Capitolo 16 | Messo alle strette

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Thomas arrivò al piano terra tramite l'ascensore. La hall era deserta, ma le luci erano accese, sparate con potenza dagli enormi lampadari quadrangolari disposti sul soffitto. Quasi provocavano fastidio alla vista, ma Thomas non ci badò e proseguì a seguire le disposizioni di Oxford, che nell'auricolare era rimasto in contatto con lui.

«Sei arrivato nella hall?» gli chiese il professore tramite l'auricolare.

«Sì, muoviti. Sento dei passi».

«Potrebbe essere la sorveglianza. Imbocca il corridoio in fondo, quello che ti avevo detto».

Thomas eseguì, il sudore che gli si annidava fra le pieghe delle mani e dietro al collo, l'ansia assestata al centro del ventre, come un serpente in procinto di torcere la propria preda. A passo veloce e spedito, raggiunse il corridoio cieco. Con gli occhi sbarrati fissò il muro bianco dinanzi a sé, come impaurito, come se quanto rivelatogli da Oxford non gli fosse stato detto per davvero. Si sentiva in trappola, in tensione, avrebbe persino aggredito la prima persona che gli si fosse parata di fronte. Erano scattati, nella sua testa, i meccanismi di difesa tipica degli uomini della giungla. Istinti animali, impulsivi, di puro attacco al solo scopo di non soccombere.

«Solleva la piastrella centrale, quella sotto al tappeto» disse Oxford.

Thomas si inginocchiò, sollevò il tappetino a forma di girasole sporco e sudicio, con parecchi strati di polvere e tolse la piastrella. Sotto c'era quasi totalmente buio, eccezion fatta per una piccola lucina arancione somigliante ad una piccola lanterna affissa ad uno dei muri.

«Fatto».

«Scendi, riposiziona la piastrella e stai attento a non cadere dalle scale di acciaio collegate al muro».

Anche questa volta, con le mani tremanti, Thomas eseguì. Se fosse riuscito a scappare non ci sarebbero stati problemi di gestione del romanzo, avrebbe probabilmente avuto pagine e pagine da riempire con le sue esperienze. Incominciò a camminare verso il buio, con solo la lucina arancione all'inizio del tunnel ad orientarlo. Estrasse la minuscola torcia che si era portato dietro e illuminò il cammino dinanzi a sé. Percorse i cento metri in silenzio, con il respiro che gli mancava e l'ossigeno che sembrava essere diventata una pura chimera da letteratura epica. Non lo aiutava di certo il professor Oxford, la cui tensione era percepita dalle inspirazioni ed espirazioni diffuse nell'auricolare, né Sydney e Jupiter, che continuavano a chiedere come stesse andando e le cui voci giungevano preoccupate a Thomas. Fuori la porta Edward lo aspettava armato. Era stata una fortuna trovarselo fra i piedi, mentre lui, Jupiter e Sydney erano fuggiti per dirigersi nel posto nascosto di Gerard.

«Sono di fronte alla porta rotonda» annunciò Thomas sottovoce.

«Bene, aprila».

«Non...non si apre...» disse Thomas cercando di forzarla. In un momento l'ansia sferrò il suo attacco decisivo. Il serpente nel ventre si contorse su se stesso spremendogli le budella e facendogli avvertire solo dolore.

«Va da qualche parte?» gli disse una voce.

Sobbalzò, poi si voltò lentamente.

Dinanzi a lui si stagliava il direttore Ford, con al seguito cinque guardie armate che puntavano contro Thomas altrettanti fucili. Erano pronti a sparare, ma Ford bloccò tutto e si avvicinò allo scrittore. Gli occhialetti scintillavano come pietre lucenti approfittando del fascio di luce estratto dalla torcia di Thomas, ma anche da quello derivante dalla torcia che il direttore stesso portava in mano.

«Le nostre telecamere di sorveglianza, munite di audio, sono piccole e nascoste bene, ma nei nostri bagni rimangono una presenza costante. Sai, in quanto clinica medica specializzata in pazienti con disabilità mentali...ecco, dobbiamo sempre controllare che qualcuno da solo non provi a farsi del male. Ma io sapevo che con te c'era qualcosa di strano, ma non avevo ancora capito cosa. Poi ho sentito che sei interessato a...Gerard. Lui, giusto? Si chiama così? E da quanto ho capito è tuo fratello...».

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