7. 34 Maden Lane, Covent Garden

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Questo capitolo è dedicato a mia nonna, la regina delle storie d'amore.


I raggi del sole bagnarono il volto addormentato di Narcissa, solleticandolo dolcemente. Teneva la testa reclinata di lato e il corpo rannicchiato nella seduta avvolgente della poltrona, grande abbastanza da permetterle di riposare comodamente. Il braccio sinistro era scivolato sul bracciolo, e la mano penzolava verso il letto, là dove fino a pochi istanti prima aveva dormito Lucius, come a cercarlo. Quella visione lo intenerì. Inaspettatamente, si era alzato di buon'ora, il corpo carico di un vigore nuovo nonostante le ferite sparse sulla schiena e sul braccio. Il suo ultimo ricordo di una notte trascorsa così serenamente risaliva all'infanzia, quando sua madre era ancora in vita e ogni sera saliva in camera sua per augurargli la buonanotte con un bacio. Con la morte della signora Malfoy erano iniziati anche i problemi di insonnia del suo unico figlio. Non che le sue notti fossero vuote. Subito dopo la scuola Lucius aveva imparato molto in fretta che il calore di una donna può cancellare il dolore, almeno per una notte, e così aveva preso l'abitudine di non restare mai solo in quel letto. Almeno fino a quando aveva appreso la notizia della morte di Cygnus Black. Da quel giorno, le ferite in fondo al cuore che credeva di aver ricucito con tanto zelo si erano riaperte, facendo sgorgare brutti ricordi, e Lucius si era rinchiuso in una solitudine detentiva. Eppure, quella notte, l'incanto si era ripristinato, e lui non poteva fare a meno di pensare che il merito fosse da attribuire tutto alla presenza di Narcissa. Era bastato che fosse accanto a lui, accucciata nella sua poltrona, per farlo sentire al sicuro. Quella consapevolezza lo spaventava e al tempo stesso lo incuriosiva. C'erano stati giorni in cui loro due erano stati amici; avevano giocato, riso, rincorso la coda al tempo. Lucius non li aveva dimenticati, ed era certo che anche per Narcissa fosse lo stesso. Forse quei giorni sarebbero potuti tornare.

Fu con quella speranza incastonata negli occhi che Lucius le si avvicinò. Nel vederla ancora completamente abbandonata tra le braccia del sonno, una punta di tenerezza gli solleticò il cuore, seguita da un calore familiare. Narcissa era sempre stata bella, perfino quando la sua gioventù non era che un acerbo germoglio; non era difficile immaginare allora il fiore di rara bellezza in cui si sarebbe trasformata da adulta. Eppure, nemmeno la più fervida immaginazione avrebbe potuto disegnare lo spettacolo che in quel momento aveva luogo in camera sua. Davanti a Lucius non c'era solo uno splendido bocciolo dischiuso alla vita; il sonno le aveva regalato una perfezione quasi sovrumana. Lucius fece scorrere gli occhi sulla testa piegata di lato, poi sui biondi boccoli sparsi sullo schienale, sulle lunghe ciglia nere aperte come ventagli a riposo, e sulle labbra rosee e piene lievemente dischiuse, sull'espressione distesa, quasi fanciullesca. Ancora, lo sguardo di Lucius scivolò verso il collo, scendendo lungo il bel vestito macchiato di sangue, e si soffermò inevitabilmente sui punti in cui la natura era stata più generosa. A quel punto Lucius si riscosse prima di diventare indiscreto e si schiarì la voce. Un attimo dopo le palpebre di Narcissa tremarono, e piano piano il suo corpo si preparò al risveglio.

«Buongiorno, Narcissa» mormorò. Narcissa aprì uno sguardo appannato su di lui, e Lucius dovette concentrarsi con tutte le sue forze sui gemelli che stava finendo di chiudere per ritrovare il filo dei propri pensieri.

«Buongiorno». Dopo una rapida occhiata di ricognizione alla camera, Narcissa gli rivolse un tiepido sorriso. «Come ti senti?»

«Meglio. E tu, sei riuscita a dormire un po' su quella poltrona o devo sentirmi in colpa?»

Il sorriso di Narcissa si ingrandì teneramente.

«Non devi. La tua è senz'altro la poltrona più comoda che esista».

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