XI. Primo volo

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Daisy odiava essere legata: stava iniziando a perdere la sensibilità alle mani e ai piedi a causa delle spesse corde che le bloccavano la circolazione.
Quando vedeva nelle serie tv i protagonisti venire legati per ore e ore, pensava sempre che alla fine ci fossero torture peggiori e poi, in qualche modo, ci si sarebbe potuti liberare dalle corde.
Ora si rimangiava tutto: non c'era niente di peggio che essere legati e non potersi muovere.
Ricordava che una volta sua madre le aveva chiesto perchè volesse sempre uscire, che fosse per andare a Prospect Park oppure al Metropolitan Museum of Arts – prima che Jesse morisse – anche in inverno, quando bastava rimanere fuori cinque minuti che già si aveva il naso rosso e freddo.
"Perchè io sono una scrittrice" le aveva risposto Daisy, sorridendo "e per scrivere devo fare esperienze e quindi esplorare il mondo"
"Ludovico Ariosto rimaneva chiuso nel suo studio anche per giorni interi e ha scritto lo stesso l'Orlando Furioso" aveva ribattutto Rebecca.
"Ha anche scritto di senni che finiscono sulla Luna e che vengono recuperati da cavalieri in sella a cavalli volanti"
"Ippogrifi"
"L'unico ippogrifo che approvo è Fierobecco"
Però, pensò ora Daisy in una delle stanze sottocoperta sulla Jolly Roger, l'esperienza che stava vivendo in quel preciso momento se la sarebbe potuta anche evitare tranquillamente.
"Mi dispiace per le corde, immagino non siano confortevoli ma non avevamo altra scelta" disse una voce, all'improvviso.
Daisy alzò lo sguardo e vide che sulla soglia della porta in legno ora spalancata, c'era un uomo.
Se per un breve istante aveva sperato di ritrovarsi davanti il capitan Uncino di Once Upon A Time, si ricredette subito.
Killian Jones sarebbe stato molto meglio, pensò mentre osservava questo capitan Uncino.
Aveva un ghigno orribile stampato in viso, con i capelli nerissimi che gli arrivavano sotto le spalle e sui quali era posto un cappello rosso a tesa larga con una piuma alta parecchi centimetri che spiccava nella sua verticalità; un paio di baffi impomatati e arricciati accompagnavano il tutto.
E ovviamente, poi, al posto della mano destra vi era un uncino appuntito.
"Dispiace anche ai miei polsi e alle mie caviglie" sibilò Diasy "posso sapere perchè mi avete rapito?"
"L'Art de la Guerre" disse solo, in un tremolante accento francese.
Entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Si diresse verso l'oblò dal quale si vedeva uno scorcio della prua della nave e poi uno sprazzo di cielo azzurro.
Sull'isola che non c'è probabilmente il tempo era sempre in perfetto stato.
"Vi ho rapita, signorina Darling, perchè mi servite da ostaggio" spiegò "siete un effetto collaterale della mia faida con il vostro amico Peter Pan"
Daisy trattenne il fiato, attenta a non cambiare espressione.
Uncino era convinto che lei fosse Wendy.
Si spiegava anche perchè prima il pirata di cui non conosceva il nome avesse parlato di amici al plurale: probabilmente si riferiva a Peter e i Bimbi Sperduti.
Daisy non poteva far crollare la recita: finchè Uncino avesse creduto che lei fosse chi pensava lui, sarebbe stata salva.
"Perciò mi avete preso perchè pensate che in questo modo avrete potere su Peter?" domandò "Perchè me? Avreste potuto prendere uno dei Bimbi Sperduti"
Cercò di usare un tono basso ma deciso, come si era sempre immaginata quello di Wendy.
Lui mosse una mano come per scacciare una mosca, poi si arrotolò i baffi sul dito.
"Siete la scelta più ovvia, visto l'affetto che prova per voi" rispose "e poi visto che siete anche l'anello debole di tutta la sua banda"
"L'anello debole?"
Daisy avrebbe tanto voluto alzarsi e fargli vedere quanto fosse debole, ma non poteva: le corde la bloccavano dov'era.
Si limitò a serrare la mascella e a guardarlo con uno sguardo di fuoco.
"Non è colpa vostra, vedete" disse Uncino, mellifluo, come se stesse parlando del tempo "è del vostro sesso. Dopotutto, siete quello debole"
Si avvicinò alla scrivania e si versò quello che doveva essere brandy – o almeno l'odore che invase la stanza era proprio quello –, iniziando a sorseggiarlo.
Poi si voltò di nuovo verso Daisy e la guardò dall'alto.
