Diciannove

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                                                                          18 aprile, Milano, Questura.


Il Questore di Milano aveva preparato le cose in grande. Voleva l'arresto e l'incriminazione di De Scano mentre i suoi avvocati premevano perché non fosse incarcerato. La loro tesi era bizzarra: non erano stati commessi reati dal loro assistito, e il possesso illegale di arma da fuoco sembrava poca cosa per quegli avvocati così caparbi nel dimostrare la totale innocenza dell'assistito. Il magistrato di turno, che neppure per un momento aveva preso in considerazione quelle argomentazioni, aveva già predisposto l'arresto e l'immediato trasferimento a San Vittore, conferma che a volte la giustizia procede in senso logico e lineare.

I difensori di De Scano non appartenevano a uno studio di Milano. Si erano mossi da Genova ed erano avvocati penalisti noti in tutto il nord d'Italia. La difesa di crimini violenti e di reati di stampo mafioso era il loro biglietto da visita.

Osservando lo schieramento di avvocati e le loro espressioni, si poteva immaginare che in ballo non ci fosse soltanto l'imputato De Scano.

Il vicequestore Francesco Motta aveva imparato da tempo a non fidarsi delle apparenze né tantomeno delle coincidenze. Così classificò De Scano come un criminale che si era così tanto arricchito da potersi anche permettere uno studio di avvocatura molto costoso, senza per forza avere connessioni con la criminalità organizzata e non prefigurò molte altre considerazioni pregiudiziali.

Fece però una previsione: il curriculum di De Scano era incompleto e sarebbe stato ben presto aggiornato.

Fu la preparazione voluta dal Questore il vero motivo di interesse della giornata. L'interrogatorio di De Scano sarebbe infatti avvenuto nella sala riunioni della Questura e non in carcere. Una montatura ad arte, forse per impressionare il nuovo ospite di San Vittore.

Così la Polizia Penitenziaria si mosse per vigilare su De Scano nel tragitto da San Vittore alla Questura e questo fatto sembrò a tutti uno spreco di risorse e un rischio che poteva essere evitato.

Anche Nino Medici prese quella convocazione come una forzatura, un'eccessiva messinscena.

E si sbagliò, come tutti del resto, fatta eccezione per Motta e il Questore stesso.

Le intenzioni del Questore e del vicequestore erano ben più complesse del solo fornire uno scenografico trasbordo dal carcere alla Questura, essendo invece rivolte all'importanza e alla funzione del luogo stesso. Il tutto fu architettato tacitamente.

Dopo giorni di ricerche e indagini, Antinoro aveva messo a segno un ulteriore colpo, uno dei tanti a cui ormai aveva abituato i suoi superiori in grado.

Aveva infatti iniziato a scavare nell'azienda Trasporti & Container ignorando, volutamente, l'officina di De Scano e il proprietario stesso.

La teoria che era alla base di quel suo modo di agire era semplice ma efficace ed era stato Motta a suggerirla: perché la banda di rapitori avrebbe utilizzato due luoghi diversi seppure adiacenti alla stessa strada? Perché non utilizzare semplicemente la sede della Trasporti & Container anche per lo scambio delle vetture?

Un motivo doveva chiaramente esserci, ma i poliziotti di Milano non lo avevano ancora compreso. Durante la ricerca avevano però trovato ben altro.

Un'inattesa piega degli eventi si era rivelata agli occhi di Antinoro: la Trasporti & Container era controllata da un'altra azienda denominata Viamare S.P.A., che in realtà altro non era che una finanziaria che apparteneva a dei prestanome, persone chiaramente prive di capacità aziendali messe semplicemente in una posizione di comodo per costituire una società.

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