Tornarono a Brooklyn con la metropolitana, perché era così che Daisy e Jesse arrivavano a Coney Island.
Lei sentiva dentro di sè una strana agitazione, come in procinto di un esame, ma allo stesso tempo come se fosse in attesa dell'inizio di un concerto.
Era come se fosse una sfida con se stessa: sarebbe stata abbastanza forte?
Temeva che una volta vista la ruota panoramica del Lunapark si sarebbe messa a piangere.
Più si avvicinavano alla meta, più Daisy sentiva addosso la presenza della giacca di pelle e dell'anello che giaceva alla base del collo.
"Stai bene?" le domandò Stephen.
"Ti ricordo che è stata una tua idea portarmi qui" non riuscì a frenarsi.
Lui la guardò ferito.
"Non volevo stessi male, Daisy. Sul serio" disse "penso davvero sia ciò di cui hai bisogno, ma allo stesso tempo se per te è una cosa insostenibile possiamo-"
Daisy, senza sapere bene per quale motivo, gli prese di scatto la mano e la strinse.
Stephen la guardò sorpreso.
"Non lasciarmi da sola, Quarterback" gli disse, con voce ferma "capito?"
"Te lo prometto"
Daisy fece un respiro profondo e alzò lo sguardo.
L'insegna luminosa che annunciava l'ingresso al parco divertimenti brillava sopra di loro, un gioco di luci gialle, rosse e arancioni.
Pagarono il biglietto ed entrarono.
Stephen si guardava intorno meravigliato, seguendo con gli occhi grigi i giri della morte delle montagne russe, i murales dipinti con colori accesi e poi la bellissima ruota panoramica, illuminata come un albero di Natale.
Era vero, pensò Daisy, per Stephen era la prima volta a Coney Island.
Tutto, per lui, doveva essere incredibilmente emozionante.
Le venne da sorridere, pensandolo.
Probabilmente anche Jesse lo aveva pensato quando aveva portato lei per la prima volta.
Ogni parte del Lunapark evocava nella sua mente un ricordo: il banchetto dello zucchero filato dove Jesse le aveva preso il dolce e poi gliene aveva mangiato metà, facendola arrabbiare; le montagne russe sulle quali l'aveva costretta a salire sebbene lei ne fosse spaventata a morte.
Ricordava di aver gridato per tutto il tempo — e anche pianto, aggiungeva sempre Jesse nonostante Daisy non lo ricordasse — e di aver maledetto il fratello per averla portata lì.
Quando erano scesi, lei era di una terribile sfumatura verde in viso e si era voltata verso Jesse, guardandolo con uno sguardo di fuoco.
"Ti odio!" aveva detto, puntandogli un dito contro, poi gli aveva preso la mano "Lo facciamo di nuovo?"
Se si impegnava, riusciva ancora adesso a sentire la risata del fratello nelle orecchie.
Era la ruota panoramica il ricordo più doloroso, però.
Daisy non vedeva l'ora di salirci e quando Jesse aveva chiuso lo sportello della loro cabina, lei si era fiondata con il viso appiccicato al vetro per vedere oltre.
"Quando partiamo?" aveva domandato, fremendo.
"Manca poco, fiorellino" aveva risposto lui "siediti! Ho un regalo per te"
Lei aveva obbedito e Jesse le aveva messo sopra l'orecchio destro una margherita che doveva aver colto da qualche parte in precedenza.
"Grazie!"
Daisy lo aveva abbracciato, allacciando le piccole braccia intorno al collo di lui.
Lui aveva riso, stringendola.
Quando era piccola, non le piaceva che Jesse la chiamasse "fiorellino", un po' una presa in giro del suo nome che significava margherita.
Ora, anni dopo, avrebbe dato tutto ciò che aveva per essere chiamata così da lui ancora una volta.
"La vedi? Quella è New York" aveva detto Jesse, quando erano arrivati al punto più alto della salita, indicando la città illuminata da un caleidoscopio di colori "tutto ciò che il sole tocca appartiene a noi"
"È notte, Jesse" lo aveva corretto Daisy, guardandolo con superiorità "e poi credevo che non ti piacesse il Re Leone"
Daisy sorrise a quel ricordo.
"Lo vedi?" bisbigliò Stephen "È stata la scelta giusta"
Si era quasi scordata che accanto a lei ci fosse l'amico.
"Forse" rispose.
Non gli avrebbe mai dato ragione, ma doveva ammettere che il peso che ogni anno sentiva il giorno del suo compleanno sembrava essersene andato.
Non completamente — temeva che ciò non sarebbe mai successo — ma in parte.
"Soffri di vertigini?" gli domandò poi.
Stephen inclinò la testa, mentre la guardava.
"No, perché?"
Daisy sorrise.
In meno di un minuto erano seduti sui sedili vecchi e logori in una cabina della ruota panoramica.
Da che aveva memoria, i sedili erano sempre stati così.
