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                                        Interpol, 200 Quai Charles de Gaulle, Lyon, Francia.


Il buio del mattino nascondeva le acque del Rodano. La Giulia, guidata da Nino Medici, aveva percorso la tangenziale periferica nord di Lione per imboccare il Boulevard Laurent Bonnevay che, dopo una rotonda, prende il nome della strada che, costeggiando il fiume, porta direttamente alla sede dell'Interpol di Lione.

La sede dell'Organizzazione internazionale della polizia criminale, Interpol, è un palazzo di vetro e cemento posto all'interno di un grande perimetro difeso da una cancellata alquanto imperiosa.

La zona intorno all'edificio è magnifica, tra due specchi d'acqua, il Rodano da un lato e il Lac du Parc de la Tête d'Or dall'altro, circondato da alberi secolari e da prati verdissimi.

Mentre Nino Medici puntava con prudenza verso l'ingresso chiaramente presidiato, Francesco Motta lo mise alla prova: "Qual è l'ultima nazione che ha accettato di far parte dell'Interpol?"

Su quello però il capo della scorta del vicequestore era preparato: "La Città del Vaticano. Anche questo la dice lunga sui nostri amici romani."

Non ci fu il tempo per ulteriori repliche né considerazioni: erano giunti al controllo documenti che si svolse regolarmente in francese.

Camille aveva lasciato precise istruzioni al posto di guardia e le sbarre protettive furono aperte in pochi secondi. Al giovane poliziotto non parve vero di essere in quel luogo e mentre già pregustava in silenzio i racconti, magari ingigantiti, che avrebbe potuto elargire agli amici, Motta, leggendogli nel pensiero, lo prese in contropiede: "Non pensare nemmeno per un attimo di raccontare tutto questo: non c'è argomentazione a riguardo e nessuna eccezione."

Un'espressione delusa apparve per un attimo sul viso del giovane poliziotto, che palesò la sua totale inesperienza.

Parcheggiarono l'auto poco oltre la barriera dell'ingresso, subito dopo aver superato un secondo cancello che si era aperto automaticamente.

Nino percorse quei pochi metri con lo sguardo piantato su un'auto che li aveva da poco preceduti. Una BMW color argento. Targa italiana. Concessionario di Roma. Non c'era un motivo razionale, ma quell'elemento inaspettato non parve essere gradito né a Nino né a Francesco. Non erano più i soli italiani ricevuti a corte: a volte l'ego viene graffiato e mortificato anche da piccoli dettagli.

Quelle increspature sui volti, giustificate anche dalla nottata in bianco, sparirono però immediatamente nel vedere la sagoma di Camille venire loro incontro. La hall completamente illuminata a giorno, era protetta da una porta a vetri scorrevole trasparente che non lasciava dubbi sull'avvenenza di chi si stava avvicinando a passi rapidi.

"Camille!" fu Nino il più veloce prendendo il primo abbraccio e il primo bacio sulla guancia. Poi fu il turno di Francesco: un abbraccio e un bacio intenso, lungo. Il ritrovarsi di due corpi che si erano mancati.

Solo il giovane agente poté ammirare quello scambio da vicino assaporando emozioni a lui fino ad allora negate. Solo amori fugaci, con nessun ricordo da portare con sé.

"Ti presento l'agente Marco Sala."

"Piacere, Camille Clifford."

"Piacere mio."

Il giovane agente era violentemente arrossito, visibilmente a disagio.

Camille lo guardò e gli sorrise. Poi divenne seria e con tono dispiaciuto aggiunse: "Le devo chiedere di attenderci qui nella hall. La collega della reception provvederà a lei. C'è una stanza dove lei potrà mettersi a suo agio, c'è la televisione e, se vorrà, potrà anche dormire. Non sarà un incontro breve."

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