Epilogo. Ricorda

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Quattro anni dopo.

Se c'era una cosa che Daisy non sopportava del dover tornare a New York dal Connecticut era il traffico: che fossero le vacanze invernali, primaverili o estive, l'autostrada era sempre piena zeppa di almeno un altro centinaio di auto.
Alla fine si torna sempre a casa, pensò lei, le dita che tamburellavano sul volante, per quanto si cerchi di scappare o di correre lontano.
Erano anni che ormai Daisy non scappava più.
Le cadde lo sguardo sull'orario che lampeggiava e pensò che se il traffico non fosse diminuto, avrebbe dovuto cambiarsi davvero di fretta se non voleva arrivare in ritardo alla Clarence High School.
Già, la Clarence.
Quando quella mattina Chris l'aveva chiamata, la sua prima risposta era stata un sonoro no.
"Oh andiamo Daisy, perchè devi sempre essere così difficile su queste cose?" le aveva detto, sbuffando attraverso la cornetta del telefono "Non vuoi rivedermi?"
"Certo che voglio rivederti!" aveva ribattuto lei, sedendosi sul bordo del letto nella sua camera del dormitorio di Yale "Ma non ho bisogno di una stupida rimpatriata per farlo! Rivedere Liam Bell, Kelly Shein e le cheerleader? Grazie, ma passo"
L'altro era rimasto in silenzio per qualche istante.
"Stephen mi ha detto che ci sarà" aveva detto alla fine.
Daisy aveva rischiato di far cadere il cellulare.
All'improvviso, era stato come se un'onda gigantesca di ricordi si fosse abbattuta su di lei.
Il bello era che non si trattava di momenti incredibili o altisonanti, come quando avevano volato con Peter Pan e i bimbi sperduti, quando avevano danzato al ballo del signor Bingley o quando si erano tuffati da una scogliera nel Paese delle Meraviglie per scappare dal Cappellaio Matto.
Si trattava di ricordi all'apparenza insignificanti, di piccoli attimi catturati dalle pieghe del tempo che ora stavano tornando a lei, più forti che mai.
Si era ricordata di quella volta in cui Stephen si era offerto di mettere in mostra le sue capacità da chef e si era messo ad armeggiare con le pentole nella cucina di Daisy, quando all'improvviso dalla radio accesa era partita una canzone e loro – Stephen aveva praticamente obbligato Daisy – si erano messi a ballare intorno alla cucina, immaginando dei riflettori puntati su di sè.
Si era ricordata di quando stavano andando a Yale, che negli ultimi quattro anni era stata la casa di Daisy, durante le vacanze primaverili dell'ultimo anno di liceo e Stephen aveva quasi rischiato di attraversare con il semaforo rosso perchè sembrava fosse stato incantato a guardarla.
Il ricordo più bello e intimo che possedeva, però, riguardava un momento a Central Park.
Erano sdraiati nell'erba verde che solleticava la loro pelle ed entrambi stavano leggendo un romanzo.
Quando Daisy aveva alzato lo sguardo, il sole stava accarezzando il viso di Sephen rendendolo dorato.
Lui doveva star leggendo qualcosa di divertente, perchè aveva un leggero sorriso sulle labbra, e all'improvviso lei aveva realizzato che la sua mano libera, quella che non stava reggendo il libro, era così vicina a quella di Stephen che le loro dita quasi di sfioravano.
Lui, continuando a leggere, aveva intrecciato le loro dita e Daisy aveva capito di essersi innamorata per la prima volta.
"Davvero?" le era uscita la voce più bassa di un bisbiglio.
"Davvero" aveva confermato Chris, poi aveva addolcito il tono "Da quanto tempo non lo senti?"
Daisy si era morsa il labbro, iniziando a lisciare pieghe invisibili sul copriletto.
"Gli ho fatto gli auguri di Natale" aveva risposto.
"Daisy" aveva detto Chris "siamo a giugno"
"Sono stata occupata!"
Non era la verità e lo sapeva benissimo.
La verità era che Daisy aveva chiesto tempo a Stephen e lui gliel'aveva concesso: erano rimasti lontani quattro anni, facendosi gli auguri di Natale e di compleanno per messaggio.
Chi può sapere cosa tiene lontane due persone un tempo così legate?
La vita, gli impegni, gli imprevisti?
