Capitolo 14 | La rincorsa alla verità

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Anita era furiosa, la sua voce al telefono fuoriusciva dallo smartphone arrivando ai presenti, che guardavano sbigottiti la scena.

«Ma porca troia, Thomas! Sei partito da giorni e mi avevi detto per messaggio che mi avresti inviato le prime bozze del nuovo libro! Il tuo agente mi sta assillando e quelli della casa editrice stanno minacciando azioni legali! Dovevi consegnare le bozze giorni fa e io avrei dovuto inviargliele! Si può sapere cosa diamine stai facendo?».

Thomas non sapeva cosa dirle. Non poteva certo dirle la verità. Spiegarle tutto era fuori discussione e poi la paranoia era aumentata: se qualcuno avesse messo il suo cellulare sotto controllo? Se quelli della clinica avessero armi a disposizione che lui nemmeno immaginava? Non poteva rischiare. Prese un gran respiro, cercò di ragionare, poi provò a schiarirsi la voce, ma un colpo di tosse gli sconquassò il petto a tal punto da indurlo ad avere un timbro raschiato, quasi da vecchio nonostante fosse un giovane uomo.

«Anita, hai ragione, ma...».

«Niente scuse! Mi avevi detto che saresti tornato subito e che in viaggio avresti ripreso a scrivere! Dove cazzo sono le bozze, Thomas?».

«Le ho, le ho» mentì spudoratamente. «Ma non posso inviartele».

«Cosa? E perché?».

«Perché qui...qui non c'è internet. Sai, la città è rudimentale, non hanno tutte le comodità che abbiamo lì a New York. Ora devo lasciarti subito, mi spiace non poter parlare con te, ci sentiamo nei prossimi giorni e mi raccomando chiedi pazienza a tutti coloro che pretendono subito il nuovo libro. Avrai le bozze quanto prima».

Riattaccò e provvide a bloccare il numero, in modo da non farla richiamare.

«A che punto sei di questo fantomatico libro?» gli chiese Sydney.

«Ho scritto solo qualche appunto, ma non mi preoccupo. Mi devo sbloccare. Riuscito a fare quello, il libro intero verrà su in un paio di settimane».

«Possiamo parlare di cose serie?» Oxford aveva incrociato le braccia e fissava il gruppo con impazienza. «Tu» disse chiamando Edward.

«Dimmi».

«Ci servirà la tua abilità da tiratore qualora le cose dovessero mettersi male. Sai sparare, giusto?».

«Certo, anche a lunga distanza».

«Lunga quanto?».

«Sui trenta, trentacinque metri centro il bersaglio».

«Di fronte alla clinica c'è un albergo fatiscente. Ci accamperemo lì. E, dal tetto, controlleremo la situazione rimanendo in contatto con lui. Ascoltami bene, Thomas».

Thomas si rinfilò il cellulare in tasca e fornì la sua totale attenzione al professore.

«Se dovesse per caso andare male qualcosa, tu comunicalo subito nell'auricolare. In più, fai attenzione a quello che ti dico, se dovessero rincorrerti, attaccarti...tu dirigili sul tetto».

«Sul tetto?».

«Sì. Lì ci penserà Edward, a sparare. Li abbatteremo come figli di puttana quale sono!».

Sydney intervenne, un po' perplessa. «Da quanto tempo preparava un piano del genere?».

«Da anni. Perché si vede?».

«Giusto un po'».

Entrare non fu difficile. Andò esattamente come pianificato dal professor Oxford, che sembrava aver decisamente studiato le variabili del piano per anni e anni, in attesa che qualcuno di davvero convinto provasse a metterlo in pratica. Thomas si rase la barba incolta che gli incorniciava il volto e tagliò i capelli castani a ciuffi che lo avevano sempre contraddistinto. Inoltre rinunciò per sempre agli occhiali da vista che di tanto in tanto indossava, preferendo indossare delle lenti a contatto. Non c'era pericolo che lo riconoscessero sul serio nonostante una discreta popolarità nella zona di New York, ma era meglio non correre rischi e tentare il tutto per tutto per liberare Gerard. Quando ebbe finito, Thomas era quasi irriconoscibile. Il cranio rasato, la faccia pulita, gli occhi di un colore diverso. Aveva poi indossato degli abiti presi ai grandi magazzini, a basso prezzo. Lui e Oxford li avevano sgualciti, tagliati in alcuni punti e macchiati con qualsiasi cosa venisse loro in mente. Così quando Thomas si era fatto vedere nel cortile affianco alla clinica, alcuni secondini alla finestra avevano aguzzato la vista, suggerendo alla direzione di prelevare quel folle pazzoide che dava spettacolo in strada dinanzi a tutti. Nei mesi precedenti alla mail di Gerard che gli aveva chiesto di venire a Fowler, Thomas si era frequentato con una ragazza chiamata Alana. Alana era una ragazza austera e composta, che nonostante i soli trent'anni di età si atteggiava a donna vissuta e matura, proponendo un look vetusto, un trucco pesante e coltivando interessi raffinati anche se in netto contrasto con quella che era la sua personalità iniziale. Una sera, in uno degli appuntamenti, Alana aveva portato Thomas a teatro per la rivisitazione di uno spettacolo russo, all'interno del quale il protagonista – un medico con numerosi conflitti interiori – avrebbe dato di matto. La relazione con Alana finì da lì a poco per evidente incompatibilità caratteriale, ma Thomas la ringraziò silenziosamente a distanza quando alcuni membri della clinica vennero a prelevarlo per portarlo da loro. Nel suo fingersi malato di mente si era ispirato proprio ai movimenti dell'attore di teatro che aveva avuto modo di vedere quella sera. Nonostante la noia assoluta dello spettacolo, l'interpretazione di quell'attore era stata sublime, penetrante e dolorosa. Thomas aveva iniziato a parlare alle cose, a scattare di rabbia contro il niente, a sbattere i piedi sull'erba del giardino per calpestare insetti immaginari. Poi aveva urlato più volte, fortissimo, talmente tanto che alcuni si erano addirittura affacciati alle finestre per controllare da dove provenisse quel continuo latrare di un ragazzo che, all'apparenza, sembrava così tranquillo e sereno da indurre alla conversazione anche un semplice sconosciuto. Ma Thomas era tutto fuorché tranquillo. Sotto lo sguardo attonito di Sydney, Jupiter, Oxford ed Edward alla finestra – rifugiati nell'albergo di fronte alla clinica e curiosi di come sarebbe andata quella folle missione – si fece condurre all'interno della clinica.

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