"Preparati alla vista" gli disse "prima mi hai meravigliata all'Upstairs, ma ora è
il mio turno di mostrarti cosa Brooklyn ha da offrire"
Dopo qualche minuto, l'addetto tirò giù la leva e la ruota panoramica si mise in moto.
Mentre salivano, Daisy si permise di osservare Stephen, il suo viso di profilo illuminato dalle luci al neon.
Era veramente bello, pensò, e si chiese se qualche ragazza avesse messo gli occhi su di lui.
Riflettè che non lo aveva mai visto a scuola con qualcuno che non fossero lei o Chris.
Conosceva qualcuno a Manhattan?
Un pensiero la colpì all'improvviso.
E se una ragazza ci fosse stata davvero, magari nella città precedente in cui era stato prima di venire a New York?
No, non era possibile: Daisy gli aveva chiesto se si fosse mai innamorato e lui le aveva risposto di no.
Anche se la presenza di una ragazza non doveva necessariamente implicare il fattore amore, magari si trattava ancora solo di una cotta che poi con i mesi di distanza passati a New York sarebbe scomparsa del tutto...
Basta, si impose, che diavolo vai a pensare? Non sono affari tuoi.
Daisy distolse svelta lo sguardo e lo puntò oltre il vetro.
Non era di certo un appuntamento il loro, pensò, lei non aveva alcuna pretesa nè poteva vantare alcun diritto su Stephen e quindi-
Fu tentata di sbattere la testa contro il vetro, perché stava continuando a pensare a lui sotto la luce sbagliata.
"In momenti come questo sono contento di non ricordarmi nulla di New York" disse all'improvviso Stephen, rompendo il silenzio "se poi davvero ho vissuto qui da piccolo"
"Perché?"
"Perché così posso vedere la città per la prima volta. Meravigliarmi per la prima volta"
Daisy scosse la testa, osservando lo skyline illuminato.
"Anche io che abito qui da tutta la vita riesco comunque a meravigliarmi" disse "è come se fosse il super potere di New York. Nonostante le volte in cui si pensa di aver visitato tutto ciò che c'era da visitare, visto tutto ciò che c'era da vedere, fatto tutto quello che c'era da fare... si scopre che c'è un'ennesima meraviglia nascosta che sembra starti solo aspettando"
"Ci sai davvero fare con le parole"
Daisy si voltò a guardarlo.
Stephen la guardava come se fosse la prima volta in cui la vedeva, come se fosse lei l'ennesima meraviglia nascosta.
"Sei straordinaria, Shakespeare" continuò, con il tono di voce più sincero che avesse mai usato "sei capace di dire ad alta voce ciò che tutti sentiamo, tutte le emozioni che proviamo ma che non riusciamo ad esprimere. Tu invece trovi le parole come se fosse la cosa più semplice del mondo"
Nessuno le aveva mai detto qualcosa di tanto bello.
Sembrava che nessuno dei due volesse distogliere lo sguardo, come se un incantesimo impedisse loro di lasciar andare.
Una ciocca bionda, sfuggita alla treccia, ricadde sulla guancia di Daisy e Stephen gliela rimise dietro l'orecchio.
La sua mano sfiorò la pelle di lei e Daisy sentì un brivido.
Il vento si era alzato, doveva essere quello.
"Stephen?" bisbigliò.
"Sì?"
Non sapeva nemmeno perché avesse pronunciato il suo nome.
Forse era perché le piaceva il suono di quella parola.
Si sarebbe potuto sentire cadere uno spillo.
Stephen si chinò in avanti, lentamente, e Daisy si ritrovò ad alzare il capo come per raggiungerlo.
D'istinto chiuse gli occhi e attese.
Si stavano per baciare?
Riusciva a percepire la presenza di Stephen a pochi centimetri da lei, vicino, talmente vicino che se solo Daisy si fosse avvicinata ancora avrebbe...
La suoneria del suo telefono squillò e lei sobbalzò, allontanandosi di scatto.
Doveva essere arrossita — no, lo era di sicuro — e anche Stephen sembrava imbarazzato.
Con le mani che le tremavano un po', prese il telefono dalla tasca della giacca e vide che il nome di Chris lampeggiava.
Era strano, pensò, Chris era più un tipo da messaggi che da telefonate.
Fece strisciare il dito sul pulsante verde e rispose.
"Pronto?" fece "Chris, va tutto bene?"
"Oh Sherlock" Chris, dall'altro lato della cornetta, sospirò "mi dispiace rovinare il tuo compleanno, ma... ho combinato un casino"
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Wonderland
Fantasy"Ci proteggiamo a vicenda, ricordi?" Daisy Dickens potrebbe sembrare una ragazza come le altre: certo, è particolarmente solitaria, il più delle volte quando apre bocca è per dare una risposta tagliente e ha costruito intorno a sè un'armatura inscal...