All'età di ventidue anni era una persona diversa rispetto alla ragazza di diciotto anni che era stata, spezzata e frammentata.
Era cresciuta e si era riscoperta.
Grazie all'aiuto di suo padre e sua madre aveva imparato a controllare quella magia che aveva scoperto di possedere nella battaglia del Vuoto con Cyrus Blake e, con il tempo, aveva rimesso a posto ogni singolo pezzo di se stessa.
Eppure non aveva più cercato Stephen.
Come avrebbe potuto farlo?
Probabilmente lui si era anche scordato di lei.
La verità era che era spaventata – no, terrorizzata.
Stephen le aveva detto di essere un ragazzo paziente e che l'avrebbe aspettata, ma Daisy che diritto aveva di piombare nella sua vita, di nuovo, dopo così tanto tempo e pretendere che tutto ripartisse come l'avevano lasciato quel giorno sul ponte di Brooklyn?
"Sei ancora lì?" aveva domandato Chris.
Daisy si era riscossa.
Era sempre stata frenata dal contattare di nuovo Stephen, ma non era forse il destino che ora stava facendo rincontrare le loro strade?
Forse siamo destinati a intraprendere strade diverse solo per poi poterci incontrare di nuovo, le aveva detto lui tanto tempo prima.
Daisy aveva fatto un respiro profondo.
"D'accordo" aveva detto e si era stupita di sentire la determinazione nella sua voce "ci sarò"
Ora qualcuno le suonò il clacson e Daisy si riscosse.
Si rese conto che effettivamente il traffico aveva iniziato a circolare meglio e lei, persa nei ricordi, era rimasta ferma.
Mise la marcia e partì, con il paesaggio che iniziava a mostrarsi, segno che era quasi arrivata a casa.
In lontananza, se socchiudeva gli occhi e si sforzava, riusciva quasi a intravedere le punte dei grattacieli di Manhattan.
Si rese conto di star sorridendo.
Amava la sua vita a Yale, amava i corsi di letteratura inglese e antica che stava frequentando, così come il corso di scrittura a cui partecipava regolarmente.
Che diavolo, di lì ad un mese si sarebbe perfino laureata.
Ma non c'era giorno in cui non le mancasse New York.
La mano destra volò istintivamente alla base della gola, dove incontrò solo pelle.
Era un'abitudine che negli anni si era fatta sempre più rara ma che non era scomparsa del tutto: ancora il suo istinto cercava l'anello di piuma che le era stato accanto per tanto tempo.
Quando entrò nello stato di New York, scoprì di star sorridendo.
Era agitata per quella sera ma allo stesso tempo non vedeva l'ora giungesse.
Era come se finalmente si sarebbe ritrovata sul ciglio di un burrone e avrebbe scoperto se ci fosse una rete ad attenderla dopo la caduta.
Sorpassò il familiare verde degli alberi di Prospect Park e parcheggiò davanti alla biblioteca.
Il cartello "chiuso per ferie" torreggiava all'entrata e Daisy provò un pizzico di invidia nell'immaginare i suoi gentiroi seduti a sorseggiare latte da una noce di cocco alle Hawaii dov'erano in vacanza.
Le ci volle un po' per trovare il coraggio di uscire dalla macchina e realizzare di essere davvero sul punto di rivedere Stephen.
Il suo primo amore, pensò, maledizione, il suo unico amore.
Aveva conosciuto un sacco di persone in quei quattro anni, ma l'unica persona a cui pensava costantemente quando la notte andava a dormire era sempre e solo Stephen.
Il suo Quarterback.
Pensò che forse non avrebbe più dovuto pensare a lui come al "suo", almeno non prima di averlo rivisto e aver scoperto cosa provasse lui stesso.
Daisy allungò la mano e prese la foto che aveva posato sul sedile del passeggero.
La guardò e non era la prima volta che si ritrovava in quel frangente.
A volte, quando si sentiva sola, nel mezzo della sua stanza nei dormitori di Yale, si ritrovava a guardare la foto che la ritraeva con Stephen e improvvisamente la nostalgia l'assaliva, proprio come in quel momento.
Il giorno del diploma, una lei di diciotto anni, avvolta nella toga blu della Clarence High School sorrideva felice all'obiettivo, mentre Stephen l'abbracciava da dietro con la sua testa che spuntava oltre la spalla di Daisy.
