Cinque

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                                                            New York. Aeroporto JFK. 10 aprile.


John era in uno stato di totale agitazione, quando finalmente attraverso le porte scorrevoli vide apparire tutta la famiglia: padre, madre e perfino i due fratelli maggiori. Rimase stupito e addirittura un po' sconcertato nel vedere l'intero dispiegamento di forze arrivare in suo soccorso.

Amy Boyd era abituata a vivere in mezzo ai maschi, con John era arrivata a quattro, compreso il marito. Poi era nato anche Patrick, il più giovane, e con lui il numero era salito a cinque. I Williams erano numerosi e compatti e anche in quell'occasione lo dimostrarono.

Amy Boyd, che tutti in famiglia chiamavano per nome e cognome, come per distinguerla meglio dal resto dei Williams, guadagnò un metro buono rispetto al gruppo e si lanciò per prima tra le braccia del figlio.

"Mamma..."

Amy Boyd strinse a sé quel figlio, poi con il fare pragmatico che sempre la contraddistingueva, disse: "John, ora li mando tutti in hotel così che possiamo parlare tranquillamente. Tu e io."

"No, va bene, è giusto, quello che ho da dire riguarda anche loro. Come sta Patrick?"

"Meglio. Solo un grande spavento. È un campione di football ed è grande e grosso per fortuna. Lo hanno placcato in due da dietro. La sua linea di difesa non ha tenuto e lui non li ha visti nemmeno arrivare. Un brutto impatto. Lo hanno portato via in un'autoambulanza che è entrata direttamente dentro al campo di gioco."

Amy Boyd tremava mente lo diceva.

"Patrick è forte." rispose John, catalogando quell'argomento tra i problemi risolti, almeno per ora.

Poi fu il momento degli abbracci forti, strette di mano e sorrisi: quello dei maschi di casa.

Pochi attimi, solo lo stretto necessario per poi lasciare spazio ai volti che chiaramente erano in attesa di spiegazioni.

John capì allora che non lo avrebbero fatto tergiversare a lungo e si rese conto di quanto non fosse nello spirito di scherzare con i fratelli, che visibilmente cercavano di rompere il ghiaccio.

"Sistemiamoci laggiù", disse indicando il tavolino di una caffetteria italiana.

Come in un rito già ampliamente collaudato, la famiglia Williams ordinò cinque caffè con latte e una fetta di torta. A Denver lo facevano spesso il sabato mattina, quando si concedevano del tempo da trascorrere insieme prima di darsi il via libera, a piccoli gruppi o in solitudine, per godersi il giorno di festa.

Appena il cameriere si allontanò, John parlò a lungo, e allora i sorrisi, che fino a quel momento avevano condiviso, scomparvero definitivamente lasciando spazio alle crepe sotto pelle.

"Non è possibile John, non credo a una sola parola!"

"Papà, credo invece che sia proprio così." E dicendolo aprì la cartellina che aveva ricevuto in dono dal professor Thomas.

L'articolo era di un giornale di Roma del 14 marzo 1966 e John si servì della traduzione che gli aveva fornito il professore per spiegare i fatti risalenti a cinquant'anni prima. Lesse ad alta voce, come se fosse in cattedra per una lezione: "L'americano. Arrestato ad Aprilia e subito rilasciato un uomo di origine statunitense. I Carabinieri del nucleo operativo di Roma hanno smantellato un'organizzazione internazionale avente sede nella nostra capitale che si sospettava agisse per i servizi segreti deviati con lo scopo di destabilizzare il paese. Secondo il Procuratore di Stato è inspiegabile la liberazione del cittadino americano John Williams, subito rilasciato anche se sospettato di essere la mente di questa organizzazione."

Poco più di un trafiletto, smentito il giorno seguente e che per decenni non aveva raggiunto il continente americano.

Fino al giorno precedente in cui il professor Thomas lo aveva materializzato tra le mani del suo studente.

Grazie all'assenza delle attuali tecnologie di comunicazione, quell'informazione era rimasta celata, inerme e senza vita. Non c'è infatti informazione senza una sua adeguata diffusione e fino a vent'anni fa, ciò era possibile, perfino semplice. Oggi, invece, evitare la diffusione di un'informazione sarebbe decisamente più complicato.

Fu allora Hayden, il fratello maggiore, a parlare con un tono serio e alquanto teatrale: "John, è chiaramente un falso. Chiunque potrebbe creare quel foglio di giornale e spacciarlo per vero e..." ma non terminò la frase, perché tutti, compreso lui, dovettero voltarsi verso il padre che piangeva lacrime silenziose, amare e colpevoli.

"È tutto vero."

Amy Boyden aveva il dono della sintesi estrema, ma in quel momento si sentì in dovere di ripetere il concetto due volte, mentre il marito non era ancora in grado di formulare una qualsiasi e conveniente spiegazione.

Fu uno shock. Uno shock familiare.

I figli prestarono attenzione a quelle semplici parole che aprivano una realtà completamente diversa da quella fino ad allora conosciuta. A tutti, quasi automaticamente, vennero alla mente i numerosi momenti in cui avevano condiviso i racconti su quel nonno.

Fu inimmaginabile e doloroso per tutti.

Saperlo in vita, mentre per loro era morto in guerra da eroe, fu come scoprire un'indicibile menzogna.

Gli era stato dipinto come un vero eroe americano, e ora scoprivano che era tutto falso.

La delusione generò in loro un vuoto incolmabile. Anche le piccole cose che avevano trattenuto di quei racconti si volatilizzarono perdendosi nella loro memoria.

Non c'era colpa più grande di raccontare falsi miti propinandoli come veri. Perché gli uomini, i cuori degli uomini, crescono aggrappandosi a quelle false verità e facendole diventare proprie vi costruiscono attorno i valori della vita. E solo i più forti poi non crollano, quando tutto è diverso da come si lo era immaginato.

Giacché non era possibile sentire neppure una scusa per quei gesti ripetuti nel tempo, neppure la più blanda, John si alzò, mostrando a quel dispiegamento di Williams un biglietto aereo di sola andata: Lufthansa, volo New York – Roma, fila 11 posto G. In partenza da lì a tre ore.

Perfino Amy Boyd comprese che non c'era una possibile via di fuga dalla menzogna. Li aveva delusi tutti, aveva frantumato i loro ricordi, irrimediabilmente, e i cocci sono di chi paga e presto avrebbe dovuto saldare quel conto: salato e necessariamente pagato a rate.

Il resto furono solo immagini sfocate che nessuno avrebbe impresso nella memoria, né John, né suo padre, né i fratelli, né la disperata Amy Boyd.

A quel punto John si concentrò soltanto più sullo spazio fisico da colmare tra sé e il volo Airbus che lo avrebbe portato in Italia. Giunto a bordo, al sorriso della hostess rispose con un glaciale: "Fila 11 posto G". Ma quel sorriso non si smorzò neppure per un attimo, rivelando invece una gentile e professionale comprensione. Una piccola compensazione, per John, la prima e forse l'ultima a disposizione.

Quel viaggio era iniziato nel peggiore dei modi e John lo avrebbe ricordato per sempre.

L'ultimo viaggio della sua vita.

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