"Voi donne siete naturalmente predisposte a essere deboli" continuò "i vostri corpi delicati non sono fatti per sopportare anche la più lieve tortura, per questo tendete a volere sempre la pace. Voi lottate per cose come l'amore e la famiglia, mentre gli uomini per cose come la gloria e l'onore"
"Forse se voi uomini smetteste di pensare a cose effimere come la gloria e l'onore ci sarebbe meno morte nel mondo" ribattè lei.
Sapeva che avrebbe fatto meglio a rimanere in silenzio, perchè una ragazza del diciannovesimo secolo non avrebbe mai parlato così al suo carceriere.
Ma Daisy non era mai stata brava a stare zitta.
"Avete dei problemi con Peter ed ecco come pensate di risolverli" alzò le mani legate come esempio "rapendo, torturando, minacciando. Se ogni generazione che passa gli uomini sono sempre più simili a voi, allora siamo proprio perduti"
Uncino si limitò a guardarla e Daisy scorse un leggero sorriso sulle labbra, uno di quelli accondiscendenti.
Come un uomo che ritrova il proprio cane a rossicchiare la porta di casa, quando gli ha detto tantissime volte di non farlo ma che allo stesso tempo sa che l'animale lo farà sempre, perchè è la sua natura.
Come un padre che ritrova il proprio figlio ad insisitere su qualcosa, testardamente, quando ha torto.
"La generazione di donne che conosco io non aveva una lingua così tagliente" le disse.
"Forse non vi siete preso la briga di conoscerle meglio" ribattè Daisy.
Ora gli occhi scuri di Uncino avevano preso una sfumatura che non le piaceva affatto.
Sembravano famelici.
Per un istante, Daisy si chiese se le avrebbe fatto del male.
E scoprì che, nonostante le sue parole ferme e il viso che era una perfetta maschera, aveva paura.
Era legata, per terra, in una nave piena di pirati e per di più non aveva nulla con cui difendersi.
Come avrebbe fatto a salvarsi?
"Capisco perchè stiate reagendo così, signorina Darling" disse lui, dopo qualche istante di silenzio "siete in una situazione insolita. Ma potete farla finire molto in fretta se collaborerete"
Quando l'inferno gelerà, pensò lei, ma non disse nulla.
Non avrebbe potuto uscire da quella situazione con la forza, visto la differenza numerica, perciò doveva usare l'astuzia.
Si costrinse ad abbassare gli occhi, in segno di sottomissione e rassegnazione.
"Cosa volete da me?" mormorò.
"Ditemi il modo con cui sconfiggere Peter Pan" dichiarò e ora gli occhi di Uncino brillavano "ditemi cosa teme, cosa può ferirlo di più. Ditemi come fare in modo che se ne vada da qui per sempre"
Un'idea balenò improvvisa nellla mente di Daisy, come un faro che rischiara all'improvviso l'oscurità di una notte infinita.
"Una cosa c'è" disse.
Il suo cervello stava ragionando in fretta e riusciva quasi a sentire le rotelle macchinare.
"Mi promettete che mi lascerete andare se ve la dirò?" domandò.
Uncino le sorrise.
"I pirati mantengono sempre la paorla data" rispose.
Daisy alzò il mento.
"Chiudete la porta, per favore" disse "a chiave, intendo. Dirò questo segreto a voi e voi soltanto"
Lui obbedì, girando il chiavistello che fece un rumore secco.
Il cuore di Daisy cominciò a battere all'impazzata.
Era bloccata in quella stanza, ma allo stesso tempo il resto della ciurma era bloccato fuori.
Il suo unico problema, in quel momento, era capitan Uncino.
"Avvicinatevi" continuò lei, in tono dolce "si tratta pur sempre di un segreto"
Uncino le si avvicinò e si chinò verso di lei, in attesa.
Daisy pensò fosse una mossa da stupido, ma dopotutto nessun uomo avrebbe mai reputato una donna così astuta da giocargli un tiro mancino.
Quando si sporse in avanti, nel gesto di bisbigliargli qualcosa all'orecchio, fu svelta a prendergli il bicchiere di vetro dalle mani e a spaccarglielo sul capo.
Uncino urlò di dolore e Daisy lo spinse via da sè, facendolo andare a sbattere contro la scrivania.
Lui cadde a terra con un gemito e lì vi rimase.
Daisy aveva il fiato grosso e l'adrenalina che sembrava gridare nelle sue vene.
Doveva uscire da quella nave anche se non sapeva ancora come.
Guardò il corpo senza sensi del pirata, con trepidazione, e strinse l'anello, ma quello era freddo al tatto.
L'oggetto che cercavano non era lì.
Strisciò verso Uncino e gli prese il pugnale che gli sporgeva dalla cintola, riuscendo finalmente a liberarsi dalle corde.