Il suo tocco era stato abbandonato da qualche parte quando lo avevano lanciato in aria e ora i suoi capelli scompigliati erano mossi dal vento.
Sorrideva, stringendo Daisy a sè.
Lei ricordava l'allegria di quel momento, con Chris dietro la macchina fotografica che chiedeva a gran voce un bacio.
All'improvviso il cellulare vibrò.
Era un messaggio di Chris: "Daisy, io e Lucas stiamo per andare alla Clarence. Sei arrivata in città?".
Gli rispose che si sarebbe cambiata e li avrebbe raggiunti.
Quando salì in casa e si cambiò, le mani le tremavano così tanto che fece fatica ad abbottonarsi la parte posteriore del vestito.
Nell'uscire dalla sua vecchia camera, vide la sua immagine riflessa nello specchio sopra la toeletta.
Aveva perso completamente le linee dolci dell'infanzia e ora il suo viso era quello di una giovane donna, i tratti marcati, i capelli biondi che ora portava all'altezza delle spalle, l'abito nero con la fantasia di piccole rose rosse.
L'unica cosa rimasta uguale erano i suoi occhi azzurri.
Forse no, pensò, forse ora avevano una luce più felice.
Ora sapeva di essere felice e di meritarselo.
Uscì di casa e si incamminò verso la scuola, su quella strada che aveva percorso tutte le mattine per tutti gli anni delle superiori.
Molte volte anche Stephen l'aveva percorsa con lei.
Il sole era ormai tramontato, lasciando il posto al cielo che si stava tingendo di blu scuro.
Un brivido le corse su e giù per la schiena e Daisy avrebbe voluto dare la colpa alla frescura serale, ma non era così.
Quando alla fine arrivò, si guardò freneticamente intorno, alla disperata ricerca di Stephen.
"Non è ancora arrivato" disse una voce "puoi evitare di rischiare di romperti il collo per strane angolazioni"
Daisy si voltò e trovò Chris che le sorrideva.
Era mano nella mano con Lucas White e Daisy notò con felicità che alla sua mano destra vi erano un anello.
Chris le aveva detto avesse fatto la proposta a Lucas, ma lei non gli aveva creduto.
Chris sposato? Impossibile.
Invece era proprio così.
"Siete fidanzati!" esclamò allora, prima ancora di rendersene conto, il pensiero di Stephen momentaneamente passato in secondo piano.
"Sapevo non mi avessi creduto" borbottò Chirs, mentre Lucas sorrideva e si faceva abbracciare da Daisy.
"Sono felicissima, davvero" continuò lei, sorridendo "siete fatti l'uno per l'altro. E sappiate che mi offenderò se non mi inviterete al matrimonio"
"In verità pensavo di chiederti di essere la mia damigella d'onore" ammise Chris.
Le parole morirono sulle labbra di Daisy, che ammutolì.
Ci pensò l'amico a risolvere la situazione, perchè la prese tra le braccia e l'abbracciò.
"E spero non sarai sola quel giorno" le bisbigliò all'orecchio.
Quando la lasciò andare, i suoi occhi scuri ebbero un guizzo.
"Parli del diavolo..." disse, con un sorrisetto.
Prese la mano di Lucas, che aveva iniziato a sorridere all'improvviso, e lo trascinò a salutare Liam Bell.
Daisy, ancora scombussolata per l'annuncio dell'amico, rimase immobile e capì cosa stesse succedendo quando ormai era troppo tardi.
Quando si voltò, trattenne il fiato.
Come avrebbe potuto non farlo?
Stephen era davanti a lei e la guardava con i suoi meravigliosi occhi grigi.
Per un lungo istante, entrambi si limitarono a fissarsi, come incapaci di distogliere lo sguardo, come se una catena d'oro li avesse legati l'uno all'altra.
Si guardarono, mentre gli altri ex studenti intorno a loro continuavano ad abbracciarsi e a salutarsi, iniziando ad entrare effettivamente a scuola dove era stato imbandito un rinfresco come rimpatriata.
Non appena i suoi occhi incontrarono quelli di lui, Daisy capì di aver compreso cosa fosse l'amore.
Non avrebbe saputo spiegarlo a parole, perchè per tutte le cose migliori e speciali e che sono più care al nostro cuore le parole non sembrano fare altro che sfuggirci, come se volessero sottolineare che niente sarebbe così adatto da descrivere quella determinata cosa.
