Otto

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                                                         Lione. Sede Interpol. Otto ore prima.


Camille Clifford era rimasta impassibile quando la porta si era richiusa dietro la schiena del capitano Toscani. Si era limitata a far di nuovo accomodare prima Nino Medici e poi Francesco Motta e a lavorare con loro fino a sera limitandosi a brevissime pause. Dopo le ventuno la riunione non proseguì oltre, perché fu la stanchezza a prendere il sopravvento costringendo a rimandare al mattino successivo ogni ulteriore considerazione sul caso di Elisabetta Dutti.

La sede dell'Interpol offriva anche alcune stanze d'albergo discrete e prive di lussi, ma accoglienti. Presero possesso delle camere che Camille aveva riservato e per quanto restava di quella notte non vi fu altra attività che il riposo.

Alle sette e trenta, dopo aver fatto colazione in camera, Camille, Francesco e Nino si ritrovarono nella hall arrivandovi uno dopo l'altro. Si sfiorarono appena rilasciando emozioni diverse che andavano dall'attrazione all'amicizia e dall'amicizia alla complicità.

"Se andassimo a parlare fuori? Intendo in un bar vero, magari in centro città. O magari nella parte vecchia."

Camille adorava Lione, soprattutto la parte vecchia della città, quella che poteva vantarsi di far parte del patrimonio dell'Unesco.

Nino Medici si guardò intorno. Poi con una pausa d'effetto rispose: "Magari io aspetto qui? Cerco il collega, non ho idea di dove sia finito." Nino pronunciò quelle parole, ma non in modo convincente.

"Nino, lascia stare, meglio poliziotto che attore. Credimi. E per quanto riguarda il giovane collega, l'ho rispedito a casa questa mattina presto, in treno."

Francesco Motta rise di gusto, quindi si fece serio: "E poi abbiamo da lavorare."

Uscirono puntando verso l'area di parcheggio. Scelsero la Giulia, e alla guida salì Camille che, come Nino, non aveva saputo resistere alla tentazione di provare quella nuova Alfa Romeo.

Seguirono il Rodano verso sud tenendosi sulla sponda est fino all'altezza di Bellecour. Poi attraversando il ponte, si diressero verso la Cattedrale di Saint-Jean-Baptiste.

"Se ti va di continuare a guidare, parliamo in auto."

A quelle parole, i visi di Nino e di Camille assunsero un'espressione complice: erano pronti ad ascoltare, perché quando Motta iniziava a parlare di un'indagine facendo il punto della situazione, non vi era altro spazio che per quello. Interromperlo non era una scelta saggia e quella modalità era stata ampiamente collaudata nel tempo da entrambi.

Visto il silenzioso assenso, Motta prese a parlare in quel suo modo semplice e diretto.

"Provo a fare il punto in sintesi e se notate lacune o imprecisioni avvertitemi. L'Interpol è a conoscenza di un traffico di bambine rapite. Al momento solo di sesso femminile, nessun maschio. Dalle foto che abbiamo visto e dalle schede segnaletiche, direi tra i tre e i cinque anni al massimo, ma preferendo i tre anni.

Tutte le bambine sono tedesche, simili tra loro. Bionde,, con viso tondo e occhi chiari, ma non per forza azzurri.

Il tuo ufficio, direttamente nella tua persona, viene a conoscenza per caso della modalità di quei rapimenti. Sembrerebbe un colpo di fortuna, oppure tu Camille hai omesso una parte del racconto."

Siccome Camille Clifford non disse una sola parola, il vicequestore Motta riprese il suo resoconto.

"Una nave portacontainer è costretta all'approdo a Cape Town e la polizia, aprendo per caso un container ritrova quattro bambine, perfettamente curate e nutrite.

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