Si alzò in piedi e si guardò intorno, indecisa sul da farsi.
Uscire dalla porta principale e ritrovarsi sul pontile della Jolly Roger con tutta la ciurma era fuori discussione.
Un secondo oblò dava direttamente sul mare e un'idea completamente fuori di testa le venne in mente: se fosse riuscita ad aprirlo e a tuffarsi in mare, poi sarebbe tornata nuotando a riva.
Dopo aver legato Uncino con le sue stesse corde – anche se temeva di aver fatto nodi molto semplici da rompere – si avvicinò all'oblò e iniziò a tempestare il vetro di colpi con la lama del pugnale, pregando che l'altro non si svegliasse.
Alla fine il vetro cedette e Daisy fece un respiro profondo.
Quanti metri sarebbero stati? Quindici?
Ce la poteva fare.
Infilò fuori la testa dall'oblò e trattenne il fiato.
"Stephen!" esclamò.
Non era mai stata così felice di vederlo.
Il vento gli scompigliava i capelli mentre lui planava fino ad arrivarle di fronte, la pelle che luccicava per la polvere fatata che lo manteneva in volo.
"Stai bene?" le chiese subito lui.
Lei annuì.
"Sei qui da solo?" domandò.
Stephen scosse la testa.
"Fammi entrare, Daisy" il tono di lui era urgente.
Lei si spostò di lato e lui volò attraverso l'oblò.
Osservò il corpo di Uncino a terra, ancora senza sensi, e i vetri del bicchiere che lei aveva rotto sparsi per il pavimento.
"Cosa ti è saltato in mente prima?" scattò all'improvviso, voltandosi a guardarla "Ti saresti potuta far uccidere!"
Gli occhi grigi di Stephen lampeggiavano.
Daisy non lo aveva mai visto così: sembrava fuori di sè, ma l'intensità del suo sguardo era come quando ore prima aveva detto al pirata che la teneva sotto scacco di prendere lui al suo posto.
"Non avevamo altra scelta" ribattè, iniziando a scaldarsi istintivamente "ci saremmo solamente fatti catturare entrambi"
"Avresti potuto farti aiutare!"
"Come, sentiamo?" Daisy scosse la testa "E poi pensavo che la Jolly Roger fosse il luogo in cui avremmo trovato l'oggetto che cerchiamo ma è stato solo un buco nell'acqua"
"Non mi interessa un bel niente dell'oggetto!" gridò Stephen "A me interessa di te!"
Lei lo guardò, aprendo e poi chiudendo la bocca, senza sapere cosa dire.
L'aveva riconosciuta, quell'emozione che era scaturita dalle parole di Stephen: paura.
Per lei.
Nessuno si era mai preoccupato per lei.
Stava per dire quelle parole che lei trovava senza senso, per scusarsi anche se davvero non aveva avuto altra scelta, quando lui attraversò la stanza a grandi passi e poi, un istante dopo, Daisy si ritrovò stretta in un abbraccio.
Stephen la stringeva a sè, carezzandole i capelli e lei posò la testa sulla sua spalla, senza sapere bene come comportarsi.
Tutta quell'irruenza l'aveva sorpresa e per un istante era rimasta immobile, mentre lui le sussurrava qualcosa tra i capelli.
Le ci volle un attimo per capire che si trattava del suo nome, Daisy, ripetuto per centinaia di volte.
"Non farlo mai più" bisbigliò Stephen "quando ti ho visto con la lama alla gola... mi hai spaventato a morte"
Daisy lo strinse più forte.
"Mi dispiace" disse e scoprì che ci credeva davvero.
Rimasero così per qualche istante ancora, come se ci fosse una musica che solo loro due sentivano che li cullava e li avvolgeva.
"Hai steso capitan Uncino?" le domandò Stephen, alla fine, senza smettere di stringerla.
"Non ci è voluto molto" rispose Daisy.
Lui fece un finto verso indignato.
"Hai sabotato il mio tentativo di salvataggio, lo sai, Shakespeare?"
Lei sorrise anche se lui non poteva vederla.
"Io mi salvo da sola" disse.
"Ehi, piccioncini! Vogliamo scappare da questa nave o no?" domandò una voce.
Stephen la lasciò andare, anche se a malincuore, e Daisy si voltò incontrando gli occhi vispi di Peter.
Il ragazzino stava volteggiando a mezz'aria oltre l'oblò e li guardava.
"Uncino mi ha scambiato per Wendy" gli disse Daisy "voleva trovare il tuo punto debole"
"Che ci provi" Peter fece un ghigno "vorrei proprio vederlo..."
"Peter" intervenne Stephen, tagliando corto "ce ne andiamo?"