Eppure Daisy era assolutamente convinta di amarlo e i fuochi d'artificio che erano appena scoppiati nella sua pancia sembrarono confermarlo.
Pensò che Stephen non fosse mai stato più bello: i suoi lineamenti eleganti si erano fatti più marcati e ora un velo di barba gli ricopriva le guance.
Eppure i suoi occhi grigi brillavano nello stesso identico modo di anni prima e così i suoi capelli castani erano sempre scompigliati.
Alla fine Daisy ritrovò la voce.
"Ciao" gli disse.
Ciao, pensò, dandosi della stupida, tutto qui?
Le labbra di Stephen si incurarono in un piccolo sorriso.
"Ciao, Daisy" rispose.
Sembrava che entrambi non sapessero cosa fare in quella nuova e strana situazione: era la prima volta che si rivedevano da quattro anni, da quando si erano lasciati con il cuore spezzato e l'East River che scorreva sotto di loro.
"Come stai?" fece lui, visto che lei non sembrava intenzionata a parlare.
"Bene" rispose di getto Daisy, poi fece un respiro "Sto bene. Tu?"
"Benissimo, grazie"
Era una cosa ridicola, pensò lei, fra di loro poteva esserci stato di tutto, ma mai imbarazzo.
"Allora sei qui per la rimpatriata" commentò Stephen, lanciando un'occhiata alla porta d'ingresso.
Ormai erano rimasti solo loro due ancora fuori.
"Già" rispose Daisy "Chris mi ha incastrata. Sarei comunque tornata per le vacanze, per rivedere i miei"
"Tutto bene loro?"
Lei annuì.
Rimasero entrambi in silenzio e alla fine Daisy decise che ne aveva abbastanza.
"La verità è che non ci tengo particolarmente a partecipare a questa serata, dopotutto le vere persone con cui ho legato alle superiori le ho già incontrate" disse e lo guardò "e se andassimo a mangiare qualcosa da qualche parte?"
Si complimentò con se stessa per l'audacia e sperò di non essersi immaginata il luccichio negli occhi di Stephen.
Alla fine lui sorrise per davvero.
"Era proprio quello che volevo chiederti" rispose.
Allora sorrise anche lei.
Si incamminarono finchè non giunsero all'Armory, che per tante volte l'anno in cui si erano conosciuti era stato il loro punto d'incontro.
"Mi mancava questo posto" commentò Stephen mentre entravano.
Dimmi che ti mancavo anche io, pensò Daisy, ma si limitò a dire che valeva anche per lei.
Quando si sedettero e ordinarono, c'era ancora un lieve imbarazzo che aleggiava nell'aria.
"A settembre inizierò un tirocinio in uno studio legale" disse Stephen all'improvviso "qui a New York"
Una rivincita sui suoi genitori, pensò, andrà dove vorrà.
"Diventerai avvocato?" fece lei.
Lui annuì.
"Ti si addice" ammise Daisy "hai sempre avuto la propensione di lottare in ciò in cui credi e a far valere le tue idee. Sarai un grande avvocato"
La cameriera arrivò con i loro piatti e Daisy scoprì che Stephen la stava fissando.
"E tu?" fece "Come va a Yale?"
"Era come me l'ero sempre immaginato" rispose, sorridendo "finalmente studio quello che mi appassiona davvero e... e ho scritto davvero tanto negli ultimi anni"
"Davvero?"
Lei annuì.
"Mi farai leggere qualcosa?"
Daisy alzò lo sguardo e trovò gli occhi grigi di Stephen fermi nei suoi, realmente interessati.
"Ti interessa ancora?" fece e la voce le uscì roca "Hai ancora voglia di leggere le mie poesie?"
"Certo che sì" rispose lui "poi altrimenti con che pretesa vorrei essere citato nei ringraziamenti del tuo primo libro?"
Questa volta Daisy rise per davvero e fu felice di notare che la tensione si era realmente sciolta.
Parlarono a lungo, a volte ricordando alcuni momenti del passato quando si sentivano particolarmente audaci e il più del tempo parlando di quello che avevano fatto in quegli ultimi quattro anni.
Alla fine Stephen era andato a Cambridge e si era trovato davvero bene, ma la cosa di cui era stato più fiero era il suo non aver perso il proprio accento americano.
