sereno e fuggire dalla stagnante quotidianità che le rispettive vite offrivano, più che di amarsi all'inverosimile, probabilmente per tutta la vita, se si fossero impegnati. Di carattere apparentemente docile, Grayson Oxford era stato uno studente mediocre vissuto con il chiodo fisso di dover rilevare la fattoria di suo padre Ermes, che di certo non aveva mai avuto ambizioni diverse per suo figlio. A ventidue anni Grayson aveva già compiuto ciò che suo padre aveva sempre voluto per lui: si era sposato, messo su famiglia dando vita con Diana al piccolo Vinnie Oxford. Quando Vinnie aveva compiuto quattordici anni, suo padre Grayson lo aveva portato in cima al vecchio fienile in piena notte, gli aveva consegnato una birra che il giovane Vinnie considerava troppo forte e lo aveva spinto a bere fino a quasi ubriacarsi. Poi gli aveva detto, sbronzo come non mai dopo la terza lattina ingollata come acqua fresca, parole che il professor Oxford non avrebbe mai dimenticato.

«Tu...tu sei mio figlio. E come mio padre fece con me, io ti do un compito».

«Quale compito, papà?» aveva chiesto il giovane Vinnie.

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