capitolo 25

22 0 0
                                    

Jisoo aveva otto anni quando la sua mamma l'abbandonò.
Accadde una domenica pomeriggio. Faceva freddo, tanto che prima di entrare in macchina la madre della bambina dovette togliere via dai vetri uno strato di ghiaccio. Poi la donna allacciò la cintura alla figlia e si mise al volante, diretta verso la villa dei suoi cognati.
Era stata organizzata una festa per il compleanno di Jennie, che sarebbe stato il giorno dopo. Si festeggiava prima perché l'indomani i suoi genitori avrebbero avuto una riunione importante, e Jisoo avrebbe passato lì la notte per farle compagnia durante l'assenza dei due, sotto esplicita ed implorante richiesta della sua cuginetta.
La mamma di Jisoo lasciò l'auto ancora in moto davanti alla scalinata della villa, la aiutò ad uscire dalla macchina e le mise in spalla lo zainetto contenente tutto ciò che le sarebbe servito per la notte e il giorno seguente. Accompagnò la figlia scalino per scalino, stringendole forte la mano, fino a farle male, guadagnandosi uno sguardo interrogativo dalla piccola. Arrivarono al portone già aperto, dove la signora Choi, una dolcissima governante che Jisoo adorava, le accolse con un espressione un po' troppo malinconica data l'occasione.
La madre si inginocchiò davanti alla sua bambina e le accarezzò il viso sorridendole tristemente.
-Nello zainetto ci sono il pigiama, la biancheria e i vestiti per domani- le disse poi. -Li ho presi dal tuo armadio.-
-Lo so.-
-Poi c'è lo spazzolino, il dentifricio alla fragola che ti piace tanto, e il bagnoschiuma che usi spesso. Quelli sono del bagno.-
-Sì, mamma. Lo so- ripeté la bimba confusa.
-Brava tesoro.-
La donna fece scorrere le dita tra i capelli scuri della figlia continuando a parlare.
-Nel caso dovesse girarti la testa ci sono anche le vitamine, le caramelle a forma di orsetto, sai dirmi da dove le ho prese?-
-Dal mobile in alto.-
-Esatto, quello a cui non arrivi, che ti deve aprire papà.-
-Ma me lo apri sempre tu, mamma- contraddisse Jisoo facendo tremare il sorriso della madre che le prese il viso tra le mani e sospirò.
-Allora, mi prometti che farai la brava?- chiese ancora con gli occhi lucidi e arrossati.
-Si, mamma. Lo sai che sono brava.-
-Certo che sei brava. Sei bravissima, tesoro mio. Vieni qui...-
La donna strinse forte a sé la sua bambina. Impresse nella sua memoria il profumo dei suoi capelli, il calore del suo corpicino, la morbidezza e il candore della sua pelle...
Se Jisoo avesse capito prima che quello sarebbe stato l'ultimo abbraccio che avrebbe avuto dalla sua mamma, avrebbe stretto di più la presa.
-La mamma ti vuole tanto bene- disse con la voce spezzata. -Te ne ha sempre voluto. Non dimenticarlo.-
Detto ciò sciolse il loro abbraccio e con il viso rigato di lacrime baciò la fronte della bimba, per poi correre via a testa bassa.
-Mamma!- chiamò Jisoo, mentre il panico si faceva largo in lei. Ma la donna non si voltò. Ora Jisoo aveva paura.
La signora Choi la prese in braccio prima che potesse correre verso la madre, e iniziò a camminare in senso opposto, all'interno della villa.
Jisoo pianse più di una volta quella sera. Si allontanava dagli altri alla ricerca di un posticino inosservato dove poter lasciare andare le sue lacrime. Fece di tutto per non rovinare la festa di Jennie, nonostante avesse il cuoricino a pezzi.
Anni dopo venne a scoprire che sua madre non se n'era andata di sua spontanea volontà.
I segni delle violenze del marito stavano diventando troppo evidenti, e presto la gente avrebbe iniziato a parlare. Per evitare ulteriori danni all'immagine della famiglia, gli zii l'avevano costretta ad andarsene, minacciandola di allontanarla con la forza dalla figlioletta, e la donna non aveva avuto altra scelta se non accontentarli.
Eppure prima di scoprire la verità, Jisoo si portò tanta tristezza nel cuore, e rabbia e odio verso sé stessa e suo padre. Ma mai provò odio nei confronti di sua madre.
Dopotutto i suoi genitori si erano sposati a causa sua. Era stata lei ad imporre alla sua mamma quella vita tanto infelice, e non poteva biasimarla se aveva preferito abbandonarla piuttosto che sopportare ulteriormente le percosse del marito.
Era arrivata a ritenersi la rovina della vita della madre, e ogni notte non faceva altro che ripetersi che la donna era felice e per questo doveva esserlo anche lei. Seppure non ci provasse davvero.

Ad undici anni, Jisoo fu mandata in collegio.
In quei tre anni senza madre si era costretta a maturare precocemente e aveva imparato come porsi nei confronti degli adulti. Aveva capito che ognuno ha delle parole che ama sentirsi dire, delle espressioni che ama vedere e delle attenzioni che ama ricevere. Una volta capito quali, quella persona ce l'avevi in pugno.
E così la ragazzina aveva imparato dagli adulti il gioco del travestirsi, e nonostante la sua età poteva vantare di un gran bell'assortimento di maschere per qualunque conversazione.
Agli occhi degli uomini e le donne che entravano in contatto con lei, Jisoo era l'ideale di ragazzina perfetta, così carina, così elegante ed educata. Sapeva quando immettersi in un discorso e quando tacere, e alla gente tutto questo piaceva.
Eppure dietro le sue belle maschere Jisoo si sentiva vuota. Dovendo reprimere le sue emozioni, i suoi istinti e il suo carattere aveva iniziato ad avere dubbi sulla propria personalità e identità.
Non sapeva più chi era.
Con suo padre, ormai, aveva perso le speranze.
Per lui esisteva solo il lavoro, il suo unico obiettivo era raggiungere una posizione di risalto, e le loro conversazioni si riducevano a saluti e richieste.
L'uomo continuava ad ubriacarsi occasionalmente, e ogni volta che poteva, in occasioni del genere, la figlia andava a dormire da qualche amica. Quando non ci riusciva le toccava sorbirsi gli sfoghi del padre che le urlava contro di essere una maledizione, solo per pentirsene e non farsi trovare in casa la mattina dopo. Spesso le lasciava anche dei soldi con cui potersi comprare quello che voleva, ma lei, di nascosto, li rimetteva sempre nel suo portafogli quando tornava.
Non sentiva il bisogno di approfittare della situazione. Per quanto cercasse di convincersi di odiare suo padre, non poteva fare a meno di provare pena per lui. O meglio non voleva ammettere che nonostante tutto suo padre lo amava ancora. E forse anche per lui era lo stesso.
Nonostante ciò nulla impedì al signor Kim di mandarla in un collegio per il semplice fatto che somigliava troppo a sua madre, e a lungo andare la vista del suo viso aveva iniziato ad infastidirlo.
E non c'era amica, o compagna di classe che potesse alleviare almeno in parte il dolore che provava in quel momento. Perché nessuno dei suoi coetanei poteva comprendere la sua sofferenza, o almeno il modo in cui la esprimeva. Jisoo era come un'adulta nel corpo di una ragazzina, e di conseguenza i suoi discorsi parevano incomprensibili ai ragazzi della sua età.
E a furia di ripetere una storia che non veniva mai ascoltata, Jisoo smise semplicemente di raccontarla.

never notDove le storie prendono vita. Scoprilo ora