"Spero che almeno tu sia riuscito a imparare bene quello inglese" commentò Daisy, ridendo "l'ultima volta che ti ho sentito imitarlo eri terribile"
Stephen le puntò un dito contro.
"Se non mi ricordo male in quel momento eravamo ad un ballo in una magione del Derbyshire alla ricerca di un oggetto magico, quindi avevo tutte le scuse del mondo per avere un brutto accento"
Lei rise e quando ricordò di come avevano danzato al ballo in Orgoglio e pregiudizio arrossì.
Si affrettò a bere ancora, per evitare che lui lo notasse.
"Comunque ora il mio accento inglese è perfetto" concluse Stephen "te l'assicuro"
"Te l'hanno detto le belle inglesi che hai conquistato a Cambridge?"
Non sapeva perchè l'avesse detto, sapeva solo che le parole le erano uscite spontaneamente dalla bocca.
Daisy aspettò la reazione di Stephen e le ci volle tutta la propria forza di volontà per impedirsi di rimettere a posto l'armatura, sapendo che ciò che lui avrebbe detto l'avrebbe colpita come una freccia.
Certo che aveva conosciuto altre ragazze, si disse, probabilmente Daisy era stata solo un punto nel suo passato, non una retta che arrivava anche nel suo futuro.
"In verità, no" risose Stephen, dopo un istante "la cosa più vicina ad una ragazza che abbia mai avuto sei stata tu"
Daisy lo guardò, senza parole.
Cosa sarebbe successo se avesse osato sperare?
Non era di certo una dichiarazione quella che Stephen aveva appena detto, ma era comunque una piccola speranza.
"Vale lo stesso per me, Stephen" disse a bassa voce.
Fece un piccolo sospiro.
"Forse le cose sarebbero state diverse se ci fossimo incontrati in questo momento e non a diciotto anni" continuò lei "se ci fossimo incontrati quando entrambi fossimo stati pronti. Quando io fossi stata pronta"
"E ora lo sei?"
Per tutta risposta, stando attenta che nessuno facesse caso a loro due, mosse la mano e la candella al centro del tavolo si accese, la fiammella che creava un gioco di ombre e luci sui loro visi.
Daisy lo guardò e seppe che Stephen aveva capito.
Aveva capito tutto: che si era ricomposta pezzo per pezzo, che aveva imparato a controllare la magia che giaceva dentro di lei, che era pronta ad amare e a mettersi davvero in gioco.
Rimase in silenzio un istante e poi spostò la mano, finchè non fu accanto a quella di lei.
I loro dorsi si sfiorarono, delicatamente.
"Probabilmente ci saremmo incontrati in uno dei quei caffè dove la gente va per leggere un libro e sorseggiare una tazza di tè" esordì lui.
"Cioccolata calda" precisò Daisy.
Stephen sorrise, alzando gli occhi al cielo.
"D'accordo, una cioccolata calda con tanto di cannella" concesse "sarebbe stato inverno e tu saresti stata qui a New York per le vacanze di Natale. Io sarei entrato e ti avrei notata subito, perché tu avresti avuto quell'espressione buffa che assumi quando leggi qualcosa che ti sta piacendo particolarmente, come se fossi in contemplazione"
"Io non faccio nessuna espressione"
"Certo che la fai, Shakespeare"
Rimasero un istante in silenzio, a guardarsi, come in attesa.
Era la prima volta, da quattro anni, che uno dei due chiamava l'altro con quei soprannomi che si erano dati da ragazzi.
Era come se improvvisamente tutti gli anni passati separati fossero scomparsi e, seduti su quegli sgabelli alti intorno al piccolo tavolo circolare, non ci fossero altro che i due ragazzi che erano stati tanto tempo prima.
Stephen si schiarì la voce, un po' imbarazzato.
"Quindi io sarei entrato e ti avrei notata, ovviamente con il naso su un romanzo, e ti avrei detto che il libro che stavi leggendo era uno dei miei preferiti" continuò.
"E io avrei pensato fosse uno dei modi più vecchi e scontati del mondo per abbordare una ragazza" continuò Daisy.
"Segretamente però ti avrebbe fatto piacere perciò mi avresti sorriso, ma volendomi mettere alla prova mi avresti posto una domanda trabocchetto sul libro"
"Tu avresti sbagliato risposta e io ti avrei dato dell'idiota"
"Affatto! Io avrei risposto in modo brillante e ti avrei conquistata"
Daisy prese il tovagliolo, come se avesse l'improvviso bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma non spostò la mano destra, ancora vicina a quella di lui.
