I cespugli di ortensie ondeggiavano adagi alle carezze del vento, diffondendo nell'aria tiepida il profumo delle dolci promesse di giugno. La bambina sfrecciò accanto a uno di essi, frustandone con un lembo del vestito la corona e lasciandosi alle spalle una scia di petali color indaco che si librarono in aria per un po' come buffi coriandoli prima di cadere sull'erba finemente tosata. La bambina continuò a correre senza voltarsi. Il vestito, il bel vestito di seta bianca regalatole da zia Walburga, era irriconoscibile: ormai vagamente bianco, con l'orlo imbrattato di terra e le maniche stropicciate che ricordavano gli stracci appesi ad asciugare giù in lavanderia. Se sua madre l'avesse vista in quello stato sarebbe morta sul colpo ancor prima di poter solo pensare di diseredarla. Ma in quel momento il viso altero di sua madre non rappresentava una grossa minaccia; qualcos'altro, un'angoscia più grande, l'aveva spodestata dal piccolo cuore impazzito della bambina.
«Petit!» gridò, con tutto il fiato che aveva nei suoi piccoli polmoni da bambina.
Aveva appena superato il recinto con le rose di suo padre quando avvertì il tanto familiare e per questo detestato pizzicore agli occhi. Non ora, per favore. Ma le lacrime cominciarono a scendere imperterrite sul suo volto morbido d'infanzia, quasi facendo a gara tra loro. Con rabbia, la bambina si passò il dorso della mano sul viso, decisa a voler cancellare ogni traccia di pianto. E tuttavia un istante dopo le lacrime ripresero a scendere, con capricciosa ostinazione. Decise che se le sarebbe mangiate il vento. Accelerò l'andatura e in una manciata di minuti si ritrovò a superare il confine con il bosco che circondava la sua casa. Alle sue spalle, più lontano di quanto la sua giovane mente potesse calcolare, le torri del maniero si stagliavano contro il cielo bruneggiante come i profili di due genitori severi.
Un'altra bambina, una bambina che avesse conosciuto l'aspetto di una vera casa, probabilmente avrebbe corso in quella direzione e non in quella opposta, ma per lei che conosceva soltanto un edificio monumentale pieno di stanze in cui perdersi, la fuga era l'unica direzione. Naturalmente un pensiero del genere non le aveva nemmeno sfiorato la mente. Era troppo piccola per interrogarsi sul motivo profondo dietro al prurito che le faceva scattare i piedi; in quel momento sapeva solo che era necessario, quasi vitale, e questo le bastava. Sarebbe stato perfino piacevole, se ad animarla non ci fosse stato un amalgama di paura misto ad angoscia: la terra che si scioglieva in un nastro infinito sotto i suoi piedi, il rumore dei passi che accompagnava l'avanzata come un canto di tamburi, il respiro che si assottigliava sempre di più, frammentandosi nell'aria. C'erano momenti in cui si perdeva totalmente nella corsa, e lei stessa diventava energia pura e liquida.
«Petit!»
All'improvviso cadde. Come le era stato insegnato, allungò prontamente le braccia in avanti e la testa fu salva. Un gemito strozzato le sgusciò fuori dal petto al contatto con il terreno duro e umido. Almeno le lacrime si erano freddate in sottili rigagnoli ai lati del viso e non minacciavano di scendere ancora. Per un attimo rimase ferma dov'era, troppo sorpresa per provare dolore o spavento. Poi si girò sul fianco e solo allora scoprì la causa della caduta: una grossa radice nascosta all'ombra di una quercia imponente. Con una smorfia, si chinò sul piede che aveva sbattuto contro la radice: le doleva, e sentiva la caviglia pulsare a un ritmo preoccupante. Di nuovo sentì affiorare le lacrime, che tuttavia si cristallizzarono ai lati degli occhi non appena lo sguardo le si posò sulla scarpetta nuova: il fiocco di raso che la decorava si era scucito e ora penzolava dalla punta, appassito e sporco; il resto della scarpa era completamente ricoperto dal fango, e lo stesso valeva per l'altra. Con una smorfia di dolore più per il raso che per il piede, si sfilò la scarpetta. Una macchia rosso vivo imporporava la calza all'altezza del malleolo in un disco perfetto. Per la piccola fu troppo. Di colpo avvertì tutta insieme la stanchezza che fino a quel momento era rimasta soffocata dietro l'apprensione, e subito una paura diversa, più materiale, cominciò a insinuarsi nel suo cuore affaticato.
Si guardò intorno e suo malgrado scoprì di essersi spinta troppo oltre. Quella non era la prima volta che si addentrava nel bosco; fare passeggiate nella natura era un'abitudine che aveva preso da qualche tempo, ma mai da sola e di certo non a quell'ora così tarda. Gli scenari più drammatici le si snodarono davanti agli occhi come sequenze di una pellicola lasciata girare a vuoto senza che lei riuscisse a fermarli. E se avesse trascorso il resto dei suoi giorni lì, senza cibo né acqua? Il suo corpo era troppo viziato per sopravvivere in quelle condizioni, senza contare il fatto che era ferita e che il vestito della zia non era tanto pesante quanto era bello. Sarebbe morta di freddo, o di fame, o dissanguata. O uccisa e divorata da qualche animale selvatico. C'erano lupi lì? E gli orsi?

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Black is Resistance
Fanfiction~ Vincitrice della settima edizione del #GrandeWattors ~ Tutti nel Mondo Magico conoscono i Black. Forza; onore; lealtà: queste sono le caratteristiche che hanno scritto la storia centenaria della famiglia, il cui destino sembra quello di continuare...