Capitolo 17 | Il piano

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Il clima da Oxford era tesissimo.

«Non posso credere a quello che ho sentito!» urlò Sydney fuori di sé. «Da mesi tento di proteggere Jupiter e ora tu vuoi scambiarla? Cazzo, prof, dovevi prevedere che sarebbe andata a finire così! Avevamo bisogno di un cazzo di piano alternativo!».

«Tu non capisci, abbiamo il controllo totale delle cose».

Jupiter, nel frattempo, nonostante avesse udito tutto, se ne stava in un angolo accomodata su una sedia di legno. Dondolava le gambe come sull'altalena e non aveva reazioni, se non quella di tenere lo sguardo fisso su Oxford, probabilmente in attesa di una spiegazione che provenisse direttamente dal professore o che quantomeno riuscisse a giustificare quanto appena sentito.

«Ho un piano e funzionerà» disse il vecchio scienziato. Sembrava folle, ma quella era davvero l'ultima spiaggia.

«E posso sapere di che razza di piano parliamo? Io vedo solo follia! Non possiamo portarci dietro nessuno!».

«All'apparenza, Sydney. Solo all'apparenza. Facciamo rientrare Edward, mi serviranno le sue esperienze per reclutare qualche arma».

«Edward? Ma non potrà mai farcela da solo!».

«Loro non sanno che sta con noi. Sarà lui l'arma per entrare».

Dopo qualche gioco di sguardi con Sydney, convinta che il piano sarebbe naufragato, Oxford si diresse da Jupiter. Si chinò dinanzi a lei, con il camice bianco che indossava sempre come fosse una classificazione sociale che toccava in terra, e chiuse le sue piccole mani fra le sue grosse e raschiate da anni e anni di lavoro con prodotti chimici.

«Non ti venderò, non preoccuparti. Ma sei l'unica cosa che può salvarci. Devi fidarti».

Al rientro di Edward il gruppo riassunse tutto. L'uomo, intriso di sudore per la fuga effettuata, decise di concedersi una doccia. Poi uscì e, con indosso gli abiti sgualciti procurati da Oxford, ascoltò le idee dello scienziato.

«Quanto ci mette un ex poliziotto con contatti come te a trovare delle armi?».

«Che tipo di armi?».

«Per mettere in pratica il piano ho bisogno di armi particolari. Uno come te, con il passato che ha, potrebbe aiutarci».

«Se hai bisogno di pistole o fucili ne ho una scorta in casa. Nel vecchio capanno».

«Quelle serviranno relativamente. Mi servono tre cose, Edward. E se non riuscirai a procurarle sarà la fine per tutti noi».

«Farò del mio meglio».

«Un furgone. Blindato. Completamente blindato, con finestrini oscurati. Armi militari, come un...un M16, per esempio. In realtà ne servirebbero almeno tre o quattro con munizioni. E poi, Edward, un lanciafiamme».

«Stai scherzando?».

«Non deve essere grosso o molto potente, un lanciafiamme al napalm va bene. Senti, hanno un esercito. Decine di uomini armati. Ci servono attrezzature militari. Anche bombe carta, fumogeni o esplosivi. Cose del genere. Puoi procurarle in ventiquattr'ore?».

Edward sospirò. In ballo non c'era solo la vita dei protagonisti di quella vicenda, ma anche l'onore di sua moglie. Quegli uomini avevano pestato i piedi sbagliati. La rabbia era covata in lui per anni e anni e ora, in ventiquattr'ore, avrebbe dovuto sfogarla rendendosi utile ad un piano che poteva essere suicida, ma che quantomeno avrebbe potuto fargli riacquistare un po' di dignità.

«So dove trovare il furgone, ma non ho capito a cosa ti serva».

«Vedrai. Per le armi?».

«M16 ne ho. Sono nella vecchia casa in campagna, a qualche ora da qui. Li recupero. Il problema sono gli esplosivi e il lanciafiamme. Dovrò chiedere a qualcuno che li vende clandestinamente, perché nessuno dei miei ex colleghi mi aiuterà. Inoltre preparati a sborsare soldi, perché è roba che viene venduta a peso d'oro. Stai chiedendo un arsenale, non semplici pistole».

«Ho tutto il denaro che serve. Sul mio conto in banca sono presenti centocinquantamila dollari. In cassaforte ne ho ventimila in contanti».

«Come fai ad avere tutti questi soldi?».

«Ho lavorato per quarantacinque anni. Non mi sono mai sposato. Né fatto figli. Guarda la mia casa, è bella all'esterno, ma un rudere all'interno. Non chiederti come ho fatto, ma come mai non ne ho molti di più».

«Al lavoro».

Nella clinica, intanto, Thomas fu svegliato da una secchiata d'acqua gelata. Riprese i sensi mentre era legato ad una sedia da ufficio. Si trovava in una strana stanza, molto grande e vuota. Affianco a lui il direttore Ford lo fissava incuriosito.

«Spero che tu non me ne voglia per la doccia».

«Vaffanculo».

«Oh, suvvia, non essere maleducato. Volevi tanto guardare cosa ci fosse dietro quella porta? Sai che la curiosità uccide, Tommy?».

«Non chiamarmi Tommy, psicopatico».

Il direttore Ford strinse forte le mascelle di Thomas con una mano, provocandogli intenso dolore ai lati del volto.

«Io ti chiamo come voglio, perché una volta che i tuoi amici saranno arrivati qui e mi consegneranno la troietta che è scappata da qui, io ti ucciderò comunque».

Thomas reagì con un grosso sputo squamoso che si depositò proprio sulle lenti degli occhiali del direttore.

L'uomo arretrò, assunse un'espressione disgustata e reagì schiaffeggiando Thomas più e più volte, da buon vigliacco, con lo scrittore immobilizzato e incapace di difendersi. Quando il direttore Ford ebbe sfogato la sua rabbia sul ragazzo, si guardò le nocche delle mani e constatò quanto fossero piene di sangue. Thomas ne perdeva parecchio dalla bocca, con gli spazi fra i denti rossastri che sapevano di acciaio e dolore e una rabbia crescente che si faceva strada in lui.

Ford pigiò alcuni tasti su una enorme console che si parava dinanzi a loro. Oltre la console, un vetro solido e spesso ma che rifletteva le loro figure lattiginose si accese come se mille riflettori fossero stati attivati contemporaneamente. I distorti riflessi di Thomas e di Ford scomparvero per dare spazio ad una visione abominevole: oltre il muro di vetro spesso e indistruttibile, era presente un microcosmo, un mondo pieno di lerciume e disgusto. Esseri immondi, curvi e con enormi pustole sulla pelle, teste deformi e bocche spalancate con canini pronunciati. Versi e bava che colava dalle labbra sottili e dure come ferro.

«In mezzo a loro dovrebbe esserci tuo fratello. In bocca al lupo per la ricerca, ragazzo mio».

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