L'altro annuì.
"Trilli? Puoi aiutarci?" chiese.
La fata comparve in un istante, luminosa nel sottocoperta buio.
Trilli volò fino a Daisy.
"Io ti aiuto sempre, Peter" disse, a bassa voce, così piano che Daisy si disse che probabilmente solo lei stessa l'aveva sentita.
All'improvviso si sentì incredibilmente leggera e la polvere fatata che le aveva spruzzato addosso iniziò a pizzicare lievemente.
Si guardò le braccia nude e le vide brillare d'oro.
"Via di qui" disse Peter "i Bimbi Sperduti non terranno occupati i pirati ancora a lungo"
Stephen si voltò verso Daisy e le tese la mano.
Lei l'afferrò, stringendola.
Insieme, uscirono dall'oblò e si lasciarono alle spalle la Jolly Roger.
Daisy non poteva credere di star volando; sentiva il vento che le carezzava il volto, che le muoveva i capelli e che la sosteneva, si piegava al suo volere facendole aumentare o diminuire velocità a sua scelta.
Forse era così che ci si sentiva ad essere completamente liberi, come un gabbiano che spicca il primo volo: è spaventato, ma ora che ha toccato il cielo non vorrà più scendere.
Fu quando Peter lanciò un grido di felicità, facendo un giro della morte, che Daisy si rese conto che l'anello al collo bruciava.
Si portò una mano sulla clavicola, istintivamente, e spostò il ciondolo.
"Daisy" la voce di Stephen era urgente e quando lei alzò lo sguardo vide che lui stava fissando il suo collo "da quanto tempo l'anello ti sta bruciando?"
Una piccola macchia rossa, come una bruciatura, si era creata alla base del collo di lei.
Probabilmente lo shock di tutta quella situazione non le aveva permesso di rendersi conto del male.
Lei scosse la testa.
"Non lo so" rispose, ma le sue parole si persero nel vento.
L'oggetto che cercavano doveva essere vicino, ma cos'era?
Daisy si guardò intorno: Stephen volava accanto a lei, anche se non si tenevano più per mano; poi c'era Peter che volava qualche metro davanti a loro con Trilli accanto, uno sfarfallio di ali luminoso nel cielo.
Le ali della fata sembravano come quelle di un colibrì: si muovevano così velocemente da essere quasi invisibili ad occhio nudo.
Trilli, pensò.
Si guardò la mano sinistra e vide che sul palmo vi era della polvere fatata ancora intatta, come una manciata di sabbia.
"Stephen" lo chiamò Daisy "ho trovato ciò che stiamo cercando"
Lui la guardò e poi guardò la polvere fatata sulla sua mano.
Un lampo di comprensione gli passò in viso.
"Non è mai quello che ci aspettiamo, vero?" disse, quasi tra sè e sè.
Lei tornò a guardare davanti a sè e si rese conto che Trilli era sparita.
"Peter, dov'è Trilli?" domandò.
Peter si voltò e le fece un sorriso storto.
"È tornata sulla Jolly Roger per portare via i Bimbi Sperduti" spiegò "non preoccupatevi, la sua magia basterà per farci tornare sulla spiaggia"
Daisy annuì, fingendo fosse quello il motivo per cui aveva posto la domanda.
"Dobbiamo tornare a casa" disse, in fretta, voltandosi verso Stephen "non ho nulla in cui mettere la polvere, come una boccetta, e questa è la nostra ultima occasione"
Chiuse la mano, in modo da tenere al sicuro la polvere che era rimasta.
Si disse che presto Peter si sarebbe scordato di lei e Stephen, perchè funzionava così: ogni volta che si lasciava Portalia, i personaggi del libro in cui si era stati si scordavano di te e proseguivano con la loro storia.
Si voltò e vide la Jolly Roger in lontananza, ma non c'era ancora traccia di Trilli insieme ai Bimbi Sperduti.
Non c'era traccia di nessuno che potesse vederli scomparire nel nulla.
Daisy si voltò di nuovo verso Stephen.
"Toccami" gli disse "mettimi una mano sulla spalla, sul braccio o dove vuoi, ma mantieni il contatto per tutto il tempo"
Lui capì all'istante: di solito si tenevano per mano, ma Daisy avrebbe dovuto stringere anche l'anello di famiglia per tornare a casa e l'altra mano era off-limits per la polvere.
Non voleva pensare a cosa sarebbe potuto succedere se Stephen avesse perso la presa su di lei.
Lui le mise una mano sulla spalla e la strinse, annuendo.
Lei chiuse gli occhi, mentre con la mano libera stringeva l'anello che aveva smesso di bruciare.
"Domum me fer" bisbigliò.

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