Tredici

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Roma, John Cabot University, Alcune ore prima.


Il cielo di Roma lo si può comprendere quasi tutti i giorni dell'anno. Il suo colore azzurro è del sud, la sua nitidezza anche, perfino le nuvole che lo riempiono, siano esse di pioggia o di vento, si distinguono da quelle che si possono vedere nel nord d'Italia.

È indefinibile la linea geografica di confine, ma esiste. Per trovarla, non è necessario cercarne una traccia sulla terra ma è sufficiente e doveroso scrutare l'aria e il cielo, così come è indispensabile osservare il carattere delle persone che impercettibilmente varia da luogo a luogo fino a giungere, appunto, al confine tra il nord e il sud.

E non per forza il nord è peggio del sud, sebbene il cielo del sud sia decisamente il migliore.

Era su queste considerazioni che il professor Chiti stava inutilmente divagando in aula quel giorno, trasportato com'era da quel magnifico inizio di primavera che Roma gli stava offrendo.

Tipico suo, gettare al vento ore di lezione.

Fu allora che, timidamente prima e in modo deciso poi, dal fondo dell'aula si alzò una mano. Un gesto non proprio da università, piuttosto da scuole elementari. Pazientemente quella mano rimaneva sollevata in attesa di attirare l'attenzione.

Chiti aveva visto il gesto e continuava a osservare stupito quel giovane, considerato che finora nessuno aveva mai osato interromperlo durante una lezione, né per commentare una sua digressione.

Così, guardando quel volto di ragazzo, non si decideva ancora a concedergli la parola non trovandone il giustificato motivo per farlo.

Per questo si voltò ignorando quel gesto e fece male.

Il ragazzo allora si alzò e avanzò di qualche metro verso la cattedra, i suoi passi fecero scricchiolare il vecchio pavimento in legno obbligando tutti i presenti a voltarsi verso quell'inaspettato rumore. Tutti gli occhi in quell'aula magna si voltarono all'unisono verso lo sconosciuto e nel totale silenzio. Non il minimo rumore, soltanto quello delle teste che voltandosi spostarono l'aria circostante.

Il professore Chiti a sua volta si fermò, ruotando su se stesso fece scivolare le suole delle scarpe, invece di voltarsi educatamente. Compì proprio un giro su se stesso di trecentosessanta gradi. Sembrò una scena teatrale, con un gesto volutamente marcato da parte del professore.

"Sì?"

Si limitò a chiedere con saccente sarcasmo, ma nessuno rise, perché nell'aria c'era qualcosa di strano, decisamente a favore del giovane e non del professore. Una impercettibile vibrazione tagliava l'aria, ma i presenti, tutti giovani, erano ancora capaci ad utilizzare i sensi di cui da adulti non avrebbero poi più saputo avvalersi.

John Williams si accorse di quella strana situazione che aveva creato a suo favore e prese coraggio decidendosi a parlare: "Mi scusi professor Chiti, non comprendo. Lei parla del carattere delle persone distinguendo tra nord e sud di questo paese. Io sono americano e fatico a comprendere questo concetto perché non conosco ancora l'Italia, ma studio l'italiano da molti anni e ho da farle un'obiezione. La parola 'carattere' implica diversi significati nella vostra lingua. Giusto?"

Non attese la risposta del professore e, se voleva ottenere l'attenzione del pubblico, ci era riuscito perfettamente. Ora però non doveva sprecare quell'occasione.

"A mio modo di intendere, questi significati possono essere scelti tra tre principali: indole o temperamento, tipo o natura, e infine il ruolo in una commedia."

Un dizionario non avrebbe potuto precisare meglio.

Il professor Chiti rimase a bocca aperta, senza parole, e si dovette annotare nell'annuario dell'ateneo che questa fu la prima volta in assoluto. John, non vedendosi interrotto e non potendo lasciare in sospeso quanto aveva appena detto, proseguì.

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