Anche solo quel minimo contatto aveva l'aria di una promessa e non voleva lasciarlo andare.
"E poi..." sembrava che Stephen stesse narrando una fiaba "tu ti saresti innamorata subito di me, mentre io avrei fatto il prezioso per un po'"
Lei rise, scuotendo la testa.
"Sarebbe stato il contrario, semmai" ribattè "tu ti saresti innamorato subito mentre io ci avrei messo un bel po', ma alla fine avrei ceduto"
Lui rimase in silenzio un istante.
"Forse è vero" disse, piano "probabilmente io mi sarei innamorato subito di te"
"E probabilmente sarebbe valso lo stesso per me, Quarterback"
Entrambi avevano abbassato lo sguardo, come se ora sostenere l'uno quello dell'altra fosse troppo doloroso.
"Ma non è andata così" bisbigliò alla fine Daisy, incapace di sopportare ancora quel silenzio "possiamo fantasticare quanto vogliamo, ma non è andata così"
"No, non è andata così" concordò Stephen "ma io non mi pento di averti conosciuta, Daisy"
"Credi che io lo faccia?"
"Mi piace pensare di no"
"Perché è così. Non mi pento di aver salvato il mondo con te al mio fianco, Stephen"
Lui accennò un sorriso.
"Nessun rimpianto, nessun funerale?"
Fu la volta di Daisy di sorridere.
"Lo hai letto?"
"Ho recuperato alcune mie carenze"
Stephen mosse la mano e finalmente la posò per davvero su quella di lei.
"Si sta facendo tardi" disse alla fine "ti accompagno a casa"
Daisy si ritrovò ad annuire come un automa, mentre si alzavano e, dopo aver pagato, uscivano dal locale.
Camminarono con le dita ancora intrecciate, le spalle che si sfioravano.
Rimasero in silenzio, ma quel silenzio era carico di parole e segreti e momenti che solo loro due conoscevano.
Daisy si sentiva a casa, completamente e felicemente al sicuro.
Non avrebbe voluto essere in nessun altro posto e con nessun altra persona.
Quando poi giunsero davanti al suo palazzo con i mattoni color ruggine, le venne l'incredibile desiderio di poter rimanere con Stephen ancora un po'.
Quella era la sua ultima possibilità, lo sapeva.
Stephen non l'avrebbe aspettata per sempre e lei non gliel'avrebbe mai potuto chiedere.
Sapeva che se non avesse fatto nulla, ciò che quella sera era riuscita a ricostruire sarebbe caduto come un castello di carte.
Eppure Daisy si sentiva lo stesso bloccata, come se qualcuno avesse fermato il tempo.
"È stato bello rivederti, Quarterback" disse alla fine.
Si diede della stupida: per tutto il tragitto di ritorno da Yale si era detta che quella volta non avrebbe trovato scuse, che avrebbe rischiato tutto.
Ci aveva messo del tempo, le ci erano voluti anni, ma alla fine ce l'aveva fatta.
Era riuscita ad aggiustare ogn singola parte di lei, a rimettersi a posto e ritornare ad essere tutta intera.
E aveva scoperto di sapere cosa significasse amare qualcuno quando aveva rivisto Stephen davanti alla Clarence e il resto della serata era solo servito ad aumentare questa convinzione.
Lo amava, non aveva più alcun dubbio.
Da quella serata sembrava che anche i sentimenti di Stephen non fossero cambiati nel corso del tempo.
Lo amava, eppure non riusciva a muovere un passo.
Le sembrava le mancasse l'aria.
Forse è vero che a volte siamo più innamorati dell'idea di qualcosa, che di quel qualcosa in sè.
No, si disse, non era quello il caso.
Non era mai stata così sicura di qualcosa in vita sua come era sicura ora dell'amore che provava per Stephen.
Dal canto suo, Stephen si stava limitando a guardarla, l'ombra di un sorriso sul volto e gli occhi che brillavano alla luce calda dei lampioni.
Era come se stesse aspettando una sua mossa, come se le stesse dicendo fosse arrivato il momento di essere lei quella che agiva per prima.
