Quindici

39 4 0
                                        

Nino Motta rispettava sempre la procedura, come un ottimo cerimoniere. Saltò quindi giù dall'auto ancora in corsa, sebbene fosse chiaramente inutile in quel momento. Era la necessità di agire, il bisogno di fare qualcosa in quei frangenti in cui si accumulavano soltanto brutte notizie senza alcuno spiraglio di luce all'orizzonte.

Poi scesero tutti gli altri con movimenti così precisi da sembrare una squadra di nuoto sincronizzato.

La scorta del vicequestore fece perimetro attorno a lui, proprio come accade in una zona di guerra attorno all'ufficiale più importante. Anche questo movimento di uomini poteva sembrare troppo protettivo e, per certi versi, superfluo, ma non per Motta.

Molte autorità dello Stato sono state colpite a morte proprio in un momento in cui le scorte avevano incautamente abbassato la guardia.

Un'allerta costante poteva invece fare la differenza. Anche qualora non sembri esserci il minimo pericolo, gli uomini delle scorte devono sempre essere tesi alla difesa e attenti a reagire con prontezza e precisione all'inaspettato.

Proteggere la vita di persone come il vicequestore Motta era anche una necessaria forma di salvaguardia dello Stato e delle persone che fanno parte di esso.

Ma al momento non s'intravvedevano pericoli imminenti, visto che l'area era controllata dai carabinieri del nucleo di Pirrera e la Scientifica della Polizia era già giunta sul luogo. Nessun pericolo quindi, apparentemente.

Nino Medici ringraziò il giovane tenente per aver tenuto fede all'impegno di attendere il loro arrivo.

"Di nulla, dovere." rispose il graduato.

"Invece abbiamo apprezzato. Avrebbe potuto lasciare una delle due auto qui e rientrare al comando: sicuramente è ben oltre al suo orario di lavoro."

"Non avrei mai potuto. E poi ho pensato che avreste voluto discutere con me delle parole che il capitano Toscani mi aveva lasciato in serbo per voi anche se vi ho già comunicato tutto al telefono. Fate riferimento al comando provinciale, se avete ancora bisogno di me."

Poi Pirrera raccontò quanto fosse accaduto in quell'officina e le modalità con cui erano stati chiamati dal capitano Toscani. La sua collaborazione lasciò quasi allibiti i poliziotti, abituati a contatti sporadici tra le forze dell'ordine e con la comunicazione ridotta sempre al minimo indispensabile.

Dopo aver ascoltato i dettagli di quanto era successo e le frasi pronunciate da De Scano e da Toscani, Medici gli strinse la mano e lo congedò.

Quel saluto sancì un passaggio di consegne informale ma definitivo. Tutto passò nelle mani della Polizia senza creare i presupposti per una futura collaborazione, come d'abitudine tra le due forze dell'ordine della provincia milanese.

L'area attorno all'officina era una scomposta e desolata distesa di rottami, rifiuti ed erbacce, come spesso accade in certe periferie delle città italiane.

Quella zona industriale era stata costruita negli anni Settanta e poi espansa negli anni Ottanta. Le differenze tra i due periodi non erano evidenti: cemento grigio, finestre alte e strette, nessuna fantasia architetturale, pura funzionalità e, soprattutto, costi di realizzazione più bassi possibili.

Il segno del tempo era visibile in quasi tutti i capannoni industriali: vetri in frantumi, macchie di ruggine, grondaie rotte. Era evidente il degrado delle aziende che vi operavano e la rinuncia degli imprenditori a investire nell'immagine e nella cura delle loro proprietà.

Francesco Motta fece un giro attorno all'officina. A primo acchito c'erano alcuni elementi dell'arresto di De Scano che lo incuriosivano.

Ammesso che la presenza di Toscani fosse dovuta ad una pista investigativa apparentemente non collegata al rapimento, fatto che peraltro non lo convinceva, riteneva anomalo che l'officina fosse stata scelta come il luogo destinato a uno scambio di vetture.

Il Buio Del MattinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora