XVII. Il segreto della notte

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Daisy era in un lago.
Era in un lago profondo e scuro, come la notte più buia.
Era talmento infinito e vasto che lei non riusciva a vederne la fine, la conclusione, come se fosse nell'oceano.
Il lago la tirava giù, sempre più giù, così giù che per molto tempo credette di non fermarsi mai.
Il poeta greco Esiodo riteneva che ci volessero nove giorni e nove notti di caduta continua prima di raggiungere la superficie del Tartaro.
Forse era lì che il lago la stava portando.
Daisy alzò il capo e vide in lontananza, sempre più in lontananza, il pallido riflesso della luna, un cerchio che si faceva sempre più piccolo e distante.
Si sentiva soffocare, con l'acqua che le riempiva i polmoni impedendole di respirare.
Sembrava che una forza invisibile le avesse ancorato i piedi, le caviglie forse, e la stesse trascinando giù con sè.
Forse si trattatava di un mostro marino che la stava portando nella sua tana sul fondo del lago, per divorarla come accadeva sull'isola del Pianto, a largo delle coste irlandesi, secondo Ludovico Ariosto.
Daisy provò a liberarsi dalla stretta, ma era troppo debole.
Si sentiva la testa che pulsava e allo stesso tempo la sentiva anche leggera, come se qualsiasi pensiero cercasse di formulare alla fine non si posasse nemmeno nella sua mente, ma scivolasse via.
All'improvviso, come il rombo di un tuono in lontananza, sentì una voce.
"Shakespeare, svegliati" stava dicendo, un'eco lontano "Daisy, per favore, apri gli occhi"
Sentì qualcosa sfiorarle il viso, ma intorno a lei c'era solo acqua.
Daisy voleva raggiungere quella voce a tutti i costi, ma le era impossibile.
Poi si sentì sollevare, come se una nuova corrente – benigna, questa volta – le stesse dando una mano.
Guadagnò qualche metro e ora il riflesso della luna sembrava più vicino, più raggiungibile.
"Daisy, sono io" continuò la voce "torna indietro. Svegliati"
Era Stephen, realizzò lei, in un raro momento di lucidità.
Stephen era lì con lei.
"Torna da me" disse ancora lui.
Ora la voce era incredibilmente vicina, come se le vibrasse tutt'intorno, dentro ogni fibra del suo essere.
Daisy si diede la spinta e trovò la forza di raggiungere la superficie.
E tornò da lui.
Quando aprì gli occhi vedeva ancora sfocato, ma capì di essere nella sala lettura della biblioteca, quella con le poltroncine bordeaux.
Sentiva la presenza di braccia estranee che la sostenevano e quando si voltò riuscì a registrare il profilo di Stephen.
La stava portando in braccio, come una fanciulla in pericolo, verso la poltrona più vicina.
Forse fu quello a darle la forza di reagire.
"Mettimi giù" biascicò, ma le uscì così piano che forse lui nemmeno l'aveva sentita.
Stephen invece si voltò di scatto verso di lei, con il sollievo dipinto sul viso.
"Shakespeare" bisbigliò.
La adagiò con gentilezza sulla poltrona e Daisy cercò di mettersi dritta, ma quando la vista le si oscurò di nuovo per un breve istante, ci rinunciò e si accasciò.
"Stai bene?" le domandò lui, non appena vide che lo metteva a fuoco.
Daisy annuì, lentamente, per paura che l'ennesimo capogiro l'avvolgesse e la rispedisse in quel lago.
"Sei tornata là, non è vero?" continuò Stephen, con gli occhi grigi che la fissavano con fermezza "Nel Vuoto?"
Sotto quello sguardo, lei non fu capace di mentire.
"Sì" rispose "avevo bisogno di risposte"
"Non avresti dovuto farlo! L'ultima volta ti è uscito sangue dal naso e ora questo, svenuta a terra! È stata solo fortuna il fatto che ti abbia trovata io e non tua madre. Ti ucciderà quando lo verrà a sapere"
Per un attimo Daisy pensò che forse era svenuta perchè era inciampata e aveva battuto la testa, ma sapeva non fosse la verità.
Le visite nel Vuoto la colpivano fisicamente e lei non poteva farci nulla.
"E tu perchè eri qui?" domandò quindi.
Stephen la guardò con severità.
"Non pensi sia più importante spiegarmi cosa diavolo ti abbia spinto a tornare nel Vuoto e cosa sia successo laggiù?" ribattè.
Daisy scosse la testa.
"Voglio sapere perchè fossi qui" ripetè "sono le sette di mattina"
"Sono le sette e mezza"
"Stephen"
Lui sospirò.
"Avevo pensato di passare per andare a scuola insieme" spiegò.
Dasiy se l'era quasi scordato: era lunedì e avevano scuola.
Il pensiero della scuola era così assurdamente ordinario in confronto a ciò che le era capitato quella mattina.
"Ma quando sono passato di fianco alla biblioteca ho notato che la porta era socchiusa, cosa strana visto che l'orario di apertura è previsto per le nove" continuò "così sono entrato, pensando che forse fossi lì per sbrigare qualche faccenda prima di scuola e ho visto lo scaffale spostato per mostrare il passaggio segreto. Quando sono entrato ti ho ritrovata per terra, priva di sensi, e sono andato nel panico"
"Grazie" disse lei alla fine, dopo un po' "per avermi aiutata"
Stephen la guardò e stavolta il suo sguardo grigio era solo preoccupato.
"Cos'è successò laggiù, Shakespeare?" chiese.
Daisy gli raccontò tutto quello che aveva visto e che Ignatius le aveva detto.
"Perchè ti ostini ad andarci da sola?" sbottò lui alla fine "Per quanto ne sappiamo noi Ignatius può benissimo essere un bugiardo e un manipolatore che vuole solo intrappolarti laggiù con lui perchè si sente solo e ha bisogno di compagnia. Magari è Jack lo Squartatore"
"Non ha l'accento inglese"
Stephen allargò le braccia, esasperato.
Daisy scosse la testa.
"Non è così" ribattè "lui vuole salvare Portalia, come voglio anche io e come dovresti volerlo anche tu"
"Certo che lo voglio! Ma non per questo mi butto a capofitto in situazioni pericolose da solo, per di più senza avvertire nessuno, pregando vada tutto bene. La prossima volta che ci andrai, cosa ti accadrà? E se una volta tornata indietro morissi?"
Daisy abbassò lo sguardo, giocando con l'orlo del maglione.
"Non essere ridicolo" borbottò "andare laggiù non mi ucciderà di certo"
"E come lo sai?"
Stephen scosse la testa.
Alla fine si inginocchiò in modo che avessero gli occhi alla stessa altezza.
"Sono preoccupato per te, Daisy" disse, con franchezza "ho paura per te"
"Non ce n'è bisogno" bisbigliò lei.
"Sì, invece. Voglio che tu mi prometta che non ci tornerai più da sola. So anch'io che alcune cose nella vita sono pericolose e vanno fatte lo stesso, ma mi sentirei meglio sapendo di essere al tuo fianco per aiutarti a superarle"
Fece un breve pausa.
"Insieme possiamo farcela" concluse.
Daisy si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, divertita nonostante tutto.
Aveva voglia di ridacchiare.
Non è che il Vuoto le aveva modificato anche il comportamento?
"Che c'è?" chiese Stephen, un po' indispettito.
Probabilmente era così fiero del suo discorso e probabilmente si era aspettato da lei qualsiasi reazione, ma non quella.
"Vuoi diventare Finn Hudson?" fece lei "Il più popolare della scuola che però ha un gran cuore e alla fine lotta sempre per i suoi amici presi in giro del Glee perché è un vero leader? Il classico ragazzo un po' belloccio che sembra non avere sale in zucca ma alla fine sforna grandi perle di saggezza?"
"Ho due domande: la nostra scuola ha un glee club e non ne sapevo niente? E poi mi farai conoscere questo Finn Hudson?"
"Perchè, sai cantare?"
"So suonare il pianoforte"
"Chissà perchè me l'aspettavo"
"Vedo che stai meglio, perchè la tua lingua tagliente è tornata"
Daisy lo guardò.
Si sentiva meglio, in realtà.
Gli effetti post-Vuoto non sembravano durare a lungo.
Ed era meglio così, pensò, perchè Rebecca non avrebbe dovuto sapere proprio nulla.
"A parte gli scherzi" disse poi Stephen, dopo un po' "dicevo sul serio prima. Siamo una bella squadra, te l'ho detto più volte, no?"
Daisy si ritrovò a sorridere, alzando gli occhi al cielo.
"Se lo dici tu" commentò.
"Tu che ne dici?"
Non demordeva, pensò lei.
"Dico che non hai tutti i torti, in fondo" ammise.
Lui fece tanto d'occhi.
"Come come?" ribattè "Sai, credo di non aver sentito bene, non è che puoi ripetere?"
"Non ci pensare nemmeno!"
Entrambi iniziarono a ridere e all'improvviso, Daisy si sentì più che mai lontana dalle profondità di quel lago.

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