Da quando si erano conosciuti era sempre stato lui a fare la prima mossa, a dire la cosa giusta al momento giusto, a fare il gesto giusto, ma ora toccava a Daisy.
Ora che era guarita, che era tutta intera, che era pronta.
E allora mandò al diavolo tutto.
"La verità è che sono venuta alla rimpatriata solo perchè sapevo ci saresti stato tu" ammise.
Si alzò sulle punte e lo baciò, posandogli la mano sulla guancia.
Fu come se gli anni passati separati fossero scomparsi, svaniti nel Vuoto come Portalia.
Il loro bacio fu come il primo che si erano scambiati, ma migliore perchè erano entrambi liberi – da fantasmi presenti e passati, da ciò che è giusto per la famiglia – e consapevoli che avrebbero potuto essere qualsiasi cosa avessero voluto.
Quando si staccarono, Daisy aveva il respiro affannato.
Gli occhi di Stephen brillavano.
"Mi chiedevo quando l'avresti fatto" disse.
Lei schioccò la lingua.
"Avresti potuto baciarmi anche tu, sai?" ribattè.
"Così dici?"
Stephen si chinò e la baciò di nuovo, attirandola a sè con le mani posate delicatamente sui suoi fianchi.
Daisy gli allacciò le braccia intoro al collo, carezzandogli poi la sua base.
Non c'era bisogno si dicessero che si amavano.
In qualche modo, entrambi lo sapevano.
Eppure, lei aveva il bisogno di dirglielo.
"Hai aspettato" bisbigliò, ad un soffio dalle sue labbra.
"Ti avevo detto che sono davvero paziente" le rispose lui.
"Ti amo, Quarterback"
Dirlo era la cosa più bella del mondo.
Le sembrò che un enorme macigno le fosse stato tolto dal petto e ora fosse leggera come l'aria.
Stephen sorrise e si sporse in avanti, posandole l'ennesimo bacio sulle labbra.
"E io te, Shakespeare" mormorò "e io te"
Allora Daisy fece un passo indietro e tese la mano davanti a sè.
Non riusciva a smettere di sorridere.
"Allora, Quarterback" disse "che ne dici di venire da me?"
Stephen sorrise, afferandole la mano.
"Mi piacerebbe davvero tanto"
Forse un giorno avrebbero raccontato la loro storia.
Forse un giorno qualcuno avrebbe detto "C'era una volta una ragazza che aveva smesso di credere nell'amore ma che si era ricreduta" oppure "C'era una volta un ragazzo che aveva scoperto di poter scegliere da solo la propria strada e riscrivere il destino".
Forse nessuno si sarebbe ricordato di loro, di quei due ragazzi che si erano lasciati con il cuore spezzato su un ponte di New York, senza il coraggio di lasciar andare davvero e per sempre tanto che poi si erano ritrovati quando le loro strade si erano incrociate di nuovo.
A volte non c'è bisogno di entrare in un romanzo per ottenere il proprio lieto fine.
A volte basta solo non smettere di lottare e di crederci.
E poi cosa importa se nessuno si sarebbe ricordato di Daisy Dickens e Stephen Stewart?
Non era quello l'importante.
Loro due avrebbero ricordato.

-FINE-

Sono estremamente fiera di questa storia, di ciò che ho creato e dei personaggi che ho portato in vita.
Ho amato Daisy e Stephen con tutto il mio cuore, vivendo con loro per sei lunghi mesi e devo dire che ho gli occhi lucidi pensando che sto per cliccare sul tasto "pubblica" e dir loro per sempre addio.
Forse non sono pronta o forse lo sono ma ho paura lo stesso.
Penso che quando scriviamo mettiamo parti di noi nei nostri personaggi, che i nostri personaggi non siano altro che proiezioni di lati di noi che a volte teniamo nascoste o che a volte crediamo di non avere.
E così Daisy per me.
Le voglio bene e non smetterò mai di volergliene, così come non smetterò mai di aspettare il giorno in cui un ragazzo mi chiamerà Shakespeare.
Spero che questa storia vi sia piaciuta e che vi abbia fatto affezionare anche solo un po' ai suoi personaggi oppure emozionare e, maledizione, magari perfino shippare qualcuno, perché per me sarebbe davvero un grande traguardo.
Vi voglio bene, ricordatevelo sempre.
Anche noi alla fine ci proteggiamo a vicenda, no?
CupidaGranger.

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