Gennaio era il mese che i new yorkesi preferivano, non c'era dubbio.
Le vacanze invernali erano finite da qualche giorno e, come la scuola, la vita aveva ripreso a scorrere frenetica tra le vie della città che non dorme mai.
Stephen osservava le persone correre da una parte all'altra dei marciapiedi, degli incroci, delle strade, come se le vacanze avessero rigenerato le loro batterie e loro fossero pronte a ricominciare a vivere con molta più carica di prima.
Si chiese quando la carica si sarebbe esaurita.
Probabilmente rimandare quel momento era uo dei propositi dell'anno nuovo, pensò, ogni anno ritardarlo sempre di più.
Stephen non era il tipo che faceva quelle cose.
Aveva sempre pensato che non avesse senso: perchè gennaio è il mese in cui iniziare con dei buoni propositi?
C'era davvero qualcuno che li rispettava per tutto l'anno?
Stephen si allontanò dalla finestra e prese il cappotto.
Per lui non avrebbe avuto senso fare quella lista, visto che nella sua vita aveva davvero poca voce in capitolo.
Era come se i suoi genitori fossero dei burattinai e lui il burattino mosso dai loro fili.
Un giorno, però, molto presto, le cose sarebbero cambiate.
Indossò il cappotto e alzò il colletto, preparandosi al gelido vento che l'avrebbe colpito una volta uscito all'aria aperta.
"Dove vai?" domandò una voce.
Stephen si voltò e vide suo padre uscire dall'ombra.
"Fuori" rispose lui.
Fece per proseguire verso l'ascensore, quando una mano sulla spalla lo bloccò.
"Non ti ho detto che puoi andare" bisbigliò Robert.
Stephen sentì dei brividi corrergli lungo la spina dorsale.
"Non pensavo di dover richiedere il tuo permesso"
"Dovrai finchè non sarai maggiorenne. E a dirla tutta anche allora"
Lui si scrollò la mano del padre dalla spalla e si voltò per fronteggiarlo.
"Perchè mi tratti così?" domandò, con rabbia "Che cosa ti ho mai fatto?"
"Non essere melodrammatico, Stephen. Ti tratto come qualsiasi padre tratta il proprio figlio"
Stephen strinse i pugni, nascosti nelle tasche del cappotto.
Sapeva che avrebbe fatto meglio a rimanere in silenzio, ma era più forte di lui.
"Ah davvero? Pensavo fossi come un padre che non ama il proprio figlio" ribattè "che stupido da parte mia pensarlo, non è vero? Non so proprio come mi sia venuto in mente"
Robert assottigliò gli occhi verdi.
"Non tirare troppo la corda" lo avvisò.
Molte volte erano arrivati a quel punto: come il momento prima di un tuono, nell'attesa che esso esploda dopo che si è visto il fulmine, un momento in cui tutti trattengono il fiato in attesa che succeda qualcosa, qualsiasi cosa.
Stephen si chiese cosa sarebbe successo se avesse fatto scoppiare la tempesta.
Stava per aprire bocca, quando l'immagine di un paio di occhi azzurro cielo gli comparve in mente.
Sentì la voce di Daisy nelle orecchie, decisa e ferma: Non fare lo stupido, Quarterback, non giocare con il fuoco.
Stephen contò fino a dieci nella sua mente, mentre suo padre lo fissava.
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di un litigio, era troppo orgoglioso per farlo.
Perciò si limitò a ricambiare il suo sguardo, con la sua stessa freddezza.
"Non so quando tornerò a casa" annunciò "non aspettatemi per cena"
E quindi si voltò, entrando nell'ascensore.
Vide Robert continuare a guardarlo mentre le porte automatiche si chiudevano lentamente.
Stephen appoggiò la testa dietro di sè, sul muro, e chiuse gli occhi.
Quello era l'ultimo anno che avrebbe passato con lui, pensò, l'autunno seguente sarebbe cambiato tutto.
Senza nemmeno rendersene conto, mentre usciva dal palazzo dopo aver salutato Tony il portiere, si ritrovò con il cellulare appoggiato all'orecchio e il suono degli squilli regolari che si diffondeva.
"Pronto?" la voce di Daisy lo raggiunse attraverso l'apparecchio.
Stephen sbattè le palpebre.
Non si era quasi accorto di aver fatto il suo numero, come se fosse stato qualcosa di così abituale che il suo cervello l'aveva fatto automaticamente, come quando si guida e si cambiano le marce senza pensarci.
"Stephen? Va tutto bene?" continuò lei.
Lui si riscosse.
"Sì" rispose.
"Perchè mi chiami? È successo qualcosa?"
Come sempre, Daisy era incredibilmente diretta.
Era come se non riuscisse a concepire perchè le persone facessero tanti giri di parole, quando la verità era pura e semplice, cristallina come l'acqua.
Volevo sentire la tua voce, fu sul punto di dire Stephen.
Ma si morse la lingua in tempo.
Dal giorno di Natale non c'era giorno che passasse senza che lui non pensasse a lei.
Era come un chiodo fisso nella sua mente, come una stella polare a cui rivolgersi in cerca di aiuto, perchè sapevi che avrebbe sempre puntato verso nord.
"No, va tutto bene" ripose alla fine "sto venendo lì. È tutto pronto?"
La immaginò che annuiva, con i capelli biondi che oscillavano delicatamente sulla schiena.
"L'isola che non c'è ci aspetta" rispose Daisy.
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Wonderland
Fantasy"Ci proteggiamo a vicenda, ricordi?" Daisy Dickens potrebbe sembrare una ragazza come le altre: certo, è particolarmente solitaria, il più delle volte quando apre bocca è per dare una risposta tagliente e ha costruito intorno a sè un